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Bling Ring Regista: Sofia Coppola Cast: Katie Chang, Israel Broussard, Emma Watson

Bling Ring

Regista: Sofia Coppola

Cast: Katie Chang, Israel Broussard, Emma Watson

Anno: 2013

Provenienza: USA, UK, Francia, Germania, Giappone

Autore Recensione: Roberto Matteucci

“Amo Chanel.”

Nel marzo del 2010, la giornalista Nancy Jo Sales scrive, su Vanity Fair, un articolo su una serie di rapine accadute dall’ottobre del 2008 all’agosto del 2009. Per una rivista di costume e moda, occuparsi di cronaca nera è un evento strano. Qualcosa attirò l’attenzione della redazione: queste rapine avevano una bizzarra caratteristica.

La gang era formata da un gruppo di teenager fra i diciassette e i diciotto anni di Los Angeles, ancora iscritti all’High School. Inizieranno una serie di furti nelle fantasmagoriche ville dei VIP di Hollywood. Colpiti, saranno Paris Hilton, Orlando Bloom, Lindsay Lohan, Audrina Patridge, Rachel Bilson, Austin Green, Megan Fox, Miranda Kerr.

Nel brano, descrivendo i ragazzi di famiglie borghesi, l’autrice si chiede ripetutamente perché – why. Perché questi adolescenti hanno compiuto una serie di gravi reati senza un particolare bisogno?

La redazione, infatti, lo intitola: Why the Bling Ring Stole Miranda Kerr’s Underwear.

Le risposte sono tante e confuse:

« … cops, lawyers, the victims—to ask “Why?”»

Identica domanda se la pone una delle vittime:

«“Why did they do this?” asked Audrina Patridge.»

Il problema nasce, quando è l’unico ragazzo del gruppo, Nick Prugo, a porsela:

«He says he doesn’t remember exactly why he and Lee decided to start burglarizing celebrities’ homes, except that “these were women with, like, fashion sense. Rachel watched The Hills, Gossip Girl—all those shows. She loved their clothes.”»

Dal testo pubblicato non esce un quadro incoraggiante della gioventù americana, abbandonati e privi di una guida morale.

Questo breve servizio giornalistico è stato lo spunto della trasposizione cinematografica: Bling Ring di Sofia Coppola. Da un soggetto veloce e breve si passa a una solida e profonda sceneggiatura, scritta da Sofia Coppola, segnale della bravura degli scrittori cui dispone l’industria cinematografica americana. Ve lo immaginate un nostro sceneggiatore scrivere un film da un articolo del Corriere della Sera?

La regista indugia sui ragazzi. Non è interessata ai perché, quelli sono lasciati alla libera interpretazione dello spettatore.

L’autrice è interessata alla relazione fra gli amici, alla loro condotta di vita, alla superficialità in cui crescono, alla vacuità delle famiglie, all’assenza di valori fondamentali.

La storia è fedele all’articolo.

L’inizio è sparato, con canzone Crown On The Ground a tutto volume e le ragazze pronte a scatenarsi: “vai con lo shopping.”

Le giovani studentesse non hanno motivazioni reali, concrete. Il loro pensiero è di apparire, di esibirsi, e non avendo un carattere forte, dei modelli costruttivi, devono possedere, devono assomigliare agli idoli di tutti.

I nomi nel film sono diversi. Rebecca è una leader, conosce a scuola Marc, un adolescente difficile, cacciato da altri istituti. È appena arrivato, è senza amici perciò accetta con piacere l’amicizia offerta.

Rebecca, immediatamente, rivela una predisposizione energica e spavalda. Decide e coinvolge Marc – sempre più debole e succube – di entrare nella casa di un amico fuori città.

Il passo successivo è l’intrusione dei due amici nella villa di Paris Hilton. Dai giornali apprendono di un viaggio fuori Los Angeles della ricca milionaria. Da internet scoprono l’indirizzo. E – incredibile – Paris ha chiuso la porta e ha lasciato la chiave sotto lo zerbino.

Nel fiabesco palazzo trovano di tutto, Rebecca fa man bassa dei lussuosi ed eleganti vestiti, borse, gioielli.

Preso gusto, inizieranno una serie d’intrusioni nelle quali saranno coinvolte altre amiche.

