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Promised Land Regista: Gus Van Sant Cast: Matt Damon, Rosemarie DeWitt, Frances McDormand, John Kras

Promised Land

Regista: Gus Van Sant

Cast: Matt Damon, Rosemarie DeWitt, Frances McDormand, John Krasinski, Scoot McNairy

Anno: 2012

Provenienza: USA

Autore Recensione: Roberto Matteucci

“Non si può perdere una partita ancora in corso”.

Gus Van Sant è un autore capace di ricercare temi alternativi nel variegato mondo del cinema americano. I risultati sono alternati.

Ci sono prodotti di valore come Paranoid Park sul mondo degli skater, oppure Elephant sul massacro alla Columbine High School. Altri appaiono titubanti come Milk, oppure come Scoprendo Forrester.

Nel regista c’è una forsennata ricerca del soggetto alternativo. Tutto il suo cinema ha come base il soggetto, ma alcune volte non riesce a trovare una sceneggiatura altrettanto degna. Arriviamo alla sua ultima pellicola Promised Land.

Il regista si lancia in una battaglia ambientalista da nicchia. Cerca di conquistare simpatie, e da buon vanitoso si ferma a guardarsi allo specchio. Il tema è il gas naturale. Un’alternativa sicura rispetto le attuali fonti energetiche. Il petrolio è costoso e pericoloso sia in termini economici, sia in guerre. Il carbone inquina ed è altrettanto costoso. Non parliamo del nucleare, inviso e deprecato dagli ecologisti di tutto il mondo. Mentre il gas naturale si trova facilmente, pure nel mondo occidentale, ed è abbastanza economico.

Apprendo dal film che la tecnica per estrazione è la fratturazione idraulica. Si fa un bel buco con una mega trivella, s’inserisce dell’acqua e se non basta sostanze chimiche. Si comprende subito l’uso di parole maledette per dei verdi. La sacra acqua da cui è nato il mondo deve essere destinata all’agricoltura e all’allevamento, e non per la perforazione. Le sostanze chimiche adoperate non sono ovviamente neutre per il territorio.

Nella campagna americana, l’economia si è retta quasi esclusivamente con l’agricoltura e l’allevamento. Con la crisi e le difficoltà insite in questi settori, larghi territori si stanno impoverendo rapidamente.

La storia è ambientata in una verde agricola zona della provincia. È inquadrata dall’alto per esaltare l’ordine e l’andamento pacifico di strade e case. Ma prima di entrare nel vivo della storia, c’è un piccolo preambolo per caratterizzare il personaggio di Steve Butler (Matt Damon). È un abile negoziatore della Global, la società di estrazione di gas naturale: “Siamo una società di nove miliardi di dollari”. Quest’ultima frase sarà ripetuta, come una bestemmia, diverse volte nel film. Il compito di Steve è convincere i proprietari di terreno a cedere il diritto di sfruttare il loro suolo. Inoltre ha il compito di seguire le tensioni sociali e politiche della città. La sua abilità sta per essere premiata.

In un ristorante lussuoso i manager della ditta lo stanno incontrando per una sua promozione. In contrasto con il lusso, con il vino pregiato, lui si lancia in una filippica sulle sue origini di coltivatore. Ritorniamo al paese. Steve lavora in coppia con Sue Thomason, l’attrice Frances McDormand. La loro tecnica è notevole. Per persuadere la famiglia padrona del terreno agiscono all’unisono. Steve convince il marito con il miraggio di soldi facili mentre Sue adesca la moglie agendo sul sentimento per suo figlio. Gli racconta che la ricchezza del territorio contribuirà ad aumentare il benessere del paese, così da avere un miglior liceo dove il figlio potrà studiare. Perché non c’è alternativa, senza una scuola di cultura elevata, il figlio non andrà al college e sarà costretto a lavori manuale, fra l’altro, quasi scomparsi. Micidiale! Una tecnica insuperabile. Anche perché Sue, in un’altra sequenza, ci presentata il figlio adolescente. Comprendiamo il grande amore per lui, protettivo e speranzoso come quando gli parla di baseball. La sera chattano via internet, poi esso, da buon adolescente, vuole chiudere subito. Essa si ferma, c’è una pausa di qualche secondo. Immaginiamo un vuoto. Lo stesso vuoto lo troveremo nelle sue vittime commerciali.

