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Liar's Dice Regista: Geethu Mohandas

Liar's Dice

Anno: 2013

Regista: Geethu Mohandas ;

Autore Recensione: Roberto Matteucci

Provenienza: India

50. Mostra Internazionale del nuovo cinema di Pesaro

“Ladro di capre.”

Il perudo (liar’s dice) è un gioco con i dadi. I giocatori tendono a raggirare gli avversari, i quali devono scoprire l’inganno.

La stessa filosofia ha il film indiano Liar’s Dice, girato da Geethu Mohandas, un’attrice di successo a Bollywood.

Liar’s Dice si è aggiudicato, a buon diritto, il premio come migliore pellicola in concorso alla 50° Mostra del Nuovo Cinema Internazionale di Pesaro.

La storia inizia e termina nello stesso luogo, sulle alte montagne della regione indiana dell’Himachal Pradesh. Siamo al nord dell’India, sull’Himalaya, al confine con il Tibet.

Nel povero villaggio montano di Chitkul è inverno. Una neve bianchissima, pulita, limpida illumina l’inquadratura e l’ambiente. Kamala è sposata, ha una bambina Manya bella, vivace, esuberante. Kamala lavora duro – inquadrata dal basso nell’esprimere la durezza del volto - perché suo marito è partito da qualche mese per Shimla, la capitale della regione. Ha bisogno di lavorare poiché Chitkul è malinconicamente bellissima, ma mestamente misera.

Dopo la partenza l’uomo chiamò la moglie una volta. In seguito, quando essa chiama il cellulare del marito squilla invano, nessuno risponde. Rimasta sola, Kamala desidera ritrovarlo, allora inizierà un viaggio verso Shimla, senza nessun aiuto, con pochi soldi, con la figlia e una capra.

Il film è un road-movie, un viaggio al ritrovamento di una relazione umana difficile e inverosimile, all’interno di un’India, tigre economica, ma con molti disgraziati lasciati indietro.

Dal paesino Chitkul si parte per raggiungere Shimla e, in seguito, la grande sconclusionata metropoli Dehli. È un tragitto duro, un po’ a piedi, in autobus, in treno. Essa si sente minacciata da una società poco protettiva nei confronti delle donne. Perciò istintivamente si ritrova a percorrere la strada con un uomo, Nawazuddin. Egli sta allontanando clandestinamente e s’incontrano per caso una notte ventosa e fredda. Nella tempesta e dopo una rissa rimangono soli. Egli parla sporadicamente ma ha il fascino seduttivo di un uomo volitivo.

Nawazuddin è un duro, nasconde chiaramente un segreto. La donna si sente protetta e gli chiede di aiutarla. Egli risponde con la protervia e l’arroganza da maschio indiano ma si sente toccato, attratto dalla bella Kamala e dall’espansiva figlia.

Il resto della storia è un benevolo inganno ambientato a Dehli fra luci di negozi di dubbia moralità, pittoreschi e luridi hotel, rumori assordati per tutta la notte e una distesa di senzatetto sdraiati a dormire sulla strada in condizioni igieniche disgustose.

All’interno della globalizzante città, nonostante le solitudini e le atroci difficoltà, emigrano migliaia di lavoratori, soprattutto impiegati in lavori edili per costruire i giganteschi grattacieli. Sono i senza nomi indiani. La regista in un’intervista descrive:

“I’ve always been intrigued by the socio-political and government apathy towards migrant labourers. These people, numbering in their millions, are the nameless of India. The one common thing that Indians in all their diversity have is their social value system. Unfortunately, migrant labourers don’t even have that. In Delhi, as she goes from one construction site to another, Kamala soon finds herself lost in the dog eat dog world. She becomes a prey – much like her goat. Although the socio-political conditions are the constant undercurrent in the narration, it is also an unusual love story between two unlikely characters.”

(www.thehindu.com/todays-paper/tp-features/tp-metroplus/the-nameless-millions/article5457084.ece)

Sono i due temi del film: l’India moderna e umanamente distruttrice per i senza nomi dei meschini lavoratori e il rapporto di attrazione fra le due persone “unlikely characters”.

La prima tesi è narrata da un lungo itinerario ricco di fermo immagini, silenzi interrotti dal rumore dell’acqua o dal suono della campanella della capra.

C’è una ricerca della luce, con l’individuazione di fonti particolari, come il viso rischiarato dal display del cellulare (il mezzo da cui si aspetta una speranza). Ma nel viaggio c’è, purtroppo, un tono folkloristico, come i giochi da circo a Delhi o la scena alla Rambo, nella quale Nawazuddin ferito si auto compie un intervento chirurgico con uno sporco coltellaccio.

La relazione fra i due è più interessante. Parlano poco, in compenso la bambina è vivace e loquace per tutti. Gli sguardi teneri e fugaci sono inquadrature veloci, mentre gli schiaffi dell’uomo alla donna descrivono una relazione umana impossibile. La solitudine li unisce, entrambi scappano da una realtà difficile e dimenticata. Si cercano e si lasciano. Nella grande e popolosa Delhi si possono aiutare reciprocamente.

Ma è un bluff. Come nel liar’s dice i dadi sono nascosti da un bicchiere oscuro, anche nelle recondite tasche del bisunto zaino di Nawazuddin c’è celato il gioco iniziato dalla donna. Essa lo scoprirà alla fine. Sempre la regista:

“Liar’s dice is a gambling game that requires players to deceive and also detect their opponent’s deception. Nawazuddin has a hidden agenda and the game is sort of a metaphor in the story. Somewhere down the line Kamala becomes a catalyst in the game that he is playing.”