La donna che canta - Incendies Regista: Denis Villeneuve
La donna che canta - Incendies
Regista: Denis Villeneuve
Provenienza: Canada
Anno: 2010
Autore Recensione: Roberto Matteucci
«“Egli ucciderà suo padre. Sposerà sua madre”. Per sventare questo oracolo di Apollo, Giocasta, regina di Tebe, abbandona il figlio sulla montagna con i piedi forati e legati »
Denis Villeneuve in La donna che canta – Incendies racconta una disputa familiare. Nawal Marwan muore improvvisamente in Canada. Si è trasferita da molto tempo proveniente dal Libano degli anni settanta, sconvolto dalla guerra civile. Nawal ha due figli gemelli: Jeanne e Simon, dal carattere molto diverso.
La tassa di successione dovrebbe essere del cento per cento. Si eviterebbero dispute ereditarie tra fratelli e aiuterebbe i figli a crescere con le proprie forze. In questo caso però l’eredità ha un valore diverso: sarà un viaggio edificante nella storia della famiglia. Non sappiamo quanti soldi la madre lascia ai ragazzi e non ci interessa. Sappiamo però del suo tentativo di ingannare i propri ragazzi.
Perché la madre è tanto crudele nei confronti dei suoi figli? Perché non raccontare subito la verità: lei la conosce bene? Perché organizza una malvagia caccia al tesoro?
Da questo momento la storia comincia a sanguinare come il Libano di Nawal. I perché sono tanti, ma le risposte non ci sono.
“Siamo una grande famiglia” urla uno dei gemelli! Anche Edipo aveva una grande famiglia. Villeneuve si serve di capitoli con tanto di titolo per raccontarci gli avvenimenti. Il racconto è un intreccio costruito con molta abilità tecnica e di stile. I flash back della gioventù della madre si dissolvono elegantemente ai nostri giorni, diventando un ricamo con l’affannosa ricerca dei due gemelli.
Il linguaggio è drammatico e commovente. I primi piani sono intensi e solitari, mentre lo sfondo è incerto e sfocato: la persona prevale su tutto.
Comprendono contemporaneamente amore e odio, possono anche convivere, fino a integrarsi in un unico sentimento. La cattiveria, la violenza per quanto sconvolgenti, per quanto male può provocare, trova sempre un elemento edificatore nell’amore.
Denis Villeneuve è abile. Riesce a rendere leggibile tutto, con tanta attenzione al linguaggio. Sconvolge ad esempio l’uso dei simboli religiosi. Il miliziano uccide donne e bambine, sul mitra ha incollato il santino della Madonna; Nawal riuscirà a salvare la sua vita mostrando il crocefisso al collo.
Tanti altri sono appesi ai muri o tracciate sulla parete. Le immagini salvifiche e sacre sono congiunte a gesti di efferata violenza, riportandoci al messaggio della pellicola: l’amore e l’odio possono convivere.
Villeneuve oltre a tanti simbolismi usa generi classici: il viaggio, la ricerca la guerra, il flash back. Il film è bello, nonostante la trama possa provocare molti dubbi. Un’esaltazione del femminile. Nawal ha un carattere forte e deciso anche quando sbaglia. Le sue scelte sono dettate dal tumulto personale e dall’anticonformismo.
E’ una donna ribelle. Ama un profugo palestinese, sconvolgendo la sua famiglia cristiana.
E’ una donna spietata. Non ama la sua famiglia: infatti, non la cercherà nell’epocale sconvolgimento del tempo.
E’ una donna improvvisa e volubile. Nelle violenze del tempo da tutte le parti, lei riesce a individuare il suo nemico con certezza e con altrettanta violenza ad assassinarlo.
E’ una donna falsa. Del suo passato nulla racconta hai figli: “L’adolescenza è un coltello trafitto nella gola”. Essa lo toglie dalla sua gola per piantarlo spietatamente in quella dei figli.
E’ una donna depressa. Non reagisce alla sua storia. Non osa assumersi le sue responsabilità. Costringe i suoi ragazzi a farlo per lei.
L’elaborazione del lutto di Nawall sarà fatta dai gemelli, essa non vuole saperne nulla. Però sa amare e perdonare. Il suo carattere la sconvolge fino a portarla alla morte, cercando egoisticamente di trascinare tutti quanti.
Avrebbe potuto continuare nel silenzio e nella falsità, come si è sempre comportata in tutta la sua vita canadese: “A volte è meglio non sapere tutta la verità.”
Avrebbe potuto svelare il suo segreto immediatamente, ma non lo fa.
Non vuole o non può farlo? Crede di essere un’educatrice?
Vuole essere solo lei la protagonista, non ammette comprimari. I figli sono schiacciati dalla madre e sono costretti a compiere scelte non proprie. Alla fine non sappiamo se c’è una prova dell’esistenza matematica di Dio, ma sicuramente dopo questo film sappiamo che Dio – per Villeneuve – è femmina.