Biciclette, bar, negozi che vendono multi prodotti dalle armi alle chitarre, locali dove si bevono boccali stratosferici di birra, e un bellissimo motel, simbolo di tante storie americane. I gesti nervosi, un continuo ricordarsi delle proprie origini, l’essere madre di un adolescente da amare, lasciano intravedere il dubbio.

Il regista ci presenta fin dalla prima inquadratura la tormentata esitazione. Al ristorante Steve si lava la faccia. L’immagine è ripresa dall’acqua, il suo viso arriva in seguito, bagnato e perplesso.

La scena si ripete nel momento decisivo per le sorti del loro lavoro. Gli abitanti devono votare se consentire le fratturazioni. Prima del voto, sempre Steve, si lava la faccia e lo vediamo ancora attraverso l’acqua. Questo genere di stile è molto presente nel film.

Insieme al dubbio, in paese arriva Lucas, un giovane ambientalista, il quale sconvolgerà il loro lavoro. Lucas è simpatico, bello, dolce, arrendevole con i residenti. Il tifo per il regista è immediatamente per l’ecologista. é ripreso con dolcezza, nelle sequenze arriva da fuori inquadratura. Se gli affari per Steve sembrano prendere una piega positiva, Lucas improvvisamente si materializza e la certezza degli abitanti cambia.

In una bella sequenza Lucas tiene una lezione sui rischi della fratturazione in una classe di bambini. è efficace parla con linguaggio giovanile, utilizzando l’immediatezza dei giocattoli. La sua lezione è spezzata per mostrarci alternativamente Steve nel tentativo di convincere altri proprietari. Purtroppo per esso tutto sta diventando complicato.

Il dubbio è crescente e soprattutto si mostra dentro il loro animo con un vigore decisivo. Steve si domanda retoricamente “lo avremmo saputo”, ma stanno diventando nervosi e incerti. Mentre Lucas è sicuro di se, ha una serafica convinzione della ragione, invece i suoi antagonisti hanno perso il raziocinio.

La trama prosegue con una preferenza politica pesante da parte dell’autore. Ha compiuto una scelta, la motivazione prevale trasformando il finale della storia.

Il prodotto finale è degno di massimo rispetto ma alcuni momenti non sono soddisfacenti. Sono lo stile e il linguaggio a procurargli i guai. Troppo preso dal fine politico, si abbandona a una ricercatezza linguistica frivola. Oltre la scena del lavaggio del viso già raccontata, abbiamo un’inquadratura di una fotografia di mucche morte e uno stacco immediato con delle mucche vive e vegete in un pascolo. Il regista ci sta urlando in un orecchio: guarda queste povere bestie innocenti, faranno la stessa fine. C’è poi una scena fracassone e ipocrita. Nel tentativo di persuadere un recalcitrante agricoltore inquadra sullo sfondo un bambino con mimetica e fucile. Il padre è morto in Iraq e il fratello si prende cura di lui. C’è una ripetitività di episodi, tutti molto distaccati, a causa perfino di un montaggio lento e tradizionalista. La dissolvenza è utilizzata di nuovo per accentuare l’incertezza personale.

Il profilo di Steve si amalgama con la campagna: “Non sono una cattiva persona”. Verso la conclusione, improvvisamente, Gus Van Sant, ci presenta delle immagini normali della vita nel paese a una velocità supersonica. Eventi positivi o negativi si stanno scatenando? È una scelta di stile dubbioso, incerto; forse più un vezzo che una reale validità narrativa. Altra sequenza, Steve beve nevrotico della birra, si sta trasformando in un ectoplasma senza certezze, perciò la sua compagna gli parla del figlio ma tutto il resto è sfuocato, solo lui è centrale, la sua è una solitudine evidente.