POPCINEMA.ORG

View Original

Night in Paradise – Nak-won-eui-bam Regista: Hoon-jung Park

Night in Paradise – Nak-won-eui-bam

Regista: Hoon-jung Park

Cast: Seung-Won Cha, Tae-goo Eom, Yeo-bin Jeon, Ki-young Lee, Ho-San Park

Provenienza: Sud Corea

Anno 2020

Autore recensione: Roberto Matteucci

Click Here for English Version

Crede di essere in un film.”

Lo sviluppo economico della Corea del Sud, iniziato negli anni settanta e ottanta, ha cambiato la società coreana. Il miglioramento finanziario, non ha svilito la tradizione confuciana della quale è impregnata la civiltà coreana. La prevalenza del gruppo sull'individualismo, il rispetto per l'autorità, per il padre, il rapporto all'interno di una organizzazione e la conseguente devozione per il boss.

C’è l'aspetto contrario. Con la crescita del PIL perfino le famiglie mafiose hanno avuto una perentorio progresso, mantenendo anch'essi, una struttura confuciana. I membri hanno la massimo deferenza per i leader e seguono la sua sorte nel bene e nel male.

Se qualcuno colpisce un casato mafioso, ci sarà esclusivamente un sistema: la vendetta.

La vendetta in Corea è stata raccontata in brillanti film come Lady Vendetta e Old Boy di Park Chan-wookPietà di Kim Ki-duk. La vendetta coreana assomiglia a un airone, il quale attende pazientemente la preda. Infatti, non compiono mai un gesto di rabbia impulsivo. È, invece, una soluzione elaborata, precisa, ferisce nei sentimenti, nella psicologia e nel fisico. Come la madre del film Pietà. Il figlio è morto suicida a causa delle minacce dell'esattore di uno strozzino. La donna l'inganna inducendolo a pensare che sia la madre. Successivamente, lo spinge a prendere coscienza della propria brutalità, e lo distrugge con il dolore di perdere una madre. Una progettazione meticolosa ma efficace e crudele.

In Pietà la vendicatrice è la madre, in Moebius è una ragazza a tagliare il pene al suo violentatore, in Lady Vendetta è una studentessa stuprata. Sono tutte donne. La vendetta coreana è donna? Solo le donne possono compiere la giustizia primitiva? Ovvero soltanto le donne sono in grado d'ideare le vendette più dettagliate e malvagie?

Il tema della società coreana è visto attraverso la rappresentazione aspra di una battaglia fra gruppi mafiosi e la successiva vendetta efferata, sono le caratteristiche del film Night in Paradise – Nak-won-eui-bam del regista coreano Hoon-jung Park presentato alla 77° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

Tae-gu è un potente membro di una famiglia mafiosa. È giovane, bellissimo ma è solo. Gli unici affetti sono la sorella e la piccola nipotina. Ma Tae-gu ha commesso un errore avvicinando un capo di un clan nemico, e la rappresaglia è terribile. La macchina, su cui viaggiano sorella e nipote, sono uccise con un incidente premeditato.

Tae-gu, con l’aiuto del capo clan, si scatena in una punizione sanguinolenta in una sauna. Per evitare ulteriori ritorsioni gli suggeriscono di rifugiarsi momentaneamente nella incantevole isola coreana Jeju, protetti da Kuno e dalla nipote Jae-yeon. Jae-yeon ha una malattia mortale e sta morendo. Lo zio cerca di trovare i soldi per curarla, addirittura vende armi a individui spietati.

Ma nella strage della sauna il capo avversario è sopravvissuto. Ora vuole una ritorsione, vuole il colpevole “allora come pareggiamo i conti?”

Tae-gu diventerà il bersaglio di una caccia accanita. I clan si uniscono nella caccia ma non hanno calcolato i contesti personali e psicologici di Tae-gu e Jae-yeon. Alleatesi la loro reazione sarà altrettanto sanguinaria.

Il film affronta la società coreana nella dimensione peggiore, quella della mafia. È un'ottica condivisa con tanti stimolanti maestri del genere.

Takeshi Kitano raffigura la yakuza, come una trasposizione moderna degli antichi samurai, i quali rispecchiano l’onore e l’orgoglio del Giappone.

John Woo è impegnato a 

“… creare un personaggio moderno, contemporaneo, che comprenda però gli elementi della tradizione; poliziotto o criminale, deve incarnare lo spirito di un moderno cavaliere cinese.” (1)

Johnny To usa pallottole svolazzanti, le quali acquisendo una vita propria per creare un mondo reale.

