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The Lost Daughter – La figlia Oscura

The Lost Daughter – La figlia Oscura

Regista: Maggie Gyllenhaal

Cast: Olivia Colman, Dakota Johnson, Peter Sarsgaard, Jessie Buckley, Paul Mescal, Oliver Jackson-Cohen, Jack Farthing, Ed Harris, Dagmara Dominczyk, Panos Koronis, Alba Rohrwacher

Provenienza: USA, Gran Bretagna, Israele, Grecia

Anno: 2021

Autore recensione: Ciro De Luca

Sorprende sapere che, alla luce dell’uscita ufficiale nelle sale italiane dopo la premiere alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, l’autrice della fonte letteraria Elena Ferrante, la cui identità si tiene anch’essa aderente allo spirito del titolo italiano, ritenga questa opera prima della quasi ex sorella d’arte Maggie Gyllenhaal in luminosa ribalta, pregno di corretta e vigorosa essenza, fedele al complesso costrutto narrativo in cui versa il racconto di una maternità torbida.

La dichiarazione non sorprende alla luce di un risultato rivelatosi poi poco fedele alla fonte, ma sorprende in quanto, al netto di ambientazioni, performance attoriali e risultato narrativo in veste filmica, la complessità di cui sopra non si rivela mai così lampante o almeno non sufficientemente trasposta in modo consono a questo delicatissimo soggetto.

Il primo segno di cedimento si avverte quando il racconto sembra voler svelare il suo asso nella manica, ossia la presenza di flashback che cercano di far luce a poco a poco sul turbamento della protagonista (Olivia Colman) quando, durante il suo soggiorno vacanziero in Grecia, si imbatte nella conoscenza di un’altrettanto fascinosa giovane donna (Dakota Johnson) di cui riconosce un’affannoso approccio matrimoniale e genitoriale. 

Questo affanno sembra voler dar voce ad una succulenta premessa: Siamo davvero disposti ad accomodare lo standard sociale che troppo spesso, nel diventare genitori, ci annulla a livello individuale e personale? Siamo capaci di amare incondizionatamente? Cosa è davvero l’amore per un figlio e come lo si affronta se ci presenta un conto diverso da quello che è giusto, se davvero è giusto.

Tali quesiti sono davvero di grossa portata ed ovviamente nessun opera può concederci una risposta, ma quello che ci si aspetta è che almeno venga scelto un’approccio meno didascalico, paradossalmente meno letterale.

Se la fattura della trasposizione, ad un’occhio meno esigente, riesce a centrare il segno è soprattutto merito di una capacità visiva di non poco conto e di una direzione attoriale che sicuro mantiene il suo appeal, ma l’asticella resta sempre troppo alta per lasciare le sorti di una riflessione di tale portata a delle soluzioni in flashback che possono risultare azzeccate a livello logistico, ma della cui essenza poco resta, rivelandosi spiegone a puro scopo illustrativo.