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Joker Regista: Todd Phillips

Joker

Regista: Todd Phillips

Cast: Joaquin Phoenix, Zazie Beetz, Robert De Niro, Frances Conroy, Brett Cullen, Douglas Hodge,Shea Whigham, Bill Camp

Anno: 2019

Provenienza: USA, Canada

Autore recensione: Roberto Matteucci

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Sono tempi duri.”

La fantasia degli autori della DC Comics generò una metropoli immaginaria per le avventure di Batman: Gotham city. È una metropoli con una vasta e articolata complessità, con una miriade di problemi. Gotham City è la copia di New York, la stessa umanità, le stesse difficoltà. Eppure per il sito www.numbeo.com New York non ha un elevato indice di criminalità: i livelli sono valorizzati come bassi o moderati in tutti i segmenti. Ci sono decine di grandi città molto più pericolose.

New York è centralizzante, rappresenta il culmine della vita, sia nel bene, sia nel male, e nella storia cinema c'è la conferma.

Specialmente è il centro della supremazia politica, della borsa, delle multinazionali, descritte sempre senza anima e cinica. Perciò una lotta contro il potere può nascere solo lì.

Nell'epicentro del mondo nasce uno dei personaggi più crudeli dei comics: Joker.

La sua formazione criminale è raccontata in uno spin-off, nel film Joker del regista Todd Phillips presentato alla 76° Mostra Internazionale dell'arte cinematografica di Venezia, vincendo il leone d'oro.

A Gotham city è il 15 ottobre. Uno sciopero dei netturbini da tempo sta riempiendo la city di sporcizia. Un immondezzaio non solo fisico, ma anche colmo di una cattiveria inverosimile.

La camera carrella in avanti fino a inquadrare un uomo. Si sta truccando. Un close-up mostra particolareggiatamente le sue lacrime. Sono lacrime nere, gli stanno sporcando il volto. L'uomo è Arthur Fleck, vorrebbe essere un clown, vorrebbe far ridere. Sogna di essere un comico. In attesa svolge delle attività per una agenzia con piccoli lavoretti insignificanti. Abita con una madre malata, la quale lo costringe a sognare su delle falsità

Establishing Shot sulla città. Arthur/Joker sta saltando su un marciapiede affollatissimo con un cartello nelle mani. I rifiuti umani capiscono la debolezza, così dei ragazzini gli strappano il cartello e fuggono. Arthur li insegue, ma in un agguato lo picchiano lasciandolo ferito e moribondo in un vicolo. Arthur è caduto ancora più in disgrazia.

Nello sporco vicolo c'è il germe della nascita del diabolico, cinico e crudele Joker.

Il Joker di Todd Phillips è frutto di una miscela sociologica e psicologica. La conseguenza è un personaggio difendibile, scusabile: la spietatezza futura non è colpa sua ma della sua problematica infantile. 

Ma c'è di più. Todd Phillips è intelligente. Non si sofferma sulla crescita di una personalità malefica. La pellicola ci racconta la motivazione della genesi di un ghigno, e perché durante la sua esagerata ferocia Joker esibisce ininterrottamente un sorriso sarcastico.

Joker è superbo, vanitoso, altezzoso, vuole a tutti i costi essere un comico. Soprattutto è iroso, arrabbiato, gli scatti nervosi gli deformano perfino l'aspetto corporale. È stravagante, ma ugualmente elegante con i suoi vestiti giallorossi e i colori accessi della maschera.

La malattia gli provoca esplosioni di riso spropositati, senza senso. Ha sempre con sé un biglietto da consegnare a chi lo guarda stupefatto. C'è scritto la ragiona della sua inconsueta ilarità.

La sua risata ha un padre nobile, un ispiratore: Charlie Chaplin in Tempi moderni, citato nella pellicola. L'ilarità è sia allegra per le buffe disavventure, sia triste per l'insofferenza alienante dell'uomo contemporaneo. È l'identica dicotomia di Joker.

