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Madre! – Mother! Regista: Darren Aronofsky

Madre! – Mother!

Regista: Darren Aronofsky

Cast: Jennifer Lawrence, Javier Bardem, Ed Harris, Michelle Pfeiffer

Anno: 2017

Provenienza: USA

Autore Recensione: Roberto Matteucci

“Sono suo padre.” “Sono sua madre.”

Michelle Pfeiffer è la persona più lucida nel suo sintetico commento al film Mother! del regista Darren Aronofsky presentato alla 74°. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia del 2017.

“Quando ho letto la sceneggiatura la prima volta ho pensato cosa diamine è questo” (i) ha confessato un’innocente Pfeiffer. Certo non è stata l'unica; tutti uscendo dal cinema si chiedevano “che diamine è questo?”

Poi la sincera Pfeiffer lancia una ulteriore micidiale affermazione: “ho avuto una reazione isterica la prima visione, mi ha distrutto.” (ii) Anche in questo caso, non è la sola.

Lasciamo stare i fischi, normali e umani, dopo la rappresentazione della stampa, Mother! ha scatenato un nuovo gioco, tutti si sono cimentati in maniera bizzarra a interpretare il segreto recondito, molto occulto della pellicola.

Nel film c'è di tutto e il contrario di tutto, ma forse nessuno l’ha individuato semplicemente perché non c'è nessun significato. D’altronde un film non ha bisogno di lanciare un messaggio per essere tale, non è il suo fine. Questo è il motivo del tanto rancore manifestato dopo le proiezioni, non riuscire a capirlo getta nello sconforto, con una peggiore aggravante, il dubbio di non essere all'altezza, di essere poco intelligente. Malumore acuito quando si comincia a sentire le più dotte delle interpretazioni.

Noi cominciamo dall'interpretazione doc, quella dello stesso regista:

“I really wanted to make this kind of allegory about Mother Nature and our place and our connection to our home. And so I cast Jennifer Lawrence as that spirit and then I had this breakthrough of using, to tell the story of humanity, the stories of the Bible.” (iii)

Parla di Madre Natura, storia dell'umanità, storia della Bibbia, vale a dire di tutto, perché la storia dell'umanità sono migliaia di anni e la Bibbia non è un libro corto e semplice; quindi il chiarimento dell'autore non è più lineare della narrazione.

Il luogo simbolico è rappresentato da una grande casa, un po' malandata, ma sicuramente solida, e protettiva. È mattino presto, delle mani sporche sono riprese in primo piano, stanno prendendo un oggetto, a seguire un primo piano di Javier. È all'interno di una camera. Nello stesso momento Jennifer si sveglia, non trova il marito nel letto, gira per casa, è ripresa da dietro poi, il regista, trasforma l’inquadratura di una sua soggettiva. Con gli occhi di Jennifer osserviamo la casa, la porta, il minaccioso estero dell’edificio costituito dal nulla, tanta natura ma nient’altro. Lo sguardo è perso, in primo piano, si gira e si spaventa.

Il film è pieno di soggettive della Jennifer, inquietanti, totali, perché essa vede un mondo diverso: “tu eri la casa”.

Il seguito della storia mantiene un fondo di follia non comprensibile e neppure inquadrabile.

Forse Jennifer è l'unica a essere delineata, anche perché la camera è sempre sulla donna, soprattutto per giustificare il suo onesto amore per Javier.

Arriva uno sconosciuto dottore, fan dello scrittore Javier. Arriva pure sua moglie. Entrambi accolti da Javier con entusiasmo, mentre Jennifer esprime una forte contrarietà alla presenza di estranei; ha il timore che possano contaminare la casa e il suo lavoro di riparazione. E, infatti, il contagio avviene.

Gli ospiti forestieri aumentano esponenzialmente, dimostrando inoltre una dolosità inconcepibile. Dalla maleducazione sfacciata e curiosa della moglie del dottore si arriva all'inverosimile, alle peggiori manifestazioni umane, come l'uccisione di un neonato per essere mangiato.

La storia è un crescendo d’immagini forti, di personaggi incomprensibili, rumori determinati, scricchiolii inquietanti, pavimenti che sgocciolano sangue, cantine minacciose.

Aronofsky esalta ognuno di questi elementi, e utilizza come spiegato da se stesso in un’intervista tre tecniche:

“But the entire film is shot only with three camera angles: close-up, over-the-shoulder and P.O.V. [Jennifer Lawrence’s point of view]. That basically was the entire language. “ (iv)

La camera a mano è l'elemento predominante perché caratterizza il rapporto inquietante, incerto, fino a divenire impossibile e inguardabile fra la coppia della casa. È sempre la camera a mano a dominare la presenza angosciosa e minacciosa dei tanti inaspettati ospiti. La camera è incessantemente veloce, insegue l'azione come nell'esempio dell'incidente in cucina, il fischio della pentola a pressione presagisce la catastrofe e la corsa con la camera a mano agitata, profetizza il disastro.

Il film sconvolge la scienza, la fisica, l'anatomia, il tempo, la ragione, non esiste nulla di razionale, ma l’ultima inquadratura mantiene una speranza, una speranza circolare, la scena finale è l'inizio della storia.

Nella visione bisogna essere come il regista ci vuole, diventare delle entità irrazionali e spirituali, pensare alla storia dell’umanità, a Madre Natura, alla Bibbia. Se pretendiamo di guardare il film come essere razionali, possiamo solo accodarci al manipolo di fischiatori della rappresentazione della stampa, facilmente assimilabili metaforicamente alla schiera degli esseri inumani assaltatori della povera casa di Jennifer e Javier.

(i) https://www.youtube.com/watch?v=u6LHr1K-Xn4

(ii) https://www.youtube.com/watch?v=u6LHr1K-Xn4

(iii) https://www.nytimes.com/2017/09/14/movies/darren-aronofsky-interview-mother.html?mcubz=1

(iv) https://www.nytimes.com/2017/09/14/movies/darren-aronofsky-interview-mother.html?mcubz=1