In tutti, compreso Hoon-jung Park, interpretazione del noir è la narrazione di un paese – Giappone, Cina, Hong Kong, Corea del Sud - attraverso il banditismo. La violenza, la mafia, consente di avere una ipertrofia dei caratteri, e conferisce la peculiarità di percepire la realtà vista da una lente d’ingrandimento.

Le situazioni introspettive sono ugualmente importanti. il tradimento, la vendetta, l’infamia, la ferocia, ma anche la fedeltà, l’amore e il comportamento umano quando si ha la sicurezza di morire rapidamente.

Il regista, in conferenza stampa via video, evidenzia una prospettiva interessante della pellicola, la location, l’isola Jeju. Jeju è una grande isola, a sud, nello stretto coreano (The island lies in the Korea Strait). La Lonely Planet la definisce:

Jeju-do (제주도), Korea’s largest island, has long been the country’s favourite domestic holiday destination thanks to its beautiful beaches, lush countryside and seaside hotels designed for rest and relaxation.

There’s plenty on Jeju-do to appeal to those who prefer to be active. Hike up South Korea’s highest mountain, Halla-san, or climb the incredible tuff cone Seongsan Ilchul-bong, rising straight from the sea, to watch the sun rise from the ridge of a crater. For a less-demanding nature experience, meander along one of the Jeju Olle Trails and explore tangerine-trimmed country roads, jagged coasts and narrow lanes dotted with cottage-style homes made from black lava rock. The ocean is never far away, so plunge into blue seas to view coral as colourful as the sunsets and dig into Jeju-do’s unique cuisine, including seafood caught by haeneyo (female free divers).” (2)

Dovrebbe essere un posto fantastico, sia per quanto scrive la Lonely Planet, sia per quanto affermato da Hoon-jung Park, usando una iperbole:

... per me Jeju è una delle protagoniste del film, perché volevo comunque raccontare quanto bella fosse questa isola. Ma io non sono riuscito all’ 1% perché è immensa la sua bellezza naturalistica. Poi tralatro, i due protagonisti sono veramente due persone disperate, quasi arrivate alla fine del mondo ma i loro aspetti degli ultimi giorni della vita li volevo proiettare in un posto bellissimo, quasi un paradiso.” (3)

Perciò, l’isola è uno dei protagonisti ed è un paradiso per passare l’ultimo periodo di vita.

Come descrivere Jeju? Luminosa, seducente, pacifica, antropomorfica, lussureggiante, magniloquente, luogo ideale per le vacanze. Ma pure superba, vanitosa negli atteggiamenti. Sensuale per la vegetazione immacolata. Vigoroso nell'abbondante naturalismo, nessuno la può scalfire. Sicuramente è timorosa di Dio, perché nel suo territorio avviene la giustizia divina.

I comprimari sono Tae-gu e Jae-yeon.

Tae-gu è sexy, ogni inquadratura è una esaltazione del suo fascino. Una bellezza anche morale giacché non esita a difendere o ad attaccare, distaccato dai rischi. La sua personalità muta. Da fedele esecutore del clan, diventa prima uno implacabile vendicatore, poi è una preda debole e poi indifferente della vita. Il cinismo l'induce a una calma serafica nientemeno nei circostanze più pericolosi, fino a essere inesorabile.

Jae-yeon è bella. Vive nell'eden dell'isola con lo zio. Il suo destino è segnato dalla malattia. Nonostante abbia momenti di debolezza, di depressione è una ragazza forte, energica. La determinatezza evolve in raccapricciante ira quando presenta il conto della vita.

I due giovani inizialmente si sfidano. Jae-yeon lo provoca - “Che noia voi vecchi” - lo deride, ma, come sempre, l'avversione iniziale si trasforma in amore, in un valore unico. Entrambi sono diffidenti. Entrambi sono disillusi. Entrambi sono saturniani, malinconici e tristi. Soprattutto, entrambi sono autodistruttivi. Hanno un timer attivato verso la distruzione definitiva. Ma entrambi non hanno paura. Il loro amore è disincantato, senza alcuna lussuria, benché Jae-yeon offra al ragazzo la possibilità di dormire insieme. Tae-gu offeso rifiuta, non vuole essere un oggetto. La scelta di Tae-gu è calcolata, è voluta dal regista. Alla conferenza stampa espone i personaggi:

Prima ti tutto non ho pensato ruolo femminile o ruolo maschile ma piuttosto una persona che quasi sa che deve morire quindi rimangono periodo breve per la sua vita quindi non ha paura di nulla, non ha nulla da perdere perciò prima ho descritto quasi una persona che non ha gusto di vivere non ha interessi quasi privo di sensi e di gusti dopodiché deve concludere la sua vita allora davanti a qualsiasi eventi lei prende decisione è più forte del suo carattere perciò questo non è determinato da il ruolo maschile o femminile solo approfondendo lo stato d'animo del personaggio.” (3)

Se il ruolo è femminile o maschile non è indispensabile, il sesso è superfluo. Si potrà scopare se mancano pochi giorni alla morte? Ovvero, più del sesso, è urgente realizzare la disumana vendetta?

