Dubai e il Melting Pot

Burj Al Arab

Burj Al Arab

Nel 2009 la holding Dubai World, legata alla famiglia dell’emiro, e società costruttrice della maggior parte di Dubai dichiara la crisi. Non riusciva a gestire l’enorme deficit, circa ottanta miliardi di dollari. Richiesero una proroga del debito, una ristrutturazione ma le difficoltà permanevano. La bancarotta fu schivata solo grazie all’intervento dell’emiro ricco.

Perché negli Emirati la maggiore quantità di petrolio non si trova a Dubai bensì ad Abu Dhabi.

Per evitare tensioni internazionali e ripercussioni borsistiche molto più costose, il presidente degli Emirati Arabi Uniti, Khalifa bin Zayed Al Nayan, intervenne a favore della holding con dieci miliardi. Il peggio era passato. E come si chiama il più eminente grattacielo di Dubai?

Il Burj Khalifa con 828 metri è la costruzione più alta del mondo ed è stato aperto il 4 gennaio 2010. La silhouette è quella di un missile già in viaggio verso Marte con i suoi passeggeri. Migliaia di persone sono affaccendate nei cento quaranta piani, con la consapevolezza di essere nel luogo più elevato del mondo.

Il nome Burj Khalifa è il ringraziamento al Presidente per il versamento. D’altronde per dieci miliardi di dollari chi non sarebbe pronto a battezzare il figlio con il nome Khalifa?

Nel 2009 la grave crisi aveva il suo monumento decadente: migliaia di autovetture abbandonate nei parcheggi dell’aeroporto di Dubai. La crisi fu spietata, se la grande holding era too big to fail, nessuno intervenne a salvaguardare le migliaia di imprenditori piccoli medi grandi pressati dai debiti. Se non rimborsare gli impegni finanziari in Italia è giudicato una benevole furbizia contro le sanguisughe bancarie, negli Emirati le insolvenze dei prestiti portano diritto alla prigione. Ci fu un fuggi fuggi generale, e nella fuga furono abbandonate autovetture e denaro in conti bloccati. Un momento di panico.

Nel dicembre 2016, a Dubai, quei giorni di crisi sembrano finzione. La città è ancora un immenso cantiere. Dai grandi hotel si fissano ovunque palazzoni crescere velocemente grazie al lavoro di una miriade di muratori stranieri, i quali, come tante formichine si muovono veloci e all’unisono. Sono ancora tanti i progetti stratosferici in corso d’opera. Alcuni sono saltati o sospesi, come le grandi isole artificiali, ma ancora tanto deve essere realizzato.

Recarsi a Dubai comporta una riflessione.

Il tutto nasce da una questione demografica. Dei circa tre milioni di abitanti, gli emiratini saranno il 10%, il resto sono stranieri.

Gli stranieri si dividono in categorie e sotto categorie.

Al top ci sono i ricchissimi, i milionari, i miliardari. Vogliono godersi il lusso, il benessere e la sicurezza di un paradiso congegnato per facoltosi. Non si vedono in giro e purtroppo non rientro nei loro circoli.

Poi ci sono i ricchi medi e piccoli, occidentali, arrivano per iniziare attività con immensi benefici di risparmio di tasse, di burocrazia, di controlli. Godono di una facilità di movimento sparita in Europa da tempo.

In un ambiente inferiore ci sono gli stranieri che ci mettono le mani e il sudore, essi devono costruire fisicamente mattone per mattone le centinaia di metri in altezza. Migliaia di pakistani, bengalesi, indiani, nepalesi, cingalesi sono impegnati nelle occupazioni più dure. In un gradino leggermente superiore ci sono, prevalentemente, indiani con titolo di studio, ingaggiati negli impieghi amministrativi. E poi i filippini, tantissimi, sono più dediti, più propensi alle mansioni ricreative e di sostegno alla popolazione.

Dall’Europa arriva una nuova specie di avventurieri, specialmente giovani alla ricerca dell’arca perduta, un po’ beccaccioni nel credere il sentito dire. Sono dei sognatori, prestano fede alla leggenda di ricchi emiratini perennemente pronti a ricompensare i subalterni con mance di biglietti da mille dollari. Però un aspetto vero lo riportano, a Dubai gli stipendi sono molto elevati. Ma questo non è sinonimo di benessere. Da un lato c’è un’elevata entrata, dall’altra c’è un costo della vita altrettanto multiplo. Quindi tolte le spese minime e necessarie, rimane poco, e soprattutto se si vuole essere accettati in certi gruppi sostenuti bisogna spendere senza ritegno.

