POPCINEMA.ORG

View Original

The Impossible - Lo imposible Regista: Juan Antonio Bayona

The Impossible - Lo imposible

Regista: Juan Antonio Bayona

Provenienza: Spagna

Anno: 2012

Autore Recensione: Roberto Matteucci

“Chiudi gli occhi e pensa a qualcosa di bello.”

La famiglia spagnola Belón vive per lavoro a Tokyo. Maria e Henry Belón hanno tre figli maschi ancora piccoli. Per il Natale del 2004 decidono di passare una vacanza a Khao Lak in Thailandia.

Khao Lak è una terra magnifica, con spiagge incantevoli. Il turismo è selezionato, tranquillo e poco diffuso benché sia a circa sessanta chilometri a nord dalla più popolare isola di Phuket.

Le tristi vicende accadute il 26 dicembre del 2004 sono storia conosciuta. Dopo un terremoto nell’oceano Indiano, un terribile tsunami colpì la Thailandia e tutti i paesi intorno all’oceano. Khao Lak fu uno dei territori più danneggiati. I lussuosi hotel sul mare furono spazzati via e circa quattro mila turisti in vacanza furono uccisi. Fra i morti ci fu pure il ventenne nipote autistico del Re della Thailandia Rama IX.

Il regista spagnolo Juan Antonio Bayona in The Impossible ci racconta la storia dei Belón. I Belón giungono nello stupendo resort prenotato. La scena parte dal mare, da una sfavillante distesa di acqua, illuminata da raggi solari brillanti. La carrellata sull’acqua è accompagnata da una musica stile Lo squalo. La ragione s’intuisce all'istante: la morte può arrivare dal chiaro e beato mare, la stessa congiunzione compiuta da Spilberg.

La bella famiglia borghese è felice, ci sono i soliti confronti, il lavoro, dove abitare, ma l’amore profondo è indiscutibile. La dimostrazione è la scena delle lanterne bianche lanciate dalla spiaggia da tutti gli ospiti. Le lampade illuminano un cielo profondamente nero. Il giorno di Natale è il fatidico momento. L’onda colpisce il resort mentre tutta la famiglia si trova in piscina. Si sente un rumore intenso, gli uccelli fuggono, tutti si girano in direzione del mare nascosto dagli alberi, c’è un istante di sospensione e poi l’onda trafigge la spiaggia ed entra nell’albergo, tutti fuggono. Stop. La scena s’interrompe con una lunga pausa a schermo totalmente scuro. Dopo la pausa di nero totale, genitori e figli, colpiti dall’onda, sono separata dalla forza della natura.

La madre e uno dei figli sono scaraventati lontano dal resort. Lacerati, impauriti, non riescono a controllare la forza dell’acqua. Il padre e gli altri due figli riescono a rimanere all’interno della struttura alberghiera e a salvarsi con pochi danni.

Da questo momento, il film ci narra il tentativo di ritrovarsi dei due spezzoni della famiglia. Altre volte ci sono state raccontate dal cinema la sconvolgente forza di uno tsunami. Basti ricordare la bellissima scena della giornalista francese, anche lei trascinata dall’acqua al limite della morte, in Hereafter di Clint Eastwood. Ovvero la scena iniziale di Himizu quando l’autore Shion Sono ci mostra una landa di desolazione, con rottami e devastazione, provocata dallo tsunami in Giappone del 2011.

The Impossible è un bel film drammatico, un cinema di genere intenso ed emotivo. La struttura della storia è divisa in due filoni, con un finale energico quando i personaggi non s’intrecciano al limite del destino. Non si tratta di un dramma in accumulo. La presentazione della pace prima della tempesta è veloce e breve, tutta basata sull’inquadratura dell’acqua già raccontata.

La tensione tragica entra subito in gioco: l’emotività della distruzione, l’impossibilità nel ritrovarsi, il sentirsi lontano di casa. Tutti elementi sconvolgenti per dei normali turisti. La sensibilità del regista per il dramma è disegnata con abbondanti primi piano, fino a trasformarsi in primissimi piano di volti di sanguinanti, attoniti, carichi di paura. La solitudine dell’abbandono, in una terra cancellata e straniera, è raccontata con la rappresentazione della devastazione, accompagnata dal canto di uccelli, anche loro spauriti, nel silenzio della morte. In un territorio sfregiato si ode un pianto di un fanciullo piccolo, solo, impaurito, scaraventato lontano dai genitori.

L’inquadratura parte dal basso, il sole illumina le macerie è l’espressione per tendere verso il cielo. Il viaggio per la salvezza avviene in una strada di terrore. Il panico, l’orrore sono inqualificabili, indimostrabili, ma, il bravo regista spagnolo riesce con tanta passione e abilità a raccontarci l’angoscia della calamità improvvisa e inaspettata.

La sua abilità maggiore è conseguire una furbizia sentimentale. Infatti, la storia guadagna per la presenza dei tre figli piccoli. Sui bambini la concentrazione dell’autore riesce al meglio.

Oltre i tre figli, c’è Daniel, il ragazzino ritrovato casualmente isolato. Ovvero la scena nell’ospedale: i bambini senza genitori sono raccolti a parte. Un’infermiera scrive il loro nome e della famiglia dispersa in un’etichetta. Con commozione la attacca sul loro vestito. Il momento simboleggia la solitudine e il dolore di aver perso i genitori, concentrato nella drammaticità del primo piano del loro viso triste.

Prima del finale inizia la catarsi, i racconti dei sopravvissuti diventano lancinanti. Si cercano rapporti umani nuovi, diversi; ci si avvicina a degli sconosciuti perché il dolore è straziante, deve essere compartito, raccontato. In un’espressiva scena appare perfino Geraldine Chaplin. La figlia di Charlie Chaplin, una bellissima anziana signora con mille rughe sul volto, si siede con uno dei figli in un momento di lontananza e insieme scrutano le stelle in un cielo limpidissimo.

Il cielo e l’acqua sono due continue presenze della narrazione.

La pellicola è ottima. Prodotto da una cinematografia minore come quella spagnola ma è pensato con personalità, interpretato da attori internazionali, con una produzione importante, con impegno di capitali, con una bella sceneggiatura, con un soggetto di grande respiro e una regia quasi perfetta, e soprattutto, volenterosa a guardare al di fuori del proprio orticello. Praticamente, il contrario del cinema italiano. Certo non manca una dose di manierismo.

Come la pagina del libro staccata: volteggia sull’aereo prima dell’atterraggio, per poi ritrovarla sempre svolazzante un attimo prima del fatale scontro. Stesso significato ha il dettaglio delle foto fra le macerie; oppure il portafoglio aperto con banconote sparse a significare la vacuità della vita, intesa come possesso di meri beni materiali. Il film è addirittura uno spot per la Zurich Insurance. Prima di ogni viaggio fuori dalla Comunità Europea è mia abitudine stipulare un’assicurazione viaggio per coprire le mie tante possibili disavventure fisiche. Ebbene, in aereo s’intravede la polizza stipulata dalla famiglia. E incredibilmente, nel finale - mentre i genitori e figli sono feriti, sporchi, scalzi, con macchie di sangue ovunque, con indosso un costume stracciato e una maglietta a pezzi - un elegantissimo e fuori luogo incaricato assicurativo mette a disposizione il trasporto in aereo per un moderno ospedale di Singapore.

Il finale è un ritorno alla partenza, l’aereo vola sulla distesa d’acqua dell’oceano, ora calma e pacifica.