Le sottolineature dei personaggi sono fondamentali.

Dissolvenza in nero sulla voce di Tae-gu, parla al cellulare, la sorella e la nipotina sono uccise, si vedono il resti della macchina, il particolare dell’ipad appena comperato alla bambina. Il volto di Tae-gu è freddo, incapace di mostrare sentimento. Eppure, ha un sensibilità intensa.

L’autore ama lo sguardo profondo dell'attore. È molto bello, gli occhi triste ma volitivi. È un uomo coraggioso. Ripete la medesima inquadratura numerose volte.

Negli incontri di Tae-gu aggiunge degli significativi campo e controcampo. Tae-gu mangia con il capo clan. Sono allo stesso tavolo di un ristorante e parlano. Separati gli altri componenti, seduti a un livello inferiore, vestiti in nero, sono delle comparse ma alquanto eleganti.

Tae-gu continua a mettersi in posa e il regista lo ricompensa con concentrati primo piano. È un divo, un divo della mala.

Uguale riguardo nella scena dei giovani seduti di fronte alla casa della famiglia nella quale sono ospiti. Tae-gu non è più solo. La disgrazia gli concede un tempo limitato ma di armonia con una persona. E la ragazza lo soddisfa confidandogli la sua complicata vita

Tae-gu è attraente pure quando sporco con il sangue delle sue vittime. Lo sguardo è appagato e imperturbabile, conscio di aver compiuto un'azione irreversibile.

Juje è tratteggiata dagli aerial-shot sulle colline, sulle spiagge, sulle rocce sul mare, sulle strade lunghe percorse da una macchina tra un verde rigoglioso. L'isola appare deserta, soffre di solitudine, identica a quella tormentata dei ragazzi. Ovunque c'è tranquillità e quiete; ingrandita nel confronto con una Seoul piena di palazzi, luci e traffico.

Hoon-jung Park è un filmmaker bravissimo nella visione individuale dei protagonisti, considerando fra essi, secondo la sua teoria, l'isola. È una osservazione corale incredibile. In Night in Paradise i tanti gangster si muovono come in un ballo, sono delle coreografie con una plasticità autonoma per il dinamismo vitale. Coreografia c'è nelle scene d'inseguimento, di sparatorie. La coreografia è lo sfondo ingegnoso per i ragazzi. Ma funzionano per il tono leggero, da cartoons. Le risse con pugni violenti e i colpi d'arma da fuoco, la morte arriva con difficoltà, ovvero con smorfie e contorcimenti selvaggi.

La ground-level-shot è la più usata e più elegante, mentre con i two shot concretizza la loro umanità.

I primo piano sono l'anima, spesso in controluce, in pace. I tempi dell'introspezione sono lenti ma non perde mai il ritmo dell'azione.

Ci sono i viaggi infiniti su e giù nell'isola, le zuppa di pesce del ristorante, piatto preferito per ambedue i ragazzi.

L'elemento etico potrebbe apparire inesistente per il ruolo mafioso svolto da Tae-gu, ma in realtà i personaggi hanno una valenza integerrima. Il film è lineare, realista, formale; surreale soltanto nei toni coreografici.

Nel magazzino dello zio, dai buchi delle innumerevoli pistole entrano dei raggi lucenti del sole e disegnano una fantasia speciale. L'atmosfera e la cadenza sono veloci ed emotivi, rendendo la pellicola sontuosa.

Il film è una ordalia, a giustificare una religiosità nascosta. Il giudizio di Dio è traslato, ma la castigo per assassini è certo. La punizione della volontà divina è intransigente e giusta. E l’artefice è una donna.

  1. Marco Bertolino e Ettore Ridola, John Woo. La violenza come redenzione, Le Mani, Recco, luglio 2010

  2. https://www.lonelyplanet.com/south-korea/jejudo

  3. https://www.raiplay.it/video/2020/09/Venezia-77-Conferenza-stampa-del-film-NAK-WON-EUI-BAM-NIGHT-IN-PARADISE-Fuori-Concorso-5775c384-1d26-4473-813f-f5be2273ad0e.html