La principale voce di uscita sono gli affitti, altissimi, perciò nonostante il lauto stipendio devono convivere in gruppi in piccoli appartamenti come degli studenti universitari.

E qui nasce la prima passione degli occidentali: il gossip, il pettegolezzo.

Incontro un amico italiano, si è trasferito da anni a Dubai. Mi parla di un ottimo lavoro, pagato benissimo, pieno di benefici, con tanti subalterni. È l’inizio. Poi s’infiamma quando entra nelle narrazioni, immancabilmente dettagliate, della vita notturna, dei brunch da duecento euro champagne compreso, delle mirabolanti e privatissime feste, frequentate segretamente dai VIP. Accondiscendo stupito a ogni esagerazione, come se fossi lo scemo del villaggio.

Dopo la prima fase di esaltazione della propria esistenza parte all’attacco diretto. E tu lavori ancora in banca? E quanto guadagni? Di fronte alla mia risposta la sua faccia ha una smorfia sdegnata e patetica. Ma come, cosi poco? Qui in banca si guadagna 5.000 euro al mese, ma che dico, 10.000 euro al mese, ma che dico, 20.000 euro al mese … Con molta bile e livore profondo comincia un altro sentito dire. Ha saputo da un amico di un mio amico di amico che conosce un altro amico di un altro amico di un altro amico che un francese (ma qualunque nazionalità va bene) ha avuto un lavoro in una finanziaria è prende 30.000 dollari al mese, casa singola sulla spiaggia di Jumeirah, Mercedes aziendale con autista incorporato, e scuola privata gratis per i figli. Perché se le case a Dubai sono carissime, i collegi, ovviamente privati, sono un salasso perfino per i ricchi.

Ancora più fintamente intontito ammicco un beato lui. La contro replica è ancora più allucinante “ma perché non fai domanda anche tu?”. Trattengo una risata di fronte a tanta ingenuità,

Passata la fase d'invidia, si trasforma in un avvoltoio pronto a gettarsi sulle sventure altrui. Mi espone un concetto ovvio: più in alto si sale, più ci i fa male quando si cade. Mi rivela della decadenza di un amico di un amico e così via. Con un sorriso malizioso e un filetto bava narra di uno che guadagnava 30.000 euro al mese, casa sulla spiaggia di Jumeirah, Mercedes aziendale con autista e scuola pagata ai figli. Ebbene un giorno, dopo due anni, è convocato e licenziato in tronco per ristrutturazione aziendale. Ha perso il lavoro, ha dovuto lasciare la casa e trovarsi un appartamento, bello, ma con un affitto esorbitante, prendere in leasing una macchina, degnarsi di guidarla personalmente per le belle grandi lunghe strade, e cominciare a svenarsi per saldare direttamente la retta del college dei figli, perché non è possibile abbandonare il corso a metà anno. Il problema è la difficoltà a trovare un altro impiego, perfino molto meno retribuito gli andrebbe bene, perché oramai si è bruciato sulla piazza. Non può lasciare Dubai, i pochi risparmi sono finiti, ha cominciato a contrarre debiti, gli amici non rispondono al telefono, i brunch li guarda dalle vetrate degli hotel, la moglie minaccia di lasciarlo e di portargli via i figli. I fatti finiscono senza un minimo di compassione, ma con ilarità sfrontata manifesta una soddisfazione profonda.

Pago il conto del bar, perché il mio amico ha opposto una blanda resistenza al mio desiderio di provvedere al dovuto e mi allontano triste.

Migliore è l'atmosfera se si parla con amici provenienti dalla Asia. La situazione è la stessa ma al contrario, solitamente mostrano un basso profilo. Un pakistano racconta di uno stipendio bassissimo ma che gli consente di mandare dei soldi alla famiglia, della pesantezza di abitare, sempre per gli alti affitti, in una camerata con decine di persone, di privacy inesistente, di uscite con amici unicamente per osservare le vetrine del Dubai Mall. Però c’è una condotta più rilassata, ma indubbiamente la verità è incerta pure in questa situazione. Se nel caso del mio amico italiano c’è la volontà di accrescere stipendi, stile di vita, relazioni altolocate, nel caso del pakistano c’è il proposito di diminuire stipendi, nel descrivere solitudine e di triste uscite.

