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La principessa di ghiaccio di Camilla Läckberg

La principessa di ghiaccio di Camilla Läckberg

Marsilio, Venezia

Gennaio 2011, prima edizione

Autore recensione: Roberto Matteucci

“[…] Con le tasse che si pagano in questo paese, gran parte dei tuoi soldi servirà per finanziare pessime scuole e un’assistenza sanitaria ancora peggiore.” (Pag. 254)

La Svezia è il regno del welfare, il paese della socialdemocrazia, del progressista Olof Palme, delle comuni, del benessere.

Andiamo a leggere i dati ufficiali dell’Eurostat sulla criminalità. I reati denunciati alla polizia in Svezia sono stati nel 2008 1.377.854 mentre in Italia nello stesso anno 2.709.888 con una popolazione sei volte superiore.

I sistemi giudiziari e legislativi sono diversi, ma è innegabile una maggiore prevalenza a delinquere in Svezia rispetto all’Italia.

Appariscente è il dato dei suicidi. Secondo la stessa fonte nel 2009 i suicidi per ogni centomila abitanti sono stati 12,3 in Svezia mentre nel 2008 in Italia sono stati 5,4.

Il The Swedish National Council for Crime Prevention afferma che i crimini sessuali sono raddoppiati in dieci anni.

La premessa numerica ci consente di comprendere il mondo di Fjällbacka, piccolo paese di pescatori svedese, ambiente del libro di Camilla Läckberg, La principessa di ghiaccio (Marsilio, 2011).

Erica è una scrittrice, nata a Fjällbacka e trasferita a Stoccolma. A causa della morte dei genitori è costretta a ritornare temporaneamente nel paese nativo.

Negli stessi giorni della sua permanenza la sua amica d’infanzia Alexandra è uccisa.

Un omicidio drammatico, cruento. Erica precipita nei ricordi più lontani e dolorosi, e così l’intero paese.

Alle spalle la bellezza della montagna e di fronte, nel mare profondo, risplendono le tante belle casette del paese. L’armonia esteriore è in contrasto con le atrocità, i dolori, le disperazioni celate negli abitanti.

L’apparente normalità nasconde delitti, maltrattamenti, amori non corrisposti, gelosie, invidie. Questi sentimenti possono sfociare in odio e produrre anche il più nefasto dei crimini: l’assassinio.

Alexandra era donna bellissima, intorno a sé aveva creato un mondo di attenzioni elevate. Perciò la sua morte sarà catarticae tutto il paese si trova ad affrontare un passato sociale e comune pesante, con un altrettanto ineluttabile presente. Fjällbacka sarà sconvolta, frastornata da una memoria penosa e drammatica.

Le nefandezze degli svedesi – riportate nel libro – sono di una gravità assoluta e soprattutto di una depravazione e immoralità inimmaginabile.

Tutti gli affetti e i sentimenti sono contagiati. Perfino le persone più delicate e buone possono generare dei mostri affettivi e sociali. Pochi crimini sono rimasti innominati nel libro, e quelli presenti sono alimentati da crudeltà perverse impure.

Non c’è solo cattiveria, abbiamo anche delle speranze, come l’amore di Erica per il ritrovato spasimante della sua infanzia, Patrick il poliziotto dell’indagine.

Infatti, la storia si divide in due, perché gli investigatori sono sia Erica, sia Patrick.

La prima tenta la soluzione emotiva e introspettiva, essa conosce la vittima, non comprende il suo comportamento e soprattutto è affascinata dai tanti segreti.

Patrick si concentra sull’aspetto inquisitivo classico: studi, deduzione pure perquisizioni, arresti.

Il giallo non ha la presenza dell’investigatore e dell’assistente. La spalla qui non esiste, ma c’è una parallela esplorazione fra i due protagonisti, i quali si tengono nascosti dettagli e informazioni.

La storia è costruita come un tipico libro svedese.

Quattrocentocinquanta pagine fitte di dettagli, particolari, minuzie.

