Sherlock Holmes Regista: Guy Ritchie
Sherlock Holmes
Regista: Guy Ritchie
Provenienza: USA
Anno: 2009
Autore Recensione: Roberto Matteucci
“Non sposerebbe mai un dottore che non sa riconoscere un vivo da un morto.”
Non è facile il compito di Guy Ritchie, regista senza paura, di portare sullo schermo un nuovo Sherlock Holmes.
Il sito di imdb segnala 193 film dal 1905 più tutti gli sceneggiati televisivi.
Una concorrenza e una moltitudine di paragoni per chi volesse cimentarsi di nuovo nel detective inglese.
Guy Ritchie conclude un lavoro molto difficile, raccontandoci un personaggio Holmes e Watson liberamente, molto liberamente, tratti dai romanzi di Arthur Conan Doyle.
I nostri Sherlock Holmes e Dottor Watson sono però sempre loro. Parossistico Holmes fino all’inverosimile. Inquieto, nevrotico e depresso. Le sue doti deduttive sono al culmine, ma sempre isteriche e illusorie. Non sbaglia un colpo ma crea intorno a se diffidenza e paura.
Il dottor Watson è totalmente diverso. E’ calmo, intelligente, capace, bello con un’affascinante promessa sposa. Ha però il vizio del gioco d’azzardo, un vizio forte. Soprattutto è totalmente soggiogato dall’abilità e dal fascino di Holmes.
Partendo da questa premessa e da due grandi attori: Robert Downey Jr. e Jude Law, il film ottiene una potenza e un’intensità notevoli. Veloce e ironico. Le immagini corrono da ogni parte. Ci troviamo a vedere delle scene da tutte le posizioni. Le inquadrature a volo d’uccello ci fanno anche conoscere una Londra nera, sporca, cattiva.
Il positivismo di Doyle, eroe di una ragione che non ci lascia mai anche nei momenti difficili, è però ridotto ai minimi termini. La ragione non possiede tutta questa sicurezza e i nostri personaggi sono dilaniati da una profonda turbativa interna. Il loro cane è la loro vittima preferita.
Ecco che il confronto con il male e il cattivo è sempre un dilemma. Il male è sconfitto, ma sconfitti sono anche loro per le tante confusioni psicologiche. A volte possiamo trovarli sopra le righe, esagerati, la loro ragione non è una ragione vera. Ci sono molta fisicità e abilità manuale, ma anche tanta sorte e tanta incredulità nella casualità con cui si esce dagli eventi.
Il positivismo nel film vola via come il corvo nero che precede sempre la morte.
Qualche caduta di stile c’è nella sceneggiatura per i troppi accadimenti stile ‘’codice da vinci’’, come i punti dei delitti sulla mappa di Londra. Nulla però è stato tolto al ritmo e alla storia sempre viva.