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Arab Blues - Un Divan à Tunis - Un divano a Tunisi Regista: Manele Labidi Labbé

Arab Blues - Un Divan à Tunis - Un divano a Tunisi

Regista: Manele Labidi Labbé

Cast: Golshifteh Farahani, Majd Mastoura, Aïsha Ben Miled, Feryel Chammari, Hichem Yacoubi, Ramla Ayari, Moncef Ajengui, Amen Arbi, Zied El Mekki, Oussama Kochkar

Provenienza: Francia, Tunisia

Anno 2019

Autore recensione: Roberto Matteucci

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È Freud, è il mio capo.

Sigmund Freud fu molto loquace nello scrivere di religione. Però, fu indifferente sull'islamismo. Una scelta non umorale ma voluta. Si sentiva ignorante sull'argomento e pertanto si astenne nel parlarne. Lo attesta nell'unico accenno sull'islamismo nei suoi libri. Nel Mosè e le religioni monoteiste, scrisse:

L'autore deve confessare con rincrescimento di non poter fornire che questo unico saggio e che la sua competenza non è sufficiente a completare l'indagine. In base alle sue limitate conoscenze, egli può aggiungere forse ancora che il caso della fondazione della religione maomettana gli pare quasi una ripetizione abbreviata di quella ebraica …” (1)

Ritiene di non avere una competenza sufficiente per esaminarlo perciò si disinteressa. È un comportamento intelligente e rispettoso. Inoltre sarà un scetticismo reciproco. 

I paesi musulmani ignorano Freud e la psicanalisi: non si studia nell'università e hanno pochissimi professionisti. 

Uno degli studiosi di Freud, di origine araba, è l'algerino Fethi Benslama. Ha conciliato questi due mondi distanti, lo conferma in una intervista: 

Because psychoanalytic approaches are largely unknown today in the Orient. For example, psychology is one subject that is almost never taught at the universities in Arab countries. The Muslim world resists psychoanalysis. […] First of all, psychoanalysis is the only scientific discipline that was invented by a single man: Sigmund Freud. Freud was a Jew, and Muslims thus perceive psychoanalysis as a form of Jewishness. And because of the Israel-Palestine conflict, the Arabic world rejects on principle everything Jewish.” […] Many Muslims think that psychoanalysis propagates atheism. The way in which mental illness is seen in the Orient is also very different from in the West: the dominant theory is that the mentally ill are possessed by jinns. So they are not sent to a psychologist for treatment, but to the Imam for exorcism. This is the usual form of treatment. Mental illnesses are not understood as a medical problem, but as a supernatural phenomenon. Or a doctor prescribes anti-depressants, yet without accompanying the medication with therapy. … “ (2)

La psicanalisi è legata a un ebreo, perciò la considerano come una forma di ateismo. Inoltre c'è una diversa considerazione delle malattie e dei disturbi mentali: gli arabi preferiscono risolverli con la religione.

Perché una giovane ragazza tunisina, dopo aver vissuto dieci anni a Parigi, si trasferisce a Tunisi per praticare la psicanalisi? Lo racconta nella brillante commedia Arab Blues - Un Divan à Tunis - Un divano a Tunisi la regista Manele Labidi Labbé presentato alla 76° Mostra Internazionale dell'arte cinematografica di Venezia.

La ragazza è Selma. La famiglia gli consente di sistemare un sotto tetto nel loro palazzo. Aprire lo studio non è semplice. Si scontra con la burocrazia araba, meticolosa e incomprensibile. Poi è necessario farsi comprendere e trovare dei pazienti. Nel marketing si avvale della consulenza di una donna matura, la quale gestisce con abilità un vasto e affollato salone.

Selma individua intelligentemente uno spiraglio, e arriveranno i clienti, tanti e di tutti i generi. Ma i problemi non finiscono, perché, un irremovibile agente di polizia, Naim, mostra una inflessibilità più svizzera che araba.

Il trasloco di Selma è la scena iniziale. Fra i vari mobili portati dalla Francia c'è una allegorica fotografia in bianco e nero di Sigmund Freud, nella quale gli è stato aggiunto un vistoso fez rosso, per arabizzarlo.

Selma lo esibisce con orgoglio e con serenità afferma che è il suo capo, per giunta ebreo . La risposta è caustica: “Avrai problemi con i vicini.” 