Dei personaggi sappiamo tutto; i dolori alla lombaggine, la preparazione di pietanze disgustose, le vie delle strade in un susseguirsi di bla bla bla ininterrotto.

La scrittrice accompagna un dialogo a una descrizione del contorno, non si limita a raccontarci ma tenta di entrare nel particolare della cornice.

Se fosse questa la sua unica strategia, probabilmente il libro sarebbe cestinato dopo dieci minuti, invece l’abilità di moltiplicare i personaggi, dote tipicamente svedese, accresce così le potenzialità del romanzo.

Camilla Läckberg descrive una serie lunga di soggetti, i quali entrano nel testo come delle prime donna, attirano l’attenzione e poi improvvisamente si siedono in panchina in attesa del loro turno.

Per molti l’avvicendamento non ci sarà, altri saranno chiamati a giocare ma solo per pochi minuti, altri ancora diventano interpreti principali.

E via un lunghissimo elenco delle varie tipologie umane e caratteriali; una vera galleria di ritratti umani, caricaturali, volitivi, buffi, intelligenti, ricchi, ma sempre descritti con minuziosa esagerazione.

Abbiamo l’artista ubriacone Anders Nilsson, il ricco sempre elegante e ambizioso Henrik, l’amica francese Francine, l’immancabile ex fidanzato Dan, l’amica avvocato Marianne, il becero commissario Mellberg, la potente benestante famiglia del paese i Lorentz, un uomo scomparso nel nulla Nils Lorentz, un bambino difficile adottato Jan, un cognato infame e violento Lucas, una sottomessa sorella Anna, un ipocondriaco maestro del passato Axel, un marito insoddisfatto e sognatore Eilert e una governante Vera.

Questi arrivano, lasciano un segno e poi alcuni scompaiono, altri sono dei caratteristi, altri sono primari nella storia.

Ma questo non lo sappiamo al loro arrivo. Anzi per ognuno di essi il momento della presentazione è una discesa alla Wanda Osiris: è arrivato colui che ci risolverà le tenebre del delitto.

Poi mostrano il loro lato meschino e si appartano nel nulla.

La scrittrice inoltre continua. Altri soggetti marchiano le pagine del libro: uomini, donne, bambini, vecchi, tutti costeggiano la storia la quale non si fa ingannare perché prosegue con costanza e dedizione sulla sua direzione.

Un’altra chiave di lettura costella il romanzo, quello del ricordo.

È il ricordo, la rimembranza, il passato, il trascorso, ha ricoprire i personaggi, a riempire i vuoti interiori e psicologici.

Il passato diventa presente e influenza gli avvenimenti.

Non si cerca negli avvenimenti attuali, si comprende che le motivazioni arrivano da lontano. Il passato influenza l’oggi.

Per questo il ricordo nel libro è drammatico, angosciante, tutti devono liberarsi da un peso, da una condanna ricevuta nel passato.

La mente ritorna sempre lì. Liberarsi non è possibile salvo un autodafé finale, indispensabile in una psicologia di gruppo e corale come quella di Fjällbacka.

Lo sfondo è la Svezia agiata, consacrata alla società, alla difesa a oltranza dei più deboli.

Eppure sono proprio i deboli a essere vittime sacrificali di tanta infamia. Ciò crea angoscia, ansia, inquietudine cui tutti gli attori del romanzo sono vittime. I tormenti non riescono ad andarsene.

La debolezza della Läckberg è il finale. Perché nonostante le quattrocentocinquanta pagine, il romanzo appare tagliato di almeno altrettanto. Il coraggio di ribellarsi agli editori e di propinarci un mille pagine sarebbe stato un gesto di disubbidienza accettabile.

Invece è costretta – dopo averci assillato con parole in tutti gli angoli – a correre per raggiungere un finale. Lo sentiamo arrivare, mancano poche pagine eppure dopo tanta loquacità ci ritroviamo a una brevità contro natura.

Sentiamo il vuoto, la mancanza di una bella e lunga conclusione, ricca di frasi e perifrasi, di dettagli sparati a vanvera ma capaci a incatenarci al libro.

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