Union Square

Union Square

Per comprendere meglio questa tipologia bisogna sempre considerare delle passeggiate a Deira. Nella zona del vecchio quartiere arabo, ci sono pochi turisti soprattutto di sera. Gli occidentali non vivono in quella zona perché il quartiere e considerato poco elegante e adatto limitatamente alla bassa manovalanza. Ma in realtà è l’ubicazione migliore per conoscere il lato oscuro di Dubai. Basta sedersi nella piazza di Union Square e guardare al tramonto i giochi di luce della fontana. Non si passa inosservati, tante persone salutano, tentano un colloquio, un approccio amichevole. Basta essere sereni e tranquilli e si possono conoscere nuovi amici più benevoli. Dubai è carissima, invece a Deira con pochi dirham si può mangiare nei tantissimi ristoranti della buona cucina araba iraniana indiana pakistana.

Dubai Creek

Dubai Creek

A pochi passi da Union Square c’è il Dubai Creek. È un tracciato d’acqua ampio, separa la città e ha rappresentato per anni un bacino per la pesca e il commercio. Per raggiungere l’altro lato ci sarebbero ponti e due linee della metropolitana, ma più divertente e molto economico prendere una imbarcazione tradizionale, e attraversare lo specchio d’acqua come gli arabi hanno fatto per secoli. Nell’altro lato ci sono molti ristoranti, nei quali si può fumare il narghilè serenamente e senza fretta. E gradevole una passeggiata per perdersi nella zona del Shindagha. All’ingresso nel prato decine di persone sono sdraiate sull’erba e si rilassano, parlano, fumano, dormono. E forse l’unica normativa vietata trasgredita senza nessun intervento. Un cartello indica chiaramente il divieto di camminare e stendersi nel prato. Come è vietato giocare a calcio, ma tanti ragazzi lo fanno normalmente. Ma Shindagha nasconde altri segreti e misteri ma questi è bene scoprirli da soli.

Dalla stazione di Al Ghubaiba, per raggiungere il Dubai Mall, ci sono tante fermate di metro, però conoscere Deira è importante. Non è alla moda stare in un quartiere arabo, mangiare in un ristorante iraniano di Deira non è come un brunch all’Hotel Atlantis, però Deira è il segmento vivo, da conoscere molto di più rispetto alle altre zone.

Ma c’è una condizione ancora più inferiore. Perché nel tempo Deira è diventata troppo costosa. Chi ha meno reddito è obbligato a risiedere a chilometri di distanza, addirittura in altri emirati come quello di Sharjah e di Ajman. Sono luoghi molto rigidi e severi ma più economici negli affitti, pertanto si sono trasformati in un dormitorio di salariati. Due volte al giorno migliaia di persone viaggiano per chilometri per trovarsi al loro posto di lavoro a Dubai.

Viaggiare in metro è una esperienza. Bella, pulita, efficiente, tutti sono rispettosi e pronti a lasciarti il posto. È anche selettiva perché esiste una classe economica e una gold class nella quale possono entrare le donne e chi acquista un biglietto maggiorato. Perché nelle ore di punta l’economica è pienissima e bisogna stare accalcati.

Rincaso verso la zona dell’Emirates of Mall, il primo degli imponenti centri commerciali di Dubai. I centri commerciali sono il nucleo della vita. C’è ne sono grandissimi in tutte le zona, compresa Deira. Sono fondamentali per dirigere gli umori degli abitanti. Non importa avere i soldi per lo shopping, basta guardare. Tutto è tremendamente caro, compresi gli stessi franchising economici che si trovano nelle vie del centro in Italia. Immagino, se sono alti gli affitti delle case, quelle dei negozi al Dubai Mall devono essere esorbitanti.

Fountain Dubai Mall

Fountain Dubai Mall

Il Dubai Mall è il centro commerciale di gran moda. L’Emirates of Mall nel confronto appare piccolo e datato, nel tempo non ha retto allo scontro con il gigantesco mall.

