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Hissein Habré, une tragédie tchadienne Regista: Mahamat-Saleh Haroun

Hissein Habré, une tragédie tchadienne

Regista: Mahamat-Saleh Haroun

Provenienza: Ciad, Senegal, Francia

Anno: 2016

Autore Recensione: Roberto Matteucci

“I had money, I had 5 wives.”

Il Ciad è un’ex colonia francese, indipendente dal 1960.

Circa dodici milioni di abitanti di cui 64,81% meno di 24 anni.

È una nazione giovane eppure di una povertà profonda. Il PIL è il 130° al mondo mentre addirittura il PIL pro capite scende al 196° al mondo.

Questi pochi dati servono a comprendere la situazione del paese.

Non è per l’Africa una situazione unica, è uguale a quasi tutti gli stati della zona, anzi per molti vicini sono peggiori come il Senegal, Mali, Benin, Uganda, Sud Sudan, Zimbabwe, e altri fino ad arrivare all’ultimo posto della Somalia. (1)

La storia del Ciad ha molti elementi in comune con tante nazioni africane.

Il post indipendenza è stato traumatico. Non esisteva una classe governante matura e pronta, ma era composta solo da vampiri pronti ad arricchirsi. D’altronde la popolazione seguiva il mero vantaggio minimo giornaliero e non c’era una volontà politica. Comportamento più che giustificata, quando si ha lo stomaco vuoto la filosofia non assume un valore fondamentale.

Gli scontri di potere del Ciad porteranno alla presidenza Hissein Habré. Eserciterà il dominio in modo unilaterale, schiacciando e umiliando gli oppositori. È banale e ovvio, ma l’esercizio di un’autorità malata parte dall’alto ma poi trova mille rivoli di soprusi piccoli e grandi.

Se sotto erano in tanti, anche sopra Hissein Habré c’era qualcuno. Aveva l’appoggio di tante nazioni. Il Ciad fu invaso nel 1972 dalla Libia e in suo sostegno arrivarono molte nazioni occidentali. Si può affermare che i confinanti – Libia, Sudan, Camerun, Nigeria, Niger, Repubblica Centrafricana. – hanno trattato il Ciad come un vaso di coccio, un campo di battaglia di guerre altrui.

Nel periodo del suo governo si conteranno circa quarantamila morti nelle prigioni.

Nel 1990 Hissein Habré sarà cacciato dall’attuale presidente Idriss Déby trovando esilio in Senegal. Le tante richieste di arresto saranno negate fino al cambiamento di politica degli USA:

“After living in exile in Senegal for 22 years, Habre was arrested in Dakar in July 2013, less than 72 hours after US President Barack Obama expressed his support for a trial during a visit to Senegal.”

www.aljazeera.com/news/2017/01/chad-hissene-habre-appeals-conviction-life-sentence-170109131403812.html

Arrestato e processato a Dakar, Hissein Habré nel 2016 è stato condannato all’ergastolo e al pagamento dei danni. La corte era africana ma l’imposizione del processo arriva forse dagli stessi paesi in precedenza alleati.

È di questi giorni la notizia dell’appello degli avvocati contro la sentenza.

Le speranze dell’ex presidente sono poche, e lo dimostra anche il film Hissein Habré, une tragédie tchadienne di Mahamat-Saleh Haroun presentato a Cannes e al 13°. Dubai International Film Festival.

Il regista utilizza Clément Abaïfouta, presidente della Association of the Victims of the Crimes of the Hissein Habré Regime, come strumento d’illustrazione sugli eventi passati. Esso incontra e parla con tanti perseguitati ancora sopravvissuti, presentandoci i dettagli macabri delle violenze.

Il film inizia con delle foglie in movimento, con una lettera non scritta, e dei bambini ripresi non a fuoco. Sono forse i tanti bambini del paese, le vittime innocenti e ancora sofferenti.

Clément Abaïfouta è la voce fuori campo. Inizia a incontrare le persone.

Ci sono di tanti tipi. La sua volontà è pacificatrice perciò tenta addirittura confronti fra torturato e torturatore. In alcuni casi non ci riesce in altri sì.

In uno degli incontri, seduti su una panca uno di fianco all’altro, ci sono tutti e tre, con mezzo il mediatore. Fra la vittima e l'aguzzino non c’è differenza, sono entrambi due disgraziati. Il dialogo è surreale:

“I was a soldier”

“You have a brain”

“Hit my stomach”

“I’m sorry”

“It was order”

“I am a dog?”

Le scuse arriveranno ma una richiesta di perdono insignificante perché arrivano da un altro sventurato, da un altro perdente.

Ci sono incontri forti, emozionanti, individui con ferite profonde, menomati fisicamente e psicologicamente, persone depresse per le forti violenze: “I wished to die.”

Molti piangono, hanno il volto triste, i segni dei supplizi, le cicatrici, i denti caduti, altri reagiscono con fermezza, orgoglio, il loro dolore è personale, intimo da non mostrare agli altri.

Ci sono incontri sereni e allegri. Una vittima raccontava di come i carcerieri lo colpivano violentemente ai testicoli. Più che il dolore era la paura di diventare impotente. Poi nell’intervista il volto s’illumina, è felice perché ha trovato una moglie e ora ha quattro figli, ha ripreso la virilità che temeva di aver perso.

Durante il film si mostrano i disegni delle torture, sono a simili a quelle di altri posti di sventura, come quelli visti a Phnom Penh nella terribile scuola prigione S21 di Pol Pot.

Esiste perfino un momento di lirismo, come la recita una poesia di Baudelaire da un ex carcerato. Il quale indovina il tema parlando di morte banalizzata, la vita non era un valore da difendere ma una cosa ordinaria con cui convivere normalmente. Pure dei corpi non avevano rispetto, i cadaveri erano usati come cuscini.

Una narrazione intensa, profonda, commovente in molte parti. Le immagini sono impetuose ma pulite; le inquadrature ricercate, tutti i personaggi sono fermi di fronte alla camera, in posizione, riprendendo lo sguardo sofferente, l’autore è capace di rappresentare il dolore e il passato di una storia penosa.

Questo tipo di documentario ha il solito difetto, non avere il coraggio di presentarci l’altra fonte, il perdente, lo sconfitto. Nessuna voce contraria, nessun avvocato, e soprattutto nessuna parola di Hissein Habré.

Cacciato Hissein Habré la situazione del Ciad è ancora pessimistica. Continuano i problemi al nord con la Libia, è di questi giorni la chiusura della frontiera. Contrasti profondi esistono anche con il Sudan. Le tensioni militari, tentativi di colpo di stato sono sempre possibili.

1 dati economici e sociali dal sito Central Intelligence Agency www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/cd.html