Nessuno ride quando si esibisce in un locale, il risultato è più malinconico che esilarante: "When I was a little boy and told people I was going to be comedian, everyone laughed at me. Well no one's laughing now."

La lettura del film è nel close-up iniziale. In Arthur le due bocche hanno una direzione opposta. Quella dipinta ha le estremità verso l'alto, ma la bocca vera tende all'opposto, tendente al basso. Allora la deve aiutare. Prende le mani e spinge gli angoli della bocca in alto. Ora entrambe abbiano la medesima linea. Lo stesso farà con il presunto fratellastro. È un ragazzino infelice, deve aiutarlo per renderlo allegro.

Arthur vive in profonda solitudine, dedito unicamente alla cura della madre: apre la casetta delle poste, non c'è niente e la sbatte, non ha contatti con il mondo esterno.

Come può Arthur salvarsi dalla malvagità, dalla sofferenza e dalla finzione della madre?

Arthur è in fondo a una scalinata, l'autore lo riprende dall'alto. Esso è nel basso più profondo, in pieno sconforto per aver saputo il segreto della madre.

Arthur trova due sistemi per liberarsi dal dolore.

Uno è l'amore per una donna, con essa è felice e normale.

Il secondo è più materiale e definitivo. È raccontato in una bellissima scena. Arthur è all'interno di una stazione della metropolitana, indossa l'usuale costume e la maschera da clown. La stazione è sudicia, piena di porcherie, trabocca ovunque. Entra in una carrozza mal messa. La luce è alternata perché la fonte è ostacolata. Nel vagone ci sono dei manager finanziari arroganti. Infastidiscono una ragazza. La collera di Arthur sfocia nella sua smisurata risata. Ora l'attenzione dei giovani è su di esso. La sua reazione è catartica e risolutiva. Sarà questa azione a eleggere Joker come leader della ribellione violenta che sta sconvolgendo la città. Il suo travestimento sarà il simbolo della guerriglia urbana: la maschera è gettata su un bidone nella strada stracolma di monnezza. È in evidenza, in focus, mentre lo sfondo è sfuocato: sarà Joker la speranza di tanti sbandati.

Il regista ha bisogno di Joaquin Phoenix per ottenere un effetto popolare. Perciò lo esalta con molti primi piani, zoom sul volto, riprese dall'alto delle sue smorfie e delle sue goffe movenze da ballerino. I colori primari giallo e rossi marcano i toni scuri, sono le stesse tonalità di un fumetto. Ci sono poi le sequenze fisiche di Phoenix, nella magrezza eccessiva, nei lividi della pelle.

We are all clowns.” Si può essere clowns pure di fronte alla pazzia.

In una delle scene meglio riuscite, Arthur riceve la visita di due colleghi. Uno è servile e viscido, capace di battute terribili sull'altro collega nano: “voi lo chiamate minigolf o semplicemente golf?”. La rabbia di Joker si sfoga contro il prepotente. Il nano è però spaventato e cerca di fuggire. Non riesce a raggiungere la catena che blocca la porta. Joker lo terrorizza – per scherzo - e poi gli apre e lo lascia uscire.

La tecnica non è rivoluzionaria ma il lavoro sui caratteri, sull'eleganza delle scene, sulla posizione perfetta della camera, sugli zoom ironici (zoom sul viso del manager e la sua voce diventa non udibile), sulla follia lucida, sulla differenza sociale come nel raccordo fra il costosissimo lavandino del palazzo e quello disgustoso, sporchissimo dell'appartamento di Arthus dopo aver ricevuto un pugno in faccia.

Nel finale i travestiti black bloc prendono il controllo, la polizia è sconfitta. Tutti sono nascosti dietro una maschera come nei quadri simbolisti di James Ensor. Se siamo tutti camuffati, siamo tutti irriconoscibili. 

Ma a Joker gli manca qualcuno. Qualcuno di fondamentale, capace di riportare l'ordine e la giustizia: manca la maschera di Batman. 

Anch'esso fu vittima di un delitto atroce, un ladro gli uccide i genitori, ma al contrario di Joker, sceglie la parte giusta.