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13 Assassini Regista: Takashi Miike

13 Assassini - 13 Assassins

Titolo originale: Jûsan-nin no shikaku

2010

Giappone

Regista: Takashi Miike

67. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia

“E’ il tremore del guerriero pronto alla battaglia.”

Takashi Miike è un vero samurai senza paura.

Non si spaventa dei luoghi comuni, delle banalità pseudo culturali, ma come un fiero samurai affronta tutti i tipi e generi di nemici. La sua carriera è traboccante di film, capace di possedere tutte le categorie cinefile in circolazione, arrischiando anche miscugli incestuosi.

Miike ha la passione del cinema, è un fruitore eccitato, un intenditore fanatico.

13 Assassini è stato presentato alla Mostra del cinema di Venezia del 2010. Nello stesso anno portò a Venezia anche i due divertenti episodi di Zebraman, dimostrazione di un innamorato del cinema, invaghito fino ad un orgasmo multiplo.

13 assassini è un film in costume sulla epopea dei samurai.

La storia è torbida come il periodo storico degli Shōgun, ma nello stesso tempo, semplice e costruttiva.

Interpreti; il cattivo Naritsugu, fratello dello Shōgun; e il buono, il samurai Shinzaemon Shimada.

Il compito del samurai è ucciderlo perché con la sua crudeltà sta causando problemi all’Impero.

Non può farlo apertamente, deve compiere il suo dovere agendo di nascosto, raccogliendo intorno a se un gruppo speciale e riservato di samurai.

Nel giorno della battaglia, lo scarso gruppo di guerrieri si trova ad affrontare un reparto di duecento selezionati e impavidi soldati di scorta a Naritsugu.

La struttura del film si basa su dei periodi classici:

  1. Costruzione del gruppo, con persone valenti ma di carattere diverso e con delle difficoltà psicologiche o sociali.

  2. Maturità del gruppo e amicizia fra i membri.

  3. Villaggio, la casa che i samurai non hanno, luogo dello scontro.

  4. La battaglia, colma di coraggio e di generosi atti di altruismo.

  5. La catarsi finale

I richiami sono ovvi e assolutamente citati, a partire dai Sette samurai di Akira Kurosawa.

La battaglia non ha un significato morale. L’esaltazione della giustizia serve a legittimare la vanagloria dei samurai e il loro desiderio di arricchire il dovere fine a se stesso.

La richiesta di protezione e di giustizia dei contadini del villaggio di Kurosawa consente a dei guerrieri consumati e indeboliti a ritrovare il senso dell’onore perso negli sfaceli del tempo.

I contadini sono solo una banale giustificazione per recuperare se stessi, per ripresentarsi nei confronti della storia per quello che erano. Ma il passato non ritornerà, la loro storia è irrimediabilmente esaurita e questi combattimenti suicidi servono unicamente a loro stessi.

Stesso concetto è ricalcato da Miike, anzi affrontato con maggiore ironia per la presenza di Koyata un boscaiolo rozzo, ignorante ma astuto e furbo combattente, e con una parola genuina capace di tagliare la verità, sarà lui la voce della spietata giustizia.

Al comandante dei samurai di Naritsugu, che stupito per il suo abbigliamento e comportamento, gli chiede: “Chi sei? Tu non sei un samurai” Koyata risponde con derisione:

"So what? Do only samurai matter in this world? I thought samurai would be fun but you bore me. You're useless, even more useless in great numbers."

La prima parte del film si svolge nell’oscurità, all’interno di case giapponesi rischiarate solo da fioche candele, con divisori sottili a rendere ancora più notturne e buie le varie trame di potere intrecciate all’interno.

Questa oscurità ha corrispondenza con la crudeltà di Naritsugu; le tenebre della sua mente e del suo nefasto cuore sono rispecchiate nell’apparizione pietosa della donna deformata, la quale ciondola come una bambola rotta.

Il passo successivo della struttura è quella della costruzione del gruppo, con tredici caratteri diversi, alcuni primari, altri secondari, ma tutti solitari ed isolati.

Il gruppo si forma intorno al senso del dovere, ancora più possente e vigoroso per il sentimento di non avere speranza.

Come nei Sette samurai, dopo le prime scaramucce l’unione e l’amicizia nasce intorno ad un villaggio, perché il villaggio rappresenta la casa, la famiglia, la sicurezza che i samurai agognano.

La seconda parte è solare, chiara, limpida: è quella della battaglia fra i buoni e i cattivi.

Gli scontri sono cruenti, micidiali ma anche scaltri.

Le riprese hanno una velocità notevole, con un gioco di effetti speciali divertente.

I tanti soldati di Naritsugu corrono impazziti come formiche spaventate, con un effetto quasi comico a causa dei loro Jingasa svolazzanti.

La conclusione è un dominio incontrastato del rosso sangue.

Il coraggio, l’ardimento, l’eroismo provocano una postura scultorea nel momento della morte, dove i sentimenti più profondi si esaltano.

L’attimo successivo al trapasso è un secondo di pausa, dove come in una Pietà giapponese il samurai è ricordato e compianto.

La catarsi finale è il massacro, con un germoglio di vita per il futuro del Giappone, ancora vittima nel secolo successivo di contrasti e carneficine.

La via dei samurai è finita. La Katana e la Wakizashi sono deposte definitivamente.

Gli eredi di questa stirpe sapranno dominare altre arti marziali, uno di questi samurai post litteram è Takeshi Miike capace di manovrare una camera come un samurai le sue due spade.