Sui dialoghi ironici, fra il reale e il fantasioso, si svolge la narrazione. Si gioca con le incomprensioni di entrambi. La psicanalista si è forse dimenticata delle rigorose tradizioni locali e, i tunisini, sono curiosi ma non così aperti per prendere ordini da un ebreo. Nessuno conosce Freud in Tunisia, mentre in occidente ha una popolarità diffusa.

Selma è forte, intellettuale, coraggiosa, stravagante, orgogliosa, libera.

Non ha paura, non sente l'angoscia di combattere una nuova competizione. Tunisi è un ambiente difficile ma fraterno, è unicamente sospettoso. Lo zio di Selma dichiara: “noi abbiamo Dio non ci servono queste cazzate”.

La regista tratta due aspetti, così sintetizzati.

Il primo è quello sociale: “It’s about parents trying to raise their kids in the context of economic turmoil and political uncertainties; it’s about people fighting against addiction, questioning their gender, their femininity, their spirituality; it’s about teenagers who want to break free and reinvent their own rules. In a word, it’s about resilience.

These [characters’ experiences] are universal and I hope everyone can relate to them.” (3)

Il secondo è quello psicologico, l'autore:

Arab Blues explores the issue of individual and collective revolution and how these two are interdependent. No political revolution can entirely succeed without the revolution of intimacy. In the film, each character is going through their own intimate path.” (4)

In Tunisia, dopo la caduta del presidente Zine El-Abidine Ben Ali, la società civile si divide. Una parte ricerca la libertà e una maggiore emancipazione sessuale, spirituale.

Selma acquista un vecchio van Peugeot addobbato come un furgone di un hippy degli anni ottanta.

C'è Olfa la sorella minore, una adolescente ribelle: “non è un velo, è una copertura”.

C'è l'interrogatorio ridicolo di due poliziotti a Selma. Hanno un livello culturale basso cosicché accusano la psicanalista di gestire un postribolo. Ignorano cosa sia uno studio di psicanalisi. Un agente mima il gesto delle manette, minacciando: il sesso è uguale alla prigione.

La prospettiva sociale si raffronta con quella individuale. Sembra impossibile, ma sotto una enorme coltre di diffidenza, esiste una volontà e un mercato di persone desiderose di essere psicanalizzate.

La scena più significativa del film. Da principio Selma ha un confronto duro con la realtà affrontando un piccolo esercito di donne tunisine, assolutamente non sottomesse ma al contrario, tutte con una forte personalità. 

Selma parla con la titolare del salone. Gli domanda se può mettere un annuncio pubblicitario. Rumore di voci di una parrucchiera affollata.

Campo medio. Camera statica. La proprietaria è appariscente, sopra le righe, come le mura del negozio: tappezzeria floreale, poster di ampie pettinature, un quadro di paesaggio campestre e una copia della Gioconda circolare. È impegnata a contare del denaro. Selma è ripresa di spalle mentre dice: “Io sono una psicanalista. Aprirò uno studio qui.”  La luce è divisa, da una parte quella solare e dall'altra quella in ombra.

Cut. Inquadratura di Selma, gli sta spiegando il business. Sullo sfondo c'è l'attività lavorativa di una avviata parrucchieria.

Cut. Ritorna la prima inquadratura. La padrona ha un ventaglio in mano, sospettosa ripete: “Uno studio psicanalitico qui a Tunisi?”

Cut. Primo piano su Selma: “Sì. La gente ha bisogno di parlare.”  Fuori campo la voce della donna “Questo è sicuro. Noi arabi parliamo molto.”

Cut. Primo piano della donna. Muove con sussiego il ventaglio e discute con superiorità, forse immagina un guadagno dall'offerta di Selma: “I miei clienti vengono qui e parlano velocemente e continuamente. Ma vanno via con dei bellissimi capelli, come i tuoi, o con un nuovo colore... o vanno in un hammam, e parlano e parlano senza preoccuparsi. Ma vanno via pulice e tranquille! Con cosa vanno via dal tuo ufficio invece?

Cut. Primo piano di Selma: “Dipende. Tutti parte con qualcosa di proprio.”

Cut. La donna si sfrega le dita della mano come a chiedergli soldi.

