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Ata tu arado a una estrella Regista: Carmen Guarini

Ata tu arado a una estrella

Regista: Carmen Guarini

Cast: Fernando Birri, Osvaldo Bayer, Carmen Papio Birri, Teresa Díaz, León Ferrari, Eduardo Galeano, Ernesto Sábato, Tanya Valette

Anno: 2017

Provenienza: Argentina

Autore Recensione: Roberto Matteucci



“Que es la utopia?”

Nel sito della Escuela Internacional de Cine y TV di San Antonio de Los Baños (1) a poche decine di chilometri dall'Avana, c'è una fotografia bellissima in bianco e nero. È il 15 dicembre del 1986, è il giorno dell'inaugurazione della scuola. Le fondamenta dell'istruzione cinematografica sono quelle tipiche e solide della serietà cubana: una profonda conoscenza, una selezione degli insegnanti e un assoluto impegno degli studenti. Indubbiamente c'è un forte sentimento terzomondismo, infatti, nel primo momento la scuola era aperta ai soli studenti provenienti dall'America del Sud, Africa e Asia. Le ragioni della fondazione è nel voler essere un catalizzatore dei paesi emergenti del mondo, in contrapposizione con il sovrano indiscutibile del cinema: quello occidentale e americano.

La costituzione della scuola è un impegno totalizzante, sia di persone, sia d'idee; è la sfida di Golia contro Davide, la titanica e ricca Hollywood contro il fervore e la dedizione cubana.

Chi volle questa scuola?

Nella foto ci sono i tre personaggi fondatori: Fidel Castro nella sua divisa militare, lo scrittore Gabriel García Márquez e il regista argentino, con studi in Italia, Fernando Birri. Quest'ultimo fu anche il primo direttore della scuola.

Come si può leggere questa sfida? Nel paese della revolución máxima questa competizione non è forse la massima delle utopie?

Come sia difficile riconoscere le utopie e individuarne il concetto, c'è lo racconta la regista Carmen Guarini nel documentario Ata tu arado a una estrella presentato alla 54a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. Il protagonista è uno dei tre personaggi della foto cubana, il regista Fernando Birri.

Siamo nel 1997, sono passati trent'anni dalla morte del Che Guevara, e la televisione di Lipsia chiese a Fernando Birri di girare un documentario dal titolo emblematico: Che: ¿muerte de la utopia?Che: Tod der Utopie? (2)

Il lavoro di Birri doveva essere una discussione intellettuale perché univa il Che al pensiero culturale dell'utopia.

Birri e gli autori avevano già la risposta intrinseca nella domanda. Unire la morte del rivoluzionario cubano in Bolivia e spiegare il significato dell'utopia contiene direttamente la soluzione.

La regista Carmen Guarini durante le riprese filmò il backstage.

Ovviamente il film ha una centralità: la limpida e chiara autorevolezza di Fernando Birri.

Musica latino americano, una bella casa, Fernando chiude le porte, si volta in direzione della camera e spiega di star perdendo tempo nel serrare gli infissi perché all'interno ci sono solo libri: “magari li rubassero” è la divertente battuta. Siamo in Argentina, in campagna e la troupe sta andando a una scuola in un villaggio di agricoltori.

Fernando appare come un personaggio bello, autorevole, rappresentativo, aiutato dal fisico alto, dal bianco prestigioso della folta capigliatura e della barba imponente.

Nelle immagini del backstage Fernando è dominante, benché sia accompagnato da altrettanti importanti personaggi.

È sovrastante sia nelle riprese, sia durante le pause, come la bella serata a cena con amici e troupe. Fernando è amichevole, popolare, a differenza di tanti intellettuali finti non ha nessuna vanità presuntuosa. Ironicamente e benevolmente afferma: “questa ossessione di filmare la vita” e nello stesso momento si lamenta perché la carne si sta raffreddando.

Fernando è l'oggetto, la meta della pellicola. È centrale, aulico, lo sguardo è allego, gentile, cortese e soprattutto molto intelligente. Una intelligenza culturale, senza superbia; come quando Carmen lo riprende di spalle durante la preparazione di una scena con l'amico argentino Ernesto. Non vediamo il volto ma sentiamo la sua calda voce, mentre c'è una unica fonte di luce dalla finestra.

L'altra caratteristica di Fernando è la loquacità, la disponibilità a conversare sia con allegria, sia con dovizia di particolari. Affabula il pubblico, gli avventori, parla sempre con massime, per principi, per aforismi: “secondo te esistono passioni intelligenti.”

Carmen è in grado di mostrare il contrasto fra il ricco intellettuale seduto in una bella casa e il campesino povero accovacciato su un sasso nella cruda terra. Può l'utopia avere lo stesso senso per due persone così diverse? “Il diritto di sognare non c'è nella carta dei diritti”

e “è una parola che non ha significato”.

Fernando è dominante, di spalle, di profilo, con voce fuori campo; sta pensando, sta cercando nuove visioni, sta scegliendo la posizione della camera, sta sollecitando gli intervistati. Le immagini sono montate fra una scene di registrazione del film e un'altra di convivialità, mentre recita poesie per gli amici.

È gioviale buffo simpatico batte la musica sul tavolo mentre racconta come vorrebbe il suo sensazionale funerale. Ognuno deve bere della birra con dentro la cenere del suo corpo. C'è una base di narcisismo nella sua onnipresenza

La pellicola è composto di due parti. La prima è il backstage, la seconda è una intervista a Fernando anni dopo nella sua casa di Roma.

Fernando appare vecchio, malato, stanco, cammina a fatica. Però la mente, lo spirito, la fantasia sono ancora lucidi e brillanti.

La regista lo riprende mentre si diverte come un bambino mentre gioca con un fantasma elettrico e batte il tempo come un fanciullo.

È infermo ma gli regalano una mini camera digitale: “magari l'avessi avuto io mezzo secolo fa” è la sua reazione, non da vecchio ma da curioso, come quando era giovane.

Si rallegra usandola; appare una piccola sua ripresa, con immagini puntate verso il basso, sul dettaglio poi si alza per riprendere una arancia fino a raggiungere un bellissimo close up del suo viso. La sua professionalità è invariabilmente elevata pure per il filmetto casalingo tanto da assegnargli un titolo “viaje al rendendor de mi cuarto.”

Alla fine dell'intervista Fernando spiega la sua utopia, collegando un ossimoro come “memoria del futuro” al concetto del “progetto” a quello universale della “utopia”.

La sua utopia è la sua giovinezza, è la scuola del terzo mondo, la memoria del futuro. La sua utopia è un luogo, e la camera inquadra un cartello con scritto Faltan tres dias, è il conto alla rovescia per la festa d'inaugurazione. Come un anfitrione parla del sogno di unire tre continenti, i più poveri, i più sottomessi. La scuola è intesa come eredità culturale, come tanti volenterosi giovani possano portare avanti le sue idee, le sue rivoluzioni per aver un futuro migliore.

Ma anche questa utopia termina. La scuola entra in crisi, i tre mondi non sono più una prerogativa, però Fernando non si arrende, non si deprime. La sua scuola lo accompagnerà perfino dopo morto.

(1) http://www.eictv.org/quienes-somos/historia/

(2) http://www.treccani.it/enciclopedia/fernando-birri_%28Enciclopedia-del-Cinema%29/