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Pietà - Pieta Regista: Kim Ki-duk Cast: Jung-Jin Lee, Min-soo Jo

Pietà - Pieta 

Regista: Kim Ki-duk

Cast: Jung-Jin Lee, Min-soo Jo

Provenienza: Sud Corea

Anno: 2012

Autore Recensione: Roberto Matteucci

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Non bisogna mai morire per colpa del denaro.”

La Corea è un paese dalla intensa memoria culturale e civile. Le sue vicende storiche sono importanti e affascinanti.

Negli avvenimenti dell’Asia, la Corea fu schiacciata fra due giganti: Cina e Giappone. Nonostante le invasioni subite, ha saputo costruire un sentimento nazionale vigoroso, con delle diversità culturali fondamentali.

La Corea è lo stato asiatico – dopo le Filippine – con la più alta percentuale di cristiani.

Un cristianesimo inserito con le culture classiche, confucianesimo, buddismo e l’atavica religione della Corea, lo sciamanesimo, ancora oggi realtà insostituibile.

L’integrazione filosofica è avvenuta all’interno della popolazione, passando attraverso conflitti fra le varie forme di pensiero.

Malgrado le sconfitte e le dominazioni, i coreani rimangono legati alla propria identità e tradizione. L’animo patriottico è illimitato. Alla conclusione della guerra civile si allargo la differenza fra il nord sempre più emarginato e il sud sotto il controllo degli USA. Alla Corea del Sud arrivarono investimenti giapponesi e americani, contribuendo ad accelerare il benessere.

La caduta dell’URSS, l’isolamento dovuto anche a un culto della personalità, causarono un incremento del divario fra le due nazioni.

In questo momento un’unificazione – fra Corea del Nord e quella del Sud - è diventata molto difficile. Al Nord forti problemi economici, al Sud un aumento delle difficoltà sociali, come l’elevato uso di alcool, divorzi, suicidi e relazioni umane consumate.

Compaiono in Corea caratteri solitari, dotati di una inclinazione violenta, con sadismo e masochismo strutturali della vita quotidiana.

Il cinema di Kim Ki-duk, come quello di Park Chan-wook, rappresentano il disagio universale e personale coreano. Il film, Pietà, presentato alla 69° Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, è una summa di questi elementi.

Per stessa affermazione del regista l’idea proviene dalla più famosa fra le icone cristiane: la Pietà di Michelangelo:

Negli anni Novanta, quando ancora non ero un regista cinematografico, feci un viaggio in Italia, e durante una visita al Vaticano mi soffermai davanti alla Pietà di Michelangelo. Quell'’immagine di Maria che abbraccia piangendo il proprio figlio Gesù ferito, mi fece capire che l’umanità non può sottrarsi al proprio destino futuro, un destino fatto di dolore e sofferenze. Ora sono un regista, e desidero esprimere nei miei film quel profondo dolore dell’umanità che ho avvertito tutt’intorno alla Pietà.” (1)

La madre, la famiglia sono concetti presenti nella cultura confuciana:

Quel che si intende oggi-giorno per amore filiale è saper provvedere al sostentamento dei genitori. Ma persino cani e cavalli vi riescono! E dunque, se non il rispetto, che cosa distinguerebbe gli uomini dagli animali?” (Confucio, Dialoghi, Einaudi, Torino, 2006, pag. 13)

Questo pensiero si unisce indiscutibile con il cristianesimo. Il film è una sommatoria di madri anziane, malate, povere, devote ma tutte predisposte a sacrificarsi per i figli: “Tu non hai la madre?” Dall’altra parte i figli hanno il dovere della pietà filiale, l’obbligo sovrano di ripagare gli sforzi dei genitori per allevarli; si sentirebbero frustrati se non compissero il loro dovere.

Comprendendo queste motivazioni si può entrare nella mentalità dell’autore coreano.

La trama parla del giovane Lee Kang-do, abbandonato da bambino dalla madre. Ha un'esistenza squallida, vive solo in un appartamento lurido, situato in vicolo sudicio. Il suo mestiere è la riscossione dei prestiti di usura della mafia coreana. Occupazione svolta con grande competenza, serietà e dedizione. Un vero professionista del male.

Nella sua realtà asociale, un giorno gli appare una donna mite, umile: dice di essere la madre, pentita del suo errore.

Il film è girato con una visione dark, con protagonisti sopra le righe, necessari per raggiungere una lettura internazionale della storia.

I toni sono feroci e maniacali. Non è causale l'ambientazione in un piccolo quartiere pieno di stradine, con tanti minuscoli laboratori meccanici. Il quartiere è il desiderio degli speculatori, i quali sono pronti ad abbatterlo per costruirci delle case più moderne. Il mondo della meccanica offre una vasta gamma di strumenti – affilati, taglienti, a punta, a morsa, schiaccianti, trapani, perforatrici - per ottenere dolore, mutilazioni fisiche orribili.

Questi oggetti sono indispensabile nel film, come l’inquadratura del gancio. Scende su un ragazzo in carrozzella. È facilmente individuabile il motivo del suo andamento ciondolante nello schermo.

