Gelsomina Verde Regista: Massimiliano Pacifico
Gelsomina Verde
Regista: Massimiliano Pacifico
Cast: Pietro Casella, Giuseppe D'Ambrosio, Davide Iodice, Margherita Laterza, Francesco Verde, Francesco Lattarulo, Maddalena Stornaiuolo
Anno: 2019
Provenienza: Italia
Autore recensione: Roberto Matteucci
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“Sei nel progetto sbagliato.”
È il 24 novembre 2004 a Napoli. È il giorno dell'ennesimo delitto della camorra. La vittima è una ragazza: “Quel corpo era di Gelsomina Verde, una ragazza di ventidue anni. Sequestrata, torturata, ammazzata con un colpo alla nuca sparato da vicino che le era uscito dalla fronte. Poi l'avevano gettata in una macchina, la sua macchina, e l'avevano bruciata.” (1)
Così Roberto Saviano in Gomorra.
Perché la camorra ha uccisa una giovane donna?
Sempre Saviano: “Aveva frequentato un ragazzo, Gennaro Notturno, che aveva scelto di stare con i clan e poi si era avvicinato agli Spagnoli. Era stata con lui qualche mese, tempo prima. … Gennaro era stato condannato a morte, ma era riuscito a imboscarsi, chissà dove ...” (1)
La ragazza si trovò invischiata in una vera guerra, la faida di Scampia. Una battaglia sanguinosa fra le famiglie della camorra. L'ex fidanzato di Gelsomina aveva dei legami con i camorristi. Il clan rivale lo aveva condannato a morte e i killer erano convinti che Gelsomina conoscesse il suo nascondiglio.
Non è il primo delitto di una persona innocente. Quello di Gelsomina attirò l'attenzione per la malvagità fine a se stessa: fu torturata e successivamente bruciata.
L'episodio suscitò lo stesso scalpore della tragica morte del tredicenne Giuseppe Di Matteo ammazzato e sciolto nell'acido.
Il regista Massimiliano Pacifico porta la storia al cinema con Gelsomina Verde presentato alla 55a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro. Massimiliano Pacifico ha capitalizzato l'esperienza di documentarista sul teatro, utilizzato in Il teatro al lavoro proiettato a Venezia 2018.
Con Gelsomina Verde il teatro entra nella struttura della pellicola. L'idea dell'autore: non narrare direttamente gli avvenimenti di Gelsomina detta Mina ma mediarli tramite l'interpretazione di un gruppo teatrale eterogeneo.
Una ragazza con il trolley sta attraversando un parco. Arrivano due donne sempre con valigia e di seguito altre persone. Stanno andando nella stessa destinazione: un bel edificio dentro a un vasto giardino.
Non si conoscono, non si sono mai visti prima ma sono lì perché selezionati a interpretare una pièce su Mina.
Si inizia con una successione di monologhi, introduttivi e descrittivi dei vari protagonisti.
Gli attori sono concentrati sui loro ruoli, c'è chi racconta le vicende del conflitto per arrivare a un monologo sulla tortura. La ragione della sevizia fu pura crudeltà, Mina non conosceva il rifugio.
Le prove sono alternate con immagini di repertorio: i toni metafisici e irreali si incrociano con l'insensibile realismo dei poliziotti del telegiornale. Appare evidente, non è una finzione ma una lettura di una pagina triste.
Il regista si concentra principalmente sull'esaltazione delle parole nei soliloqui. Il logos serve a idealizzare il mito di Gelsomina, la sua santificazione. In questi casi le parole sono insufficienti. Perciò gli attori si rivolgono esplicitamente alla camera.
A chi sono rivolti realmente gli assoli? Ai colpevoli? Alla coscienza degli spettatori?
È il compito di Pacifici indirizzarci.
Nel cast c'è pure il fratello di Gelsomina, Francesco.
È il portavoce della famiglia, una famiglia normale, nata in un luogo bellissimo ma sfortunato. Il fratello lo mostra nella passeggiata a Napoli. La sua voce fuori campo è descrittiva del sentimento.
Le prove procedono veloci, lo spettacolo comincia ad avere una struttura, una dimensione chiara e politica. Le taniche sono appese fra i protagonisti come in un'opera di Kounellis. I bidoni simboleggiano il fuoco con il quale Mina è stata bruciata. L'attrice Maddalena Stornaiolo ci mette sublime passione. C'è consapevolezza, maturità nella recitazione. Le taniche hanno una presenza iconica, come la griglia per San Lorenzo o le frecce per San Sebastiano. Il lavoro di canonizzazione di Gelsomina continua.
Nascere in un posto scomodo rende tutti più deboli. Subentrano i problemi per la famiglia. Sono molti. Una figlia trucidata, i pericoli di ripercussioni e vendette.
Giudicare perché i genitori hanno accettato un indennizzo di trecento mila euro (2) dai carnefici è presunzione: “Uno solo è legislatore e giudice, Colui che può salvare e mandare in rovina; ma chi sei tu, che giudichi il tuo prossimo?” (3)
Le scelte devono essere vissute in prima persona per poter esprimere giudizi.
L'opera teatrale affronta con coraggio i contrasti della vicenda.
Per descrivere le incertezze, è scelto uno degli attori. Il suo pensiero non è complottista ma esprime i naturali sospetti. Fra gli interpreti nasce un litigio, strutturalmente rappresentata con un confronto acceso fra un presunto insegnate, personificante la verità assoluta, e uno studente perplesso. È una bella scena, sviluppata elegantemente nonostante la retorica il vittimismo e il solito bla bla bla sullo stato cattivo. Purtroppo pilastri della moderna letteratura sulla mafia.
Ci sono i soldi accettati dagli assassini, e gli ovvi dubbi della polizia.
Il regista non ha pietà, non accetta critiche alla santificazione di Gelsomina. Perciò tratteggia il contraddittorio fra Francesco e un poliziotto utilizzando un rissoso campo e controcampo. L'inquadratura è al limite per la posizione poco simmetrica e naturale dei due personaggi, scelta per accentuare il cinismo.
Il film prosegue fino all'omicidio e al funerale.
La struttura è apparentemente complicata ma l'autore la mantiene con polso. La sua direzione è classica: concepire un modello per contrastare i cattivi. Ci riesce con bravura e professionalità.
Se i monologhi verso alla camera sono esageratamente logorroici, le altre costruzioni sono eleganti e raffinate. Soprattutto l'allusiva sequenza della danza dei protagonisti, i quali ballano creando una elegante coreografia.
Gli interpreti, eccetto il povero attore costretto a esprimere il bastian contrario, sono particolari, centrali nel delineare caratteri forti. Francesco ha il ruolo più facile: è se stesso. Poi c'è l'interprete di Gelsomina, Maddalena Stornaiolo, nel mantra dei fratelli: colpevole … colpevole … colpevole.
Massimiliano Pacifico sa unire due linguaggi. Sensibilizza i momenti salienti, come l'uccisione della ragazza. Utilizza solo attori e posizioni statiche. Scene simboliche, surreali: pochi interpreti e tanti messaggi subliminali. Il film è riuscito, ora sappiamo chi è Gelsomina, pure io l'ho capito.
(1) Roberto Saviano, Gomorra, Mondadori, Milano, Oscar, edizione 2016
(3) Giacomo 4, 12