La storia è gestita con un flash back di un anno prima, il momento del coinvolgimento di Marc.

Unico uomo coinvolto, la regista, come l’autrice dell’articolo, manifesta simpatia, tenerezza, compassione per lui. Infatti, è la grande vittima, coinvolto, entra nelle abitazioni e ruba quasi nulla, mentre le ragazze caricano borse su borse.

La motivazione psicologica del coinvolgimento da parte delle donne è inconfondibile. Tendenzialmente gay, senza amici, soffrendo di A.D.H.D. si mostra remissivo nei loro confronti. La droga, una vita impossibile lo distruggerà.

Sofia Coppola picchia duro invece sulle famiglie. Una bella luce entra in un’elegante e ricca abitazione, la madre chiama la figlia e la sua amica. Con sguardo da ebete, tenendosi per mano, recitano una preghiera assurda. La madre è paranoica, vuota, si è attaccata a credenze stravaganti per trovare una dimensione inesistente. Le ragazze rimangono interdette ma è il solo insegnamento percepito.

La stessa luce appare nella casa di Evans, l’amico di Marc fuori città, la prima infrazione compiuta. Tutto all’interno è bianchissimo, il ragazzo è spaventato, vuole andarsene, mentre Rebecca si comporta con calma e superiorità.

In una scena rappresentativa, Mark fuma e balla di fronte a una webcam. La regista c’è la mostra in bianco e nero.

Le loro notti sono di sballo puro. Fumano, si drogano, bevono, ballano tutta la notte, e spendono i soldi rubati in esclusivi e costosi club per VIP. Non hanno regole, nessuno li controlla. La regista usa il ralenti, quando deve esagerare nello sballo, unito alla danza e a tanta musica assordante.

Luce abbagliante, rimbambiti dalla musica, la camera indugia su Rebecca, utilizzando il ralenti. Verso la fine, quando i ragazzi sono totalmente inconsapevoli degli avvenimenti, ci presenta, con un montaggio rapido, droga, cocaina, scene di furti, oggetti di lusso rubati, costosissime scarpe, la discoteca, il ballo, ancora tanta droga e musica assordante, in mezzo non possono mancare, le foto, ingenuamente scaricate su facebook, comprese quelle delle rapine.

È l’inconsapevolezza, la leggerezza dei ragazzi. Tutti conoscono i retroscena della loro vita, perché la gang parla, si vanta, esibisce gli oggetti della refurtiva. Non c’è nessun segreto perché si credono invincibili e immortali.

Sullo sfondo una Los Angeles evanescente. La regista è nata a New York, abita a Parigi; il mondo hollywoodiano non gli appartiene. In una intervista al Telegraph afferma:

“Although she insists that “I’m not part of that world”, Coppola understands the group’s craving for fame, easy fortune and luxury brands. “These kids were trying to find their identity and they wanted to be like the people whose houses they broke into,” she says. “It’s such an LA story about how these kids were living in such proximity to the stars they admired and the glitzy culture they were obsessed with. They thought that by touching the glamouous life it would make them somebody. They are products of our growing reality TV culture and it’s something I thought was worth looking into.” (http://www.telegraph.co.uk/culture/film/10126910/Sofia-Coppola-interview-The-Bling-Ring-isnt-my-world.html)

Di Los Angeles vediamo l’esteriorità: la moda i vestiti le borse i profumi gli occhiali i locali. Quale modello positivo possono avere gli adolescenti? I loro idoli sono le star, le quali vivono attorniante da un alone irraggiungibile. Non hanno una vita normale, non conoscono la realtà, non hanno problemi comuni. L’attrice famosa crede che il mondo sia la villa sontuosa, con piscina e che il lavoro sia frequentare party. Vivono in una torre d’avorio invalicabile. Non sono in grado di insegnare nulla, non possono essere degli esempi edificanti, pertanto chi crede in loro, pensano che le scarpe Gucci siano la via per il paradiso.

Su Hollywood la regista è inesorabile. Sulla famiglia è spietata.

È poi crudele con i VIP. Bisogna riconoscere una bella dose di autoironia a Paris Hilton, la quale appare in un cameo e consentendo di girare le scene all’interno della sua reale dimora.

