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Vita di Pi - Life of Pi Regista: Ang Lee Cast: Suraj Sharma, Gérard Depardieu, Andrea Di Stefano

Vita di Pi - Life of Pi

Regista: Ang Lee

Cast: Suraj Sharma, Gérard Depardieu, Andrea Di Stefano

Anno: 2012

Provenienza: USA, Taiwan, UK, Canada, Francia, India

Autore Recensione: Roberto Matteucci

“Lei ha una storia che mi farà credere in Dio.”

Durante un mio viaggio in Asia, incontrai sull’aereo un gentile ragazzo tamil. Passando il tempo chiacchierando, la conversazione cade sulla religione. Alla mia domanda di quale religione fosse egli rispose: “Sono induista” un momento di pausa e poi continua “ma anche cattolico.”

A sopperire la mia emergenza dubitativa arrivò un sorriso di circostanza e una repentina trasformazione dell’argomento sulle qualità del cibo tamil.

L’avvenimento mi è ritornato in mente guardando Vita di Pi il bellissimo film di Ang Lee, quando il protagonista si definisce un “cattolico induista”.

Per un occidentale, ma altresì per un musulmano, ascoltare una ingegnosa affermazione lascia sospettosi e paurosi, perché il non dualismo ci rimane indigesto.

Per fortuna personaggi autorevoli ci aiutano a comprendere. Uno dei principali studiosi della filosofia comparativa Raimon Panikkar, prete cattolico di madre spagnola e padre indiano scrive:

“[…] un cristiano è chiunque non confessi esplicitamente il suo essere non-cristiano; chiunque non sceglie di scomunicare se stesso dai cristiani. È una palese contraddizione, per esempio, asserire di essere cristiano e non cristiano; ma non è contradditorio dire di essere cristiano e indù […]” (Raimon Panikkar, Lo spirito della parola, Bollati Boringhieri, Torino, prima edizione ottobre 2007).

Con questa premessa e una disposizione intellettuale diversa possiamo leggere Vita di Pi.

Ang Lee è regista prolifico, capace di seguire tanti generi, con finalità descrittive disparate. Egli si trova a suo agio perché affronta ogni codice cinematografico lavorandoci con ingegno, parte dalla tradizione e la deforma fino a mostrarci il lato invisibile. Nei I segreti di Brokeback Mountain riprende il tema western dell’amicizia virile fra due cow boy, modificandola fino a raccontarci quello che non avevamo mai visto.

Nel Il banchetto di nozze, la commedia americana è uno scontro fra due culture insolite ma trasfigurate fino a diventare un’unione particolare perfetta.

Con il genere avventuroso della Vita di Pi sottintende la presenza e il difficile percorso seguito da ognuno di noi nei confronti della religione.

Il cammino di Pi è uno dei più fantasiosi per conoscere Dio, perché affrontato nello sperduto oceano in compagnia di una tigre del bengala.

Scegliere la via più faticosa è sinonimo di prendere il cammino giusto:

“Entrate per la porta stretta […] Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano!” (Matteo 7, 13-14)

Lo stesso arduo tragitto compie Ang Lee; anziché seguire una testimonianza semplice, si dedica a raccontarci Dio tramite metafore e similitudini. Le chiavi di lettura della storia sono tante, molte facilmente individuabili, altre più sottili e celate nell’ingegno degli autori.

La struttura è un lungo flash back: un indiano maturo narra – a uno scrittore in difficoltà d’idee – l’originale peripezia su una scialuppa, accaduta quando era ragazzo.

La storia inizia dalla nascita e dal bizzarro nome appioppatogli.

Il ragazzo si chiama Piscine Molitor Patel. Nomen omen. Lo strano nome è quello di un’elegante piscina di Parigi, suggerita, dal miglior amico del padre, perché la riteneva la migliore al mondo.

Il ragazzo si chiama “piscina”, quindi l’elemento primordiale dell’acqua spunta all'istante, già dalla venuta al mondo, segnando il proprio destino. Sempre nell’acqua porterà a termine il percorso spirituale.

L’oceano del film è una placenta, il luogo della formazione della vita secondo una struttura religiosa presente ovunque. Se in Genesi 1, 1-2

“In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”,

per gli indiani il nome India deriva dal fiume Indo.

Nei Veda la battaglia fra Indra – il Dio della pioggia – e Vrtra – demone del caos – termina con la vittoria del primo, consentendo la caduta sulla terra delle acque celesti, fino al quel momento trattenute da Vrtra. Con la pioggia sulla terra arrivò la vita.

L’acqua come fonte di vitalità è appartiene pure dal Corano:

“E tu chiedi loro: «Chi ha creato i cieli e la terra?» Risponderanno: «Li ha creati il Potente Sapiente».

Colui che v’ha fatto della terra una culla e vi ci ha messo sentieri, a che non vi sperdiate.

