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The Master Regista: Paul Thomas Anderson Cast: Philip Seymour Hoffman, Joaquin Phoenix, Amy Adams

The Master

Regista: Paul Thomas Anderson

Cast: Philip Seymour Hoffman, Joaquin Phoenix, Amy Adams, Ambyr Childers

Anno: 2012

Provenienza: USA

Autore Recensione: Roberto Matteucci

“Come sappiamo chi ?”

Non so nulla di Scientology, salvo quelle generiche letture sui giornali per la popolarità acquisita con l’adesione di alcuni attori americani.

Suppongo che la tecnica di contatto e di proselitismo sia sempre la stessa di altri movimenti, con forte attenzione alla comunicazione e alla sua regola di sottomissione.

Siamo alla presenza di uno psicoculto, dove la conoscenza psicologica è elemento distintivo essenziale per ottenere fedeltà e obbedienza.

Il film parla della relazione fra il maestro e il suo pupillo, valido per qualsiasi organizzazione con le stesse caratteristiche: gruppi con tendenza all’isolamento, con un primato dittatoriale della guida spirituale.

È l’argomento di The Master del regista Paul Thomas Anderson.

La storia inizia dalla seconda guerra mondiale.

La prima figura evidente è quella di Freddie Quell (Joaquin Phoenix), esso è chiaramente il discepolo.

Freddie è un soldato in un’isola del Pacifico. Non è al fronte, ma probabilmente ci è stato. Ignoriamo il suo passato, ma comprendiamo un suo accaduto travagliato in guerra.

Lo intendiamo perché Freddie soffre di intenso stress nervoso, di disturbi psicologici e ha comportamenti compulsivi con gli altri. Il sintomo è una chiara condizione di erotismo agitato.

Sulla spiaggia i suoi commilitoni hanno costruito, con la sabbia, una figura di donna; lui gli si getta sopra per un rapporto sessuale.

Nella prima parte c’è il disegno, con diversi frammenti, delle sue difficoltà psicologiche. Chiede ad una ragazza di uscire, lei accetta e si trova con lui ubriaco addormentato.

Le riprese di Freddie sono dal basso, con un primo piano tutto schermo del viso, l’autore vuole fomentare le sue debolezze umane e le sue crisi di nervi.

Dopo lo stacco siamo nel 1950. L’incontro con il maestro Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman) è casuale. Per fuggire dai suoi inseguitori si rifugia su una barca.

La nave appartiene a Dodd.

Immediatamente fra i due nasce una relazione forte, ma chiaramente impari.

Freddie è l’esaltazione delle debolezze umane, mentre Dodd è l’esaltazione dell’egocentrismo e della vanità.

L’attrazione è immediata. I due diventano indispensabili uno all’altro.

Da questo momento comincia la contrapposizione. Dodd cerca di monitorare Freddie con una continua analisi pseudo psicoterapeutica. Dodd parla per frasi fatte; le pronuncia e poi rimane nella attesa per vedere l’effetto:

“Il segreto è la risata.”

“Non sopporti una vita normale, non è vero?”

L'efficacia per Freddie è solare, egli è completamente posseduto da tanta attenzione, dall’atteggiamento paterno e amicale. Per una persona che usciva da un esaurimento, Dodd e la sua casa, con il suo paternalismo sono il rifugio ideale per nascondere la sua devastata psiche.

Il proseguimento del film serve solo a determinare e tratteggiare queste due psicologie.

Alcune scene sono magistrali.

Dodd ha iniziato una delle sue solite menate psicologiche e a Freddie scappa una scoreggia. La seduta è interrotta, fra le risate di entrambi.

I due sono in perfetta sintonia. L’inquadratura continua sempre dal basso, in questo modo riprende Dodd in primissimo piano, ma per lui è un’esaltazione della sua personalità: lui è il maestro.

Bella la scena in cui Freddie sotto ipnosi per soddisfare la passione del dominio del suo mentore comincia immaginare tutti nudi a ballare con il maestro. Lui è al centro dell’attenzione e questo lo eccita.

Quando il suo sviluppo umano diventa insostenibile, Freddie cercherà di ricucire il passato: “I suoi ricordi non sono invitati”, che fino a quel momento aveva accantonato.

Ma il Freddie ingobbito, con i pantaloni alti, goffo, violento, aggressivo è cresciuto tramite il gruppo in cui è vissuto, e nonostante abbia intrapreso la sua strada, dimenticare quel uomo non sarà facile.

Il film possiede la potenza visiva per esaltare i rapporti umani fra i due protagonisti.

Entrambi possiedono la loro personalità, mostrata dal regista con una lettura potente.

Tutto procede con precisione, con intelligenza e con un’emotività sempre presente.

Per ignoranza, non so cosa c’entri il tutto con Scientology, ma credo che il medesimo sistema sia utilizzato per una miriade di associazioni esageratamente esoteriche.

Qualsiasi psicoculto ha un guru dominatore, il quale fa sfoggio di psicologia, parla di Freud, di Jung, di Reich per voler poi dimostrare l’esatto contrario delle loro conclusioni.

Questo atteggiamento dominante implica da parte dei discepoli un intenso controllo sociale, un’accettazione acritica e dogmatica del leader, una gerarchia rigida, un impegno notevole soprattutto nel proselitismo e nel mantenere il segreto, eliminazione di vita sociale propria e a un indipendente autonomo pensiero.

A volte c’è un controllo sull’attività sessuale, spingendo a individuare come unico oggetto sessuale lo stesso maestro. Il rapporto fra Doll e Freddie tocca pure questo tasto?

Gli adepti rinunciano volontariamente. Non c’è nessuna spinta violenta. La partecipazione è desiderata perché l’organizzazione strutturata come una comunità genera sicurezza e protezione. Per chi cerca calore umano, di attenzione e sostegno è il paradiso. Nell’associazione trovano relazioni di fraternità e attraverso la comprensione, il dialogo, l’incontro, la vicinanza le persone recuperano il senso dell’appartenenza.

Questo è The Master: il maestro è il dominatore, ma potrebbe anche essere soggiogato dal più debole.