Sono persone futili e incapaci di vivere come le persone normali.

“Secondo me lascia le chiavi sotto lo zerbino” si chiedono i ragazzi prima di entrare nella casa dell’ereditiera. Incredibile, esatto. Paris Hilton lascia le chiavi sotto lo zerbino. Chi mai lo farebbe?

Ma non finisce qui.

Attori, uomini di spettacolo lasciano pistole cariche incustodite, casseforti aperte, fasci di banconote sotto il letto, Rolex nell’armadio, finestre spalancate, porte aperte, case indifese, gli rubano beni di valore e non si accorgono. Essi sono gli esempi per degli adolescenti. Un gruppo di viziati, incapaci di crescere e di lavorare.

Quando le telecamere riescono a registrare le immagini dei ragazzi all’interno delle case, la polizia le trasmette in televisione, chiedendo se qualcuno fosse in grado di riconoscergli.

Siccome tutti sapevano, la regista trasmette il sonoro una serie di telefonate ricevute dalla polizia; con ragazzi loquaci pronti al minimo dettaglio conosciuto.

Poiché i giudici americani non sono drogati da teorie sociologiche e psicologiche da strapazzo, e valutano i reati in maniera molto diversa dai colleghi italiani, tutti saranno condannati e si faranno il loro bel carcere.

In Italia sarebbero stati assolti, considerati inadatti alla prigione.

Il processo è poi l’esaltazione della sintesi cinematografica. La regista elimina tutti i fronzoli. Arrivano i ragazzi in tribunale, primo piano sulla faccia del giudice, si chiudono le porte, un colpo di martello, stacco e s’intravedono i giovani in carcere. Sintetico, essenziale e chiaro.

Bella è l’intrusione a casa di Audrina. La bellissima magione è tutta illuminata, inquadrata in campo lungo e dall’alto. Non ci sono mura esterne ma tutte vetrate, perciò riusciamo a scorgere l’interno delle stanze in un’unica soluzione, come se fosse la casa di una bambola. I ragazzi sono all’interno, corrono da una stanza all’altra, Rebecca raccoglie la roba, mentre Marc è impaurito e incosciente: “smettila di fare il frocetto” gli urla l’amica, sempre più aggressiva.

Nel finale la regista si scatena contro le ragazze. Se la simpatia per Marc è evidente - c’è lo consegna come una vittima - la derisione per le superficiali femmine è spietata. Ancora la regista su Vanity Fair:

“Were you able to sympathize with the teenagers?

When I was approaching the story, that was the challenge. I was trying to find a way in to connect with. When I met the real boy [Nick Prugo], I thought that he was the most sympathetic and I could tell the story through him—why he wanted to be part of this group.”

(http://www.vanityfair.com/online/oscars/2013/06/sofia-coppola-bling-ring-interview)

Nicki – una delle ragazze della banda - si assurge a sacerdotessa del newage: “lavorare per la pace e per la salute del pianeta”, litigando con la madre per l’invadenza durante la sua intervista.

A volte le immagini perdono di fuoco, come la mente dei ragazzi.

Cercando un vestito adatto per il processo, lo scambio di battute con l’amica è perentorio:

“Voglio essere sexy ma non disperata.”

“Sembri una troia vestita da segretaria.”

È impietosa con la ragazza che trafuga la pistola. Ci gioca come se fosse un trastullo. La porta nell’appartamento del fidanzato e gli scappa un colpo, scatenando l’eccitazione di entrambi.

Il massimo è quando Rebecca vorrebbe rubare il cagnolino di Paris Hilton. Sarà Marc in un attimo di fierezza a convincerla a lasciarlo.

Bisogna riconoscere a Sofia un vero talento, una capacità di fare cinema con tanta semplicità, la storia appare naturale e godibile, senza nessuna necessità di mezzi sovrannaturali. Fotografia, montaggio, uno stile sia sintetico sia elegante, scelte di linguaggio differente secondo l’esigenza richiesta.

Il film è godibile, intelligente, costruito con sapienza.

PS: Le citazioni dell’articolo di Nancy Jo Sales sono apparse su Vanity Fair http://www.vanityfair.com/culture/features/2010/03/billionaire-girls-201003