Colui che ha fatto scendere dal cielo acqua secondo misura, acqua con la quale risuscitiamo una contrada morta: in simile modo voi sarete tratti fuor dei sepolcri.”

(Sura XLIII, 9-11, traduzione Alessandro Bausani)

Il ragazzo ha un problema terribile. La pronuncia della parola francese ‘piscine’ è simile a

पेशाब

che in hindu significa “pisciare”.

Per i compagni di scuola è una pacchia avere un ragazzo con un simile nome da sfottere perennemente.

Ma Piscine è un ragazzo intelligente e utilizza l’abilità intellettiva per convincere tutti a chiamarlo con l’abbreviativo Pi.

La scena del nuovo “battesimo” è a scuola. Tutti i ragazzi corrono, i professori cercano di fermarli, ma è impossibile, il giovane Pi sta scrivendo sulla lavagna, a memoria, tutti i decimali del Pi greco, costante matematica che conoscevo soltanto per 3,14 mentre ha una sequenza di decimali infiniti.

La prima parte della pellicola ha una descrizione romantica, molto affettata, con delle immagini quasi d’epoca. La storia è ambientata a Pondicherry ai nostri giorni. Pondicherry si trova nel sud ovest dell’India fu separata dall’India britannica, poiché città stato in mano ai francesi dal 1816 al 1954.

Perciò le avventure di Pi ragazzo sono raccontate con uno stile chimerico, irreale, fiabesco. La sceneggiatura è surreale, i personaggi caricature, come lo zio, come il prete.

La gioventù di Pi è il momento della conoscenza, della curiosità, vuole capire, vuole sapere ma è troppo giovane. Gli manca l’esperienza.

Le immagini sono stratosferiche con un montaggio di riprese da tanti punti di vista. Ci sono tanti campi lunghi e lunghissimi, con scene di paesaggi da favola incantata e sfondo irreale.

Mentre il giovane Pi cerca di conciliare induismo, cristianesimo e islamismo, il padre gli parla della ragione del positivismo. Cerca di portarlo dalla sua parta. Usa l’ironia: “Tu hai bisogno di convertirti ad altre tre religioni, Piscine, e tu passerai la tua vita a festeggiare.”

Ma l’ironia non avrà successo, allora userà un gesto spietato. La ragione del padre è terribile ed è manifestata nell’inesorabile scena di una capra sbranata e mangiata dalla tigre. Il motivo per cui il padre sacrifica il docile animale è insegnargli – con la ragione e il positivismo – come una belva possa essere soltanto violenta e mai amica dell’uomo. La tigre riempie lo schermo. Con dei profondi primi piani il regista ci mostra gli occhi.

La scena sarà l’antitesi del continuo della storia: la sconfitta del positivismo paterno e la ricerca di Dio, il quale ha creato uomini e animali.

Per motivi economici la famiglia di Pi s’imbarca su un piroscafo per il Canada.

Sulla nave c’è un cuoco scorbutico e aggressivo: un piccolo cameo di Gérard Depardieu. Il resto della storia è nota.

La nave affonda e su una piccola scialuppa si ritrovano Pi e quattro animali: una zebra, un orango, una iena e la tigre: “Benvenuto sull’arca di Krisna.”

Il richiamo è all’arca di Noè e agli animali caricati nella barca, unico luogo di salvezza, mentre l’acqua svolge il compito purificatore: il piroscafo è affondato con tutti i passeggeri, compresa la famiglia di Pi.

Nella piccola imbarcazione c’è uno spaccato del mondo intero, con la violenza, la paura e il potere in mano a un solo animale. Infatti, in poco tempo la tigre bengalese rimane con Pi. La belva ha la sembianza di una tigre ma è antropomorfizzata, ha perfino un nome umano, Richard Parker, affibbiatogli per un errore nella spedizione. Ma il nome non è un caso.

Si ritorna alla scena del padre e della povera capretta. Pi solo su una piccola scialuppa di salvataggio ha paura. Il suo spavento sarebbe la sconfitta, l’insegnamento del padre potrebbe prevalere sulla sua intimità e sulla sua spiritualità.

In realtà, come promesso allo scrittore, il finale sarà un’apoteosi per un Dio misericordioso.

Ang Lee non ha un compito facile. Continua a usare la voce fuori campo per rimarcare il significato delle immagini, le quali però si leggono da sé per l’intenso spessore visivo.

Grazie all’aiuto della grafica computer le immagini sono arricchite di particolari, d’immaginazione altrimenti indescrivibili. Nella scena della tempesta il ragazzo assume tutti i colori e diventa una centralità di emozioni. Lo aiuta anche l’acqua perché i tanti riflessi gli aprono un mondo caleidoscopico.

Perfino Dio ha una presenza segnata da un ricco uso di colori. Nell’episodio dell’apparizione divina, non c’è nulla di fisico ma solo una visione interiore, Pi urla: “Dio io mi affido a te“.