La mia prima conoscenza del Dubai Mall è stata faticosissima, ho camminato tantissimo, visto una moltitudine di negozi, ristoranti, bar. Sono tornato in albergo stanco sia nel fisico, sia visivamente. Due giorni dopo ci sono ritornato, volevo rivedere i negozi con calma. Sbalordito ho scoperto una specie di magia. La prima volta, nonostante ci avessi passato delle ore, avevo conosciuto solo una metà, ne esisteva un’altra ancora più vasta. Una piazzetta con al centro l’Armani Caffe e intorno i negozi dei più lussuosi brand di alta moda del mondo. Non c’era affollamento, e io timido guardavo le vetrine per deridere i prezzi con tanti zeri apparentemente appesi ai bellissimi vestiti. Ancora più stupefacente è l’enorme acquario, parzialmente visibile passeggiando. Mentre è meravigliosa la fontana nella quale l’acqua cade velocemente per tre piani. Affiorano dalla cascata d’acqua alcune statue di tuffatori, impreziosendola, alzandola al rango di un monumento fantasioso e incredibile. Il selfie è d’obbligo.

Non deve stupire una cascata alta tre piani, perché Dubai è un mondo al verticale. Cresce sempre più in alto. La voglia di salire è un contrappeso al piatto deserto intorno alla città. I palazzi salgono al cielo spinti dal desiderio di volare. E quando si parla di volo a Dubai il pensiero corre alla compagnia aerea Emirates. Lo scopo velleitario era portare i benestanti e la classe media in ogni luogo del mondo, con lusso e ricercatezza. Il contraltare alle nascenti low cost. Soprattutto avrebbe voluto trasportarli immediatamente nei mega centri commerciali per imbottirli di vendite e di luce fosforescente. La compagnia tenta di mantenere una condizione medio elevata ma solo nella sontuosa first class avviene il sogno. Vorremmo essere come Jennifer Aniston, la quale, stanca del lusso estremo, accetta volentieri di sedersi – democraticamente – in seconda classe.

Il melting pot di Dubai ha indubbiamente un fascino. Arrivano migliaia di immigrati, molti di più degli sbarchi in Italia e Grecia ma c’è una differenza sproporzionata. Gli arrivi sono regolari in incolumi viaggi aerei e non in miserabili, pericolosi viaggi in mare lasciati in gestione a spregiudicati delinquenti. A Dubai è tutto molto controllato e sorvegliato. Lo scopo di arrivare nello stato è quello lavorativo, altro non si viene a fare. Una gestione attenta del fenomeno consente di mostrare una società multiculturale e anche multi religiosa, numerosi sono i cristiani e gli hindu, i quali vivono nel paese tranquillamente. Il mostrare l’aspetto repressivo duro consente a Dubai di essere un luogo sicuro, con una delinquenza sociale minima. Forse altre criminalità sono da cercare a livelli più alti, ma per i cittadini vivere, uscire, è una condizioni da compiere in totale serenità. Nel tempo passato a Dubai gli unici contatti con il ‘’crimine’’ sono stati contenuti. Un ragazzo mi ha proposto di sottecchi l’acquisto di un iphone. Di fronte a un diniego non ha insistito e si è ritirato con educazione. Due indiani i quali erano stati licenziati e di conseguenza avevano perso visto e casa dormivano su una panchina nascosta a Deira. Ma anch’essi erano molto timidi e riservati. Perché a Dubai, se si perde il lavoro, le autorità concedono un po’ di tempo per trovarne un altro oppure si ritorna nella nazione d’origine.

Ci sono tanti giovani volenterosi, è la seconda generazione, studia molto, si impegnano, sono volenterosi. Le scuole sono care ma molto efficienti. Tanti vivaci ragazzi, universitari, erano presenti come volontari al Dubai International Film Festival. Erano di tante nazioni, erano tutti gentili, impazienti di essere cortesi, parlavano tutti correttamente l’inglese. Sono le nuove leve, senza distinzione di provenienza.

