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Safari Regista: Ulrich Seidl

Safari

Anno: 2016

Regista: Ulrich Seidl

Provenienza: Austria

Autore: Roberto Matteucci

73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia

“Troppo lontano e troppo in alto.”

Nel sito della Leopard Lodge Namibia (www.leopardodge.com) esiste, per i cacciatori di animali, un catalogo di prede e il prezzo in euro. Il cacciatore lo sfoglia, cerca l’animale preferito, lo sceglie e iniziano una battuta per ucciderlo. Una volta soppresso pagano il corrispettivo. I più economici sono lo Jackal (lo sciacallo) e il babbuino, appena 50 euro. Il più costoso è Waterbuck (il cobo) ben 1.830 euro, ma per il leopardo e il ghepardo i prezzi sono su richiesta. Non so quanto costa in Italia uccidere una mucca, un maiale, un cavallo, o una semplice gallina, noi ci limitiamo guardiamo il prezzo al supermercato, non ci sporchiamo le mani. In questo in Namibia sono meno ipocriti.

Il regista austriaco Ulrich Seidl, nel documentario Safari, presentato alla 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, descrive il comportamento dei cacciatori della Namibia.

L’autore porta la camera all’interno del ranch, mostrando l’atteggiamento, prevalentemente psicologico, di alcune coppie di europei impegnati in un safari in Namibia. Non è un passatempo da pensionato, c’è anche una coppia giovane.

Il film inizia con un uomo mentre suona il corno, un’immagine ferma sullo sfondo della foresta. È questa la struttura tipica dell’inquadratura. Sono immagini ricercate, belle, la camera sceglie il posto giusto, le luci sfruttano appieno il chiarore della foresta, i cacciatori si mettono in posa fieri, il regista riprende ma nulla si muove, tutto rimane statico, come in antitesi al movimento e la vivacità della foresta. Le immagini sono quindi teatrali e c’è sempre uno sfondo, può essere la testa imbalsamate appesa al muro o il corpo dell’animale appena ucciso.

Per il resto si comportano come dei normali turisti tedeschi: l’uomo spalma la crema alla moglie a protezione del sole, bevono birra, chiacchierano a ruota libera e mangiano la carne dei loro sforzi, come farebbero dei cacciatori italiani con il loro cinghiale. La differenza è meramente nominativa, noi non mangeremmo carne di uno gnu striato nemmeno in prigionia, mentre per essi è: “È una carne divina”; “Morbida come il burro”.

Siamo in Africa quindi il discorso non può non cadere sul razzismo e sui rapporti fra la popolazione caucasica e quella indigena. L’autore prende la servitù nera e la mette in

posizione. La differenza è nello sguardo: da fiero si trasforma in triste. Alterna il dialogo sul razzismo di due bianchi con quelle di donne nere immortalate insieme ai trofei sul muro. Sono talmente depresse da sembrare anch’esse dei trofei appesi.

Il film cerca di individuare il piacere della caccia, piacere atavico, parte dalla nascita dell’uomo e complicato da eliminare, perché, se si accantonasse la caccia agli animali, si potrebbe passare a quella degli uomini.

Nelle foto dei cacciatori con l’animale ucciso c’è tutto il piacere, il divertimento, la voglia di essere superiore, il desiderio di aver eliminato un pericolo, un animale feroce. In realtà è tutto costruito per i turisti, i gestori sono degli abili uomini d’affari, sfruttano la smania degli europei per costruirgli un bel teatrino, molto caro.

L’autore carica la situazione, mostrando – senza paura – le immagini degli animali uccisi, l’agonia della giraffa, lo scoiamento, non nasconde nulla.

Il merito dell’autore:

"I didn't have any preconceptions," the director says. "I wouldn't have done the movie if I had any." Yet he admits that hunting isn't "something I'd like to do in the future -- even more so after seeing it done." 1

L’autore è bravissimo a creare, tramite un efficace montaggio, una connessione: cacciatore uguale razzista.

La famiglia di cacciatori si è presentata al festival di Venezia, giustamente e con onore protetti dallo stesso regista:

“My opinion is not their opinion and they are aware that my opinion is not their opinion but I have to protect them a little bit …” [2]

Perché facilmente sarebbero stati oggetto di commenti pesanti. Invece sono venuti hanno capito che il film non era a loro favore:

(1) http://edition.cnn.com/2016/10/17/africa/ulrich-seidl-safari-trophy-hunting/

(2) http://www.screendaily.com/news/venice-buzz-title-ulrich-seidl-on-controversial-hunting-doc-safari/5108866.article