Quando Selma risponde con un diniego alla proposta di una società fifty fifty, la proprietaria la sfida. Chiama le avventrici e lavoranti per ascoltare Selma.

Significante sequenza. Campo lungo, camera statica. Davanti a Selma c'è un muro di donne arabe giovani, meno giovani, belle, meno belle, magre, grasse, con vestiti di tutti i tipi, alcune con l'asciugamano in testa. Hanno lo sguardo dubbioso e incerto. Al centro c'è una signora seduta con un abito nero a pois bianchi.

Cut. Selma arringa la variopinta platea:  “È come un viaggio dentro noi stessi così possiamo trovare la porta per essere più felice.”

Cut. La donna a pois domanda: “Se inizio questo viaggio tu mi puoi garntire che non avrò più problemi?”

Cut. Primo piano di Selma:  “La psicoanalisi cambia la loro natura, parlare con qualcuno di loro porta una nuova prospettiva.”

Alla fine qualcosa è cambiato, Selma distribuisce i biglietti da visita. 

In questa scena ci sono i temi della pellicola. Quello principale è categorico: l'innovazione della società potrà arrivare solo dalle donne. Un divan a Tunis è un film totalmente al femminile. C'è la prudenza astuta della proprietaria. C'è curiosità. Nelle donne riunite in gruppo non c'è astio o ripudio, accettano l'invito perché Selma è capace di una allegoria ingegnosa: ritrarre la psicanalisi come un viaggio. E i tunisini amano viaggiare. 

Lo studio sta avendo successo. È frequentato dalla signora del salone e da altre donne. Si sono aggiunti degli uomini, i quali hanno delle manie particolarmente bizzarre, riaffermando la questione femminile del film. Gli appuntamenti con i maschi sono armoniosi e ritmati con il montaggio di insoliti casi umani.

È l'aspetto corale della storia. La variegata carovana di clienti è alquanto eccentrica.

C'è l'uomo sognatore di dittatori arabi, sconvolto perché fra essi c'è Putin.

C'è l'imam senza barba e con repressi guai familiari.

C'è il mammone con la madre.

C'è il diffidente, vede crimini ovunque, pure nello studio.

C'è chi si spoglia appena entrato, convinto che lo studio sia la copertura di una prostituta.

Il film è perspicace perché sagace e ironico.

Sagace nella descrizione, cosa potrebbe accadere se la psicoanalisi diventasse popolare in Tunisia?

Ironico nella esposizione di una famigerata burocrazia. Nell'ufficio per richiedere i permessi c'è soltanto Selma. L'impiegata è divertente. Promette, sottolinea gli strampalati ostacoli, e ne approfitta cercando di vendere biancheria intima o dei foulard o addirittura sguscia i piselli per la cena.

I colori sono arabi. La luce è luminosa, calda, con luoghi pieni di illuminazione. 

Le strade sono piene di gente, affaccendata, allegra, o arrabbiata. Parlano molto e ad alta voce.

L'allegoria è nella tematica del cambiamento, ancora non facile in Tunisia. Disturbanti interessi esterni si intromettono nella vita politica, come la parigina Selma intenzionata a intrufolarsi con Sigmund Freud. Una società conservatrice, una popolazione soggiogata da stringenti vincoli. Tunisi è indubbiamente differente. L'audace esperimento della psicoanalisi, nella campagna conservatrice tunisina, potrebbe avere conseguenze spiacevoli.

Una regia formale, elegante, addirittura surreale, con innumerevole situazioni eccessive, personaggi affettati ma simpatici e veri. Selma è la sola a mantenere un distacco di superiorità.

Il quadro di Freud è appeso nello studio ma è sempre sbilenco.

Nel finale, Selma raddrizza il ritratto di Freud definitivamente: buon auspicio per la Tunisia.

  1. Opere di Sigmund Freud Volume 11 – 1930 1938, L'uomo Mosè e la religione monoteistica e altri scritti, Bollati Borighieri, Torino, Prima edizione 1979, Quinta impressione marzo 1989 (Pag. 413)

  2. https://en.qantara.de/content/islam-and-psychoanalysis-a-tale-of-mutual-ignorance

  3. https://womenandhollywood.com/venice-2019-women-directors-meet-manele-labidi-arab-blues/

  4. https://womenandhollywood.com/venice-2019-women-directors-meet-manele-labidi-arab-blues/

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