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El ciudadano ilustre Regista: Gastón Duprat, Mariano Cohn

El ciudadano ilustre

Anno: 2016

Regista: Gastón Duprat, Mariano Cohn

Provenienza: Argentina, Spagna

Autore: Roberto Matteucci

73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia

“Lei è un mediocre.”

Le scelte del solenne e pomposo comitato per il Nobel hanno passato la fase della bizzarria per trasformarsi in grottesche. Accantoniamo le varie tipologie scientifiche delle quali non so nulla, ma le scelte dei premi per la pace e per la letteratura in molti casi sono strumenti pericolosi per dividere anziché unire.

Come altro si può definire il premio Nobel per la pace al comandante in capo delle forze armate degli Stati Uniti, il cui esercito è impegnato simultaneamente in diverse guerre. Ovvero le scelte di alcuni personaggi anti russi. A volte sono sfortunati nelle loro scelte. Quest’anno il premio per la pace al presidente della Colombia Juan Manuel Santos ha scatenato ironie e derisioni. Ma che colpa ne hanno gli austeri elettori se il povero presidente della Colombia si è visto contemporaneamente bocciare dalla propria popolazione l’accordo per la pace, così voluto da tutti, dal Papa a Castro a Obama e via dicendo?

È sfortuna.

Non è iattura ma stramberia il premio per la letteratura assegnato a Bob Dylan, scatenando gli acuti sarcasmi di alcuni papabili come Irvine Welsh e Haruki Murakami. Ma non si potevano immaginare come Bob Dylan, anziché ringraziarli, li abbia poeticamente umiliati. Certo, la scelta di Dylan è stata giustamente criticata, ma se pensiamo che fra i candidati ci fosse anche Roberto Vecchioni, la preferenza per l’autore di Mr. Tambourine Man è da approvare con standing ovation.

Sul premio della letteratura i dubbi sono tanti, implicando perfino lotte fra vincitori, come il disprezzo di Mario Vargas LLosa per Dario Fo, il quale si chiedeva cosa poteva aveva in comune con Cechov.

“Il nobel ti fa diventare una statua.”

Seguendo queste scelte possiamo addirittura capire il Nobel per la letteratura assegnato all’argentino Daniel Mantovani. Non andate a cercare i suoi libri su amazon, Daniel Mantovani è il personaggio inventato del film El ciudadano ilustre dei registi Gastón Duprat e Mariano Cohn presentato alla 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

Mantovani ha vinto il premio Nobel scrivendo dei libri ambientati nel suo paese nativo Salas in Argentina.

Esso ha abbandonato Salas da oltre quarantenni, trasferendosi in Europa senza mai ritornarci. All’improvviso gli arriva una lettera da Salas, il sindaco lo invita a ritornare ospite per ricevere la cittadinanza onoraria.

Mantovani è snob, sofisticato ma accetta di rimpatriare nel paese ancora contadino, distante dall’esuberanza culturale delle grandi città, continuando a mantenere la propria semplicità.

Oramai sono due mondi diversi e l’arrivo dell’affettato scrittore farà esplodere le contraddizioni di entrambi, di Mantovani e per motivi totalmente opposti quello degli abitati.

Un bel film, ironico ma anche cattivo con tutti i protagonisti. Questa è la qualità dei registi, penetrare nei difetti e disapprovarli mettendoli alla berlina. Usano grandi dosi d’ironie, provocando risate spietate.

Mantovani ha esaurito la sua verve, non scrive da oltre cinque anni. Arriva nel paese con finta modestia, parla in modo aulico, non ama il contatto con i concittadini, trovandoli grezzi e ignoranti. Una buona dose di razzismo lo sta investendo. Ha dimenticato le sue origini, i propri genitori, e si vergogna di tutti. Non comprende, quelle persone che non sono così male e non meritano le offese, i giudizi taglienti, le critiche eccessive destinate a essi. Maltratta il padre di un ragazzo sulla sedia a rotelle. Ovvero insulta il povero uomo che vorrebbe invitarlo a pranzo.

Non sono migliori gli abitanti di Salas. Arraffatori, corrotti, mediocri, approfittano di un’intervista a scopo pubblicitario utilizzando il suo nome. Si risentono fino alla minaccia se lo scrittore trova orrendi i lavori della moglie del boss. Il paese è pieno di fenomeni stravaganti, ascoltano le sue conferenze con disinteresse, fregandosene del senso della cultura dell’autore.

Il risultato dell’incontro è uno scontro e si trasforma in violenza. Gli abitanti cominciano a giudicarlo male, ad avere ricordi sul bieco comportamento avuto con i genitori e soprattutto a capire, come il suo successo, fosse avvenuto sulle loro spalle, deridendo il paese natio.

La risposta di Mantovani è ancora più indecorosa, sbraita la loro ignoranza, riempiendosi la bocca del sostantivo cultura. “La cultura è indistruttibile”, come se questo gli desse elevazione, superiorità. Gli è mancata proprio l’umiltà, la modestia, la semplicità, la curiosità di conoscere.

La dicotomia dei ruoli fra Mantovani e Salas è confermato dallo sceneggiatore Andres Duprat: “Sì, le persone del pueblo sono semplici, amabili, hanno conservato valori che si sono persi, ma a volte sono chiusi o violenti e lo scrittore, sarà anche un genio ma è anche uno che non ha saputo costruirsi una vita quotidiana soddisfacente. … È un cinema che interpella, un cinema non prevaricante: ti presenta una problematica e la lascia al tuo giudizio.” (1)

I registi caricano molto l’attore Oscar Martínez il quale risponde con merito, vincendo la coppa Volpi come miglior attore.

Sono bravissimi allo stesso modo a presentare gli abitanti di Sales, concentrandosi sugli sguardi, sui sorrisi forzati, sui dettagli rimasti di un’epoca passata: come la cena rigogliosa a base di disgustose teste di pecora sullo sfondo del quadro dell’Il bacio di Francesco Hayez, a casa dell’ex fidanzata Irene.

Perché nel paese ritrova Irene, la ragazza con la quale aveva avuto una simpatica storiella quando era giovane. La donna, sempre bella, ha sposato un suo amico. Essi hanno una figlia, giovane e bella, e disponibile verso lo scrittore famoso. Perchè Mantovani non esita a utilizzare della propria celebrità per approfittarsi di un’adolescente.

Fortunatamente il dubbio ci assale nel finale di esserci ritrovati in un grande equivoco.

(1) http://www.cineforum.it/intervista/El-ciudadano-ilustre-intervista-allo-sceneggiatore-Andres-Duprat