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Il Grinta - True Grit Regista: Ethan Coen e Joel Coen

Il Grinta - True Grit

Regista: Ethan Coen e Joel Coen

Anno: 2010

Provenienza: USA

Autore Recensione: Roberto Matteucci


“Niente è gratuito in questo mondo tranne la grazia di Dio.”

I fratelli Ethan Coen e Joel Coen riportano la grande epopea del west sugli schermi con un’entusiasmante remake: Il Grinta - True Grit.

Il film è ricco di spunti, personaggi e caratteri; tutti accentuati per l’atmosfera calda e avventurosa dell’epoca pionieristica. Si riprende dall’omonima pellicola del 1969 interpretata da John Wayne, si rileggono i personaggi con l’ironia e sarcasmo tipico dei fratelli Coen e siamo dopo quarantatré anni di nuovo spediti verso l’infinito delle praterie.

Il filo conduttore è la vendetta. Un bandito ha ucciso il padre di una ragazzina, ed essa, con determinazione vuole giustizia di qualsiasi tipo. Troppo piccola perché riesca da sola ma furba e intelligente per scegliere la persona giusta, grazie alla sua dote di essere ascoltata e convincente.

Inizia la caccia all’uomo, lungo sentieri sterili con inseguimenti e tante affascinanti sparatorie. Il Grinta è un personaggio cinico e stanco della vita. Sopravvive alla giornata e campa dando la caccia ai ricercati. I suoi inseguimenti finiscono immancabilmente con l’uccisione del malcapitato, quasi a sfogare, in questo suo divertimento macabro, le sue umane difficoltà. E’ un giustiziere esagerato e smodato; è disinteressato alla giustizia e alla verità nelle accezioni più nobili, ama se stesso e la voglia di sopravvivere.

Tutto sembra finto nel film. Dalla passione equilibrata del classico Il Grinta di John

Wayne, si passa a un’innaturale ironia, come l’applauso dei tanti spettatori di un’impiccagione. Da questo inizio comprendiamo la didattica del film: non prendersi troppo sul serio. I Coen dirigono il film come quadri rinascimentali. Scene molto scure, dark; dove appaiono inaspettate delle luci gialle, fioche ma ben visibili nel nero dello sfondo: ricorda quadri di El Greco o di Georges de La Tour, quando la luce di una candela squarcia l’oscurità dei colori. Queste luci artificiali arrivano improvvise e sono così intense da stabilire una congiunzione con il villaggio finto e le sue praterie ambigue.

Nella scena del processo, Il Grinta è accusato di eccesso di violenza contro i ricercati. La sua indifferenza e insofferenza, unita alla freddezza del cacciatore di taglie, sono accentuate dalla forte e accecante luce proveniente dalla finestra. L’ambiente del tribunale diviene in questo modo una totale finzione.

Una ricchezza della pellicola arriva dal linguaggio veloce e brillante della ragazzina sagace e spietata nei giudizi, e dal cacciatore finto e stanco. Il Grinta è consapevole del suo essere un chiacchierone instancabile, si disinteressa di essere ascoltato. La sua logorrea è uno sfogo di una vita non realizzata. Trova riparo rimanendo in uno stato di costante sbronza e si realizza soltanto sparando e uccidendo. Potrebbe sembrare finito e inutile, in realtà è goffo ma veloce e spietato oltre ad essere un valente poliziotto.

Sono personaggi esagerati ma unici. Non potrebbero esistere nel mondo di oggi. Oggi dovrebbero essere politicamente corretti, conformisti, banali, e mai se stessi. Nel nuovo mondo delle praterie sono a loro agio. Nuove terre sono da conquistare, la strisciante anarchia dei pionieri non è ancora prigioniera di regole nefaste. Ci vuole del tempo per l’uccisione di ogni vitalità liberale; l’arrivo del presidente Obama è ancora lontano.

Questo è il grande west di cui si sente la mancanza. Gli spazi sono estesi e le distanze lunghissime. Le terre sono disabitate, gli incontri sono casuali e sempre con bizzarri personaggi. Il vuoto dell’ambiente è invece traboccante di luce o di oscure tenebre. Un maestoso cielo stellato e spazi infiniti sono visibili con un semplice movimento dello sguardo. C’è la volontà di essere un popolo, anche con tanti errori e difetti, ma con un forte desiderio di libertà e di una giusta affermazione del bene.

Il finale deve essere un classico. Il mitico e inesauribile scontro fra bene e male: il duello. In breve tempo tutto deve essere deciso, un solo vincitore; non c’è tempo per compromessi, politiche, menzogne. Il trionfatore potrebbe essere pure il male, il cattivo; ma non nel west, qui il bene è obbligato a vincere.

L’amore – in questo caso filiale per una ragazzina caparbia e testarda – vincerà. Salvandola rischiando la sua vita, il Grinta, vuole celebrare la vittoria della giustizia in cui la ragazza crede fermamente. Abbandonerà il cinismo e il suo pessimismo di uomo sconfitto dalla vita.

Oltre l’amore, ritroviamo un altro topos del western: l’amicizia virile e potente. Il west è un ambiente per uomini, le donne sono importantissime ma poche. Sono solo gli uomini ad affrontarsi in conflitti brutali, perciò devono legarsi: la violenza è cosa loro. Per sopravvivere a tanta crudeltà devono per forza stringersi uno con l’altro, avere un unico senso di appartenenza. Devono essere capaci di sacrificarsi, non per l’amico, ma per quel desiderio di vita in comune.

Tanti particolari crudi e violenti sono utilizzati come i serpenti velenosi. I loro personaggi sono esagerati, come l’ambiente di un mondo ancora da colonizzare. A differenza dei personaggi iperbolici e sconfitti di Burn After Reading e A Serious Man, il Grinta nella sua umanità disastrata rappresenta un’eccezione vincente. Accetta il suo destino senza speranze, un unico gesto di amorevole gentilezza lo eleverà per tutta la sua esistenza. E così la vendetta, da crudele e spietata esecuzione di una giustizia privata, diventa pubblica e morale.

Tutto è fasullo. La scena più contraffatta è la lunga corsa, prima a cavallo e poi a piedi del Grinta con la ragazzina sulle braccia. E’ finta e falsa come la storia del west. Però come dicono i fratelli Coen, è bello crederci.

Jeff Bridge è più umano del maschile e perentorio John Wayne.