Il Dubai festival si svolge al Madinat Jumeirah. Si tratta della rivisitazione architettonica contemporanea di un villaggio arabo. Ci sono vie d’acqua e tanti vicoli interni ed esterni. C’è un bazar caloroso a forma di labirinto nel quale è giusto perdersi. È pieno di negozi di souvenir o cianfrusaglie o oggetti costosi, con tanti ristoranti e bar. Di fianco naviga la vela del Burj Al Arab. Lo sfarzoso hotel, si innalza in verticale maestoso e partendo dalla sua isola artificiale vorrebbe veleggiare nel golfo Persico. La sua audacia è prodigiosa. Di notte è illuminato di tanti colori accesi ed è una fortezza in quanto, salvo prenotazioni nell’albergo o in uno dei dispendiosi ristoranti, è impossibile entrare.

A proposito di sicurezza i poliziotti di Dubai sono invisibili. Nelle sale del festival i controlli erano tanti, ma discreti e lontani. I poliziotti giravano con il dishdasha, il tradizionale ed elegante abito arabo maschile, riuscendo a mostrare la loro presenza in assenza di esteriorità fisica.

Prima di tornare a casa un altro giro a Deira. Questa volta il fine è comprare dei regali nei mercati. Sono dei commercianti implacabili nella loro persuasione. Il Gold Souq è immenso, luminoso, bello, ricco. Tanti turisti sono alla ricerca dell’affare, però io non riconosco l’oro dalla pirite, dunque mi sono tenuto alla lontana. Mi sono comprato le mie pashmine, qualche copricapo e altri ameni oggetti. Certamente mi hanno fregato, avrò pagato almeno il doppio ma non importa, è il prezzo del turista ingenuo. Questa atmosfera, elegante e surreale, è la conseguenza del viaggiare solitari.

Ma viaggiare soli a Dubai è un bene, perchè la solitudine è un’altra caratteristica dei nuovi arrivati, dei nuovi cittadini. Lasciano le loro radici, amici, famiglie e si trovano isolati ad affrontare un nuovo paese. Vanno alla ricerca di un po’ di compagnia con iper attivismo, con una volontà di coprire i vuoti con beni materiali. Si partecipa a feste, incontri, si esce con i colleghi, si fa amicizia via internet, si tenta l’impossibile per avere un calore umano vicino. A Dubai è facile costruire amicizie, la gente è affamata di contatti, di relazioni, di rapporti. Ma spesso questi rapporti sono come Dubai, effimeri, inesistenti, tutta facciata e nulla sostanza. Lo stesso accade al protagonista del romanzo L’uomo di Dubai scritto da Joseph O’Neill. Un libro da leggere assolutamente prima di partire. È la storia verosimile di un americano, il quale accetta passivamente un lavoro presso una company di una ricca famiglia con legami in tutto il mondo. Entra in un meccanismo mastodontico, con un ricco salario e tanti benefici. Crede di essere un piccolo ingranaggio ma si scopre perno essenziale, pronto ad essere sacrificato alla bisogna. Nel tempo prende coscienza della città, la capisce ma non reagisce. Avrebbe potuto anche lui abbandonare l’autovettura all’aeroporto e fuggire, ma di indole apatica, si lascia andare a una passività sconsolante perciò rimane e si ed è posseduto da Dubai nella sua solitudine.

È un romanzo divertente, ironico, fondato sulla reale vita degli arrivati a Dubai. Accecati dalla ricchezza e dal lusso perdono il concetto di realtà.

fonti:

1) Joseph O’Neill, L’uomo di Dubai, Codice edizioni, Torino, 2015

2) Simone Filippetti, Il Sole 24 ore, Dubai chiude la crisi di Palm Island, 25 agosto 2016

www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2016-08-25/dubai-chiude-crisi-palm-island-063833.shtml?uuid=ADjH5w9

3) fotografie di Roberto Matteucci

Roberto Matteucci

https://www.facebook.com/roberto.matteucci.7

http://linkedin.com/in/roberto-matteucci-250a1560

“There’d he even less chance in a next life,” she smiled.
“In the old days, people woke up at dawn to cook food to give to monks. That’s why they had good meals to eat. But people these days just buy ready-to-eat food in plastic bags for the monks. As the result, we may have to eat meals from plastic bags for the next several lives.”

Letter from a Blind Old Man, Prabhassorn Sevikul (Nilubol Publishing House, 2009)

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