Lo stesso accade con i pesci, sempre presenti durante il viaggio sconosciuto. I pesci (simbolo di Dio durante gli albori del cristianesimo) sono di tutti i tipi e di tutte le grandezze. Emergono con giochi di luce mirabili come la comparsa gioiosa della balena accompagnata da uno smisurato riflesso di sensazioni.

Nel cuore di Pi, Dio non è mai antropomorfizzato ma illuminato, scintillante, splendente. Come un musulmano, il quale mai disegna la figura di Dio, ma lo rappresenta nella bellezza assoluta con la scrittura o con arabeschi.

Compare la scena della manna biblica:

“Allora il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi […]», (Esodo 16, 4),

quando assistiamo alla scena dei pesci, a migliaia, volare all’interno della barca per sfamare Pi e la tigre Richard Parker. Cadono come piovuti dal cielo, una scena impressionante per intensità emotiva.

La pellicola è pure divertimento; perché il ragazzo non si concede alla depressione, riesce a vincere la situazione negativa, mantenendo un sottile umorismo, soprattutto con la scrittura del diario di bordo.

Ma non c’è solo il ragazzo, perché anche Richard Parker sta vivendo l’avventura alla ricerca della fede. A volte il regista ci mostra le immagini con una soggettiva dalla tigre, usando il concetto antropomorfo destinato a svolgere la funzione per cui è nato: “La mia paura per lui mi rende vigile.”

La crisi mistica del ragazzo raggiunge l’apice, la vittoria. Il positivismo è sconfitto. Fra il terribile animale e il giovane esiste una convivenza difficile ma realizzabile.

I due sopravvissuti sono l’antitesi, la dimostrazione di due mondi opposti, ma con una possibilità di compatibilità. Un fondamentalista vegetariano come Pi si trova a coabitare con la carnivora tigre del bengala e il suo bisogno di chili di carne ogni giorno. La conclusione è come ci insegna Isaia 65, 25

“Il lupo e l'agnello pascoleranno insieme, il leone mangerà la paglia come un bue, e il serpente mangerà la polvere, non faranno né male né danno in tutto il mio santo monte", dice il Signore.

Il leone (la tigre Richard Parker) mangerà la paglia (pesce) come un bue (Pi).

Dopo la fatica di intendersi le difficoltà della vita, i morsi della fame, la paura della morte sulla piccola lancia, sperduta in un oceano maestoso di acqua, si compirà un miracolo divino.

Alla fine del racconto Dio si manifesta nella sua interezza!

Come gli altri temi trattati dal regista nelle sue precedenti opere, la storia tende all’inverosimile, raggiungendo punte fantastiche e incomprensibili. Dio forse si raggiunge in questa maniera. Seguire una strada semplice non avrebbe portato al risultato sperato, ci si sarebbe persi. Infatti, la strada è raggiunta casualmente; per comunicare a Pi la notizia dell’abbandono dell’India, il padre gli annuncia: “Noi navigheremo come Colombo”. La risposta del figlio è preveggente: “Ma Colombo stava cercando l’India.”

Per gli ispettori della compagnia navale, il racconto di Pi è inaccettabile. Essi vorrebbero sentire una storia più credibile, più giustificabile per dei burocrati, ma la via dei pignoli assicuratori non è quella per Dio.

Il film appassiona, attorciglia un’emozione totale. Se la prima parte ha una dimensione favolistica, il resto della pellicola è una complessa costruzione di relazioni fra due esseri del tutto diversi. La potenza spirituale dell’acqua unisce, le immagini e i colori appaiono dei fuochi d’artificio.

Il regista Ang Lee conferma in un’intervista (http://www.rogerebert.com/interviews/ang-lee-of-water-and-pi) la sua visione dell’acqua e della fede:

"I wanted to use water because the film is talking about faith, and it contains fish, life and every emotion for Pi. And air is God, heaven and something spiritual and death. That' show I see it. I believe the thing we call faith or God is our emotional attachment to the unknown. I'm Chinese; I believe in the Taoist Buddha. We don't talk about a deity, which is very much like this book; we're not talking about religion but God in the abstract sense, something to over power you."

Oltre la visione esposta prima, Ang Lee aggiunge un tema interessante: “I believe in the Taoist Buddha”. Abbiamo parlato di cristianesimo, islamismo, induismo ma l’acqua assume un valore importante altresì nel taoismo e nel buddismo (uniti da Ang Lee come un’unica filosofia). Basterebbe guardare un quadro cinese per osservare di come l’acqua salga in cielo e ridiscende.

Nella stessa intervista parla di ventitré scene girate con una tigre vera; aggiungendo valore al bravissimo Suraj Sharma, malleabile e aggraziato di fronte alle richieste del regista:

“Grazie Vishnu, per avermi fatto conoscere Cristo.”