Il temperamento di Lee Kang-do è brutale, sadico, cinico, menefreghista, misantropo. All’inizio si concede un onanistico orgasmo, turbato e penoso. Con questa sequenza si sottolinea la sua perversione e depravazione.

La madre gli assomiglia. Ha un comportamento disumano.

Prende a calci un uomo amputato nelle gambe da Lee Kang-do; lo colpisce con cattiveria, insensibile della sofferenza e degli urli del torturato.

Segue la scena della liberazione del coniglietto – preda di un saccheggio di Lee Kang-do – e subito investito da una macchina appena arrivato in strada. È la metafora del rapporto fra madre e figlio.

Il loro legame è disturbato, sofferto, maledetto. Il loro odio iniziale è profondo, descritto da uno turpe tentativo di stupro sulla donna. Un tentativo maldestro. È solo il desiderio del figlio di rientrare dentro quella madre persa da giovanissimo. Ma il legame cambia, si evolve, la madre gli compra un palloncino e lo tratta come un bimbo, generando l’ilarità della gente.

Il regista cita un'altra azione ripugnante. Come nel film La luna di Bernardo Bertolucci la madre masturba il figlio nel suo tormentato sonno.

La struttura si mantiene attiva, con un linguaggio e uno stile cupo.

Il finale è un crescendo di ansia e inquietudine, conseguito con immagini simboliche e posture romantiche.

Kim Ki-duk realizza un quadro desolante della famiglia, sono tutti in posizione, fermi, immobili, si lasciano osservare dagli spettatori.

La famiglia anzitutto, perfino quando è stravolta dalla angoscia, dallo strazio fisico e psicologico.

Questa figurazione equivale al supplizio dell’amore materno della Madonna, con il morente figlio Gesù in braccio, nella Pietà di Michelangelo.

Intorno ci sono altre figure, soprattutto le vittime dell’indifferente rabbia di Lee Kang-do. Le madri sono tante ma la scena più avvincente è con un giovanissimo padre. Anch'esso ha ceduto agli strozzini e deve restituire la somma ovvero mutilarsi un arto per incassare l’assicurazione.

Rumore costante di una macchina automatica. Primo piano della bucatrice, due mani con i guanti sudici ci stanno lavorando.

La camera si muove, medium-shot. C'è un ragazzo, con il viso ingenuo seduto. Il cellulare squilla, è la moglie incita. Felice gli parla affettuosamente della nascita del figlio.

Wide-shot, si vede tutta l'officina. Il ragazzo continua la telefonata. È un locale minuscolo, angusto, sporco. Fra gli apparecchi di lavoro, sullo sfondo spicca una chitarra.

Il dialogo con la donna è emozionante, il ragazzo risponde con semplicità, con innocenza, candido: “Hai fatto l'ecografia? A chi assomiglia? Ah, no, non mi deve assomigliare se no finirà come me. Guarda meglio.”

Lee Kang-do entra. Primo piano, shallow-space, si siede di fronte al ragazzo, il quale abbassa la testa. Rapidamente alza lo sguardo e gli chiede un ulteriore prestito, benché sappia di non poterlo rimborsare. Controcampo con Lee Kang-do. Vuole altri soldi perché nascerà il figlio “voglio dargli tutto quello che un bambino deve avere, mi sento in colpa, se nasce perché lo voglio, devo prendermi la responsabilità”. e per averli è disposto a tutto, senza esitazione: “felice di diventare invalido.”

I due personaggi sono di fronte, il braccio di Lee Kang-do sulla chitarra.

Lee Kang-do gli afferra la mano e gli la mette sotto la bucatrice. Il ragazzo è spaventato ma sembra accettarlo per un bene superiore. Campo medio, il ragazzo terrorizzato seguita a parlare, inizia a cantare mentre Lee Kang-do lo guarda con sfida: “ma ora farò un sacrificio”.

Lee Kang-do lo fissa, ma gli si è aperta una breccia nel suo cuore: ” Invidio tuo figlio” e gli lascia la mano. “Qualsiasi genitore non farebbe lo stesso, i tuoi genitori l'avrebbero fatto” è la risposta del ragazzo. Ma Lee Kang-do rinuncia, non vuole più essere il suo aguzzino “Suonala per il bambino”, gli consegna la chitarra e il foglio del risarcimento dell'assicurazione ed esce. Quando è nel vicolo sente un urlo, il ragazzo ha consegnato un futuro nel benessere del figlio pagando il prezzo di una martoriata.

La sequenza è dura, claustrofobica, asfissiante, dark. Lo spazio limitato acuisce il vincolo fra i due uomini, creando intimità. Pure un padre può sacrificarsi per il figlio. Ma c’è una differenza. Il padre è sprovveduto, timido, superficiale, non ha la grinta, la forza morale e quella fisica delle madri, pronte ad architettare la vendetta più spietata e crudele.

  1. http://cinema-tv.corriere.it/cinema/speciali/2012/venezia/notizie/kim-ki-duc-concorso-pieta_c3f70430-f672-11e1-ac56-9abd64408884.shtml