Moffie Regista: Oliver Hermanus
Moffie
Regista: Oliver Hermanus
Cast: Kai Luke Brummer, Ryan de Villiers, Matthew Vey , Stefan Vermaak, Hilton Pelser, Wynand Ferreira, Hendrik Nieuwoudt, Shaun Chad Smit, Rikus Terblanche, Matt Ashwell, Ludwig Baxter, Philippa Berrington-Blew, Mitchell Christy, Jan Combrink, Remano De Beer
Provenienza: Sud Africa, UK
Anno 2019
Autore recensione: Roberto Matteucci
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“Benvenuti al luna park”.
Negli anni ottanta, il Sudafrica entrò in una profonda crisi sociale, politica, economica. Con l'indipendenza di molti stati africani, il Sudafrica fu isolato. Gli unici alleati ai suoi confini rimasero lo Zimbabwe e la Namibia, quest'ultima controllata direttamente dallo stesso Sudafrica.
Nel frattempo, al nord della Namibia, in Angola scoppiò una guerra civile, fra il governo comunista, e il movimento UNITA. L'Angola divenne lo scenario di uno scontro indiretto di altre nazioni. Russia e Cuba si schierarono a favore dell'Angola. Cuba inviò delle truppe. L'UNITA ebbe l'appoggio degli Stati Uniti e del Sudafrica. Anche il Sudafrica inviò l'esercito.
Con la sconfitta sudafricana nella battaglia di Cuito Cuanavale la guerra finì. L'accordo previde il ritiro sia dei cubani, sia dei sudafricani.
Per il Sudafrica dell'apartheid, la disfatta, significò la legalizzazione dei movimenti di liberazione e l'uscita dal carcere di Mandela. (1)
La guerra in Angola è il background del film Muffie del regista Oliver Hermanus, proiettato alla 76° Mostra Internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
L'autore ha una tesi conformista. Non tutti i bianchi furono nemici dei neri. Ci furono bianchi trattati peggio: gli omosessuali. L'autore unisce e rende simile la discriminazione dei neri a quella degli omosessuali.
Oliver Hermanus presentò, nel 2015 a Venezia, il film The Endless River. Una storia brutale ambientata in una piccola città del Sudafrica, nel quale la natura prevale. La bellezza fisica del Sudafrica confrontata con la violenza, un'altra allegoria sul paese: meraviglie e cattiverie hanno convissuto per anni. L'argomento di Muffie è uguale, descritta ovviamente in maniera diversa.
È il 1981. Nicholas, diciassette anni, è coscritto nell'esercito per combattere in Angola. Il ragazzo, insieme a tanti giovani energici, parte per il confine. Prima di essere catapultati nel conflitto devono fermarsi in un campo di addestramento.
Moffie è un termine sprezzante per indicare i gay sudafricani. Il regista lo racconta:
“At the centre of this film there is a word – moffie. Any gay man living in South Africa knows this word and has a relationship with it. It’s a weapon that has been used against us for so long. I felt a strong pull to exploring my own history with this word which ended up being a scene in the film and I think it was the want to de-nuclearise, reform this word that was at the heart of my decision to make this film.” (2)
Per l'autore, Moffie è una pellicola su una parola. Una parola da liberare, da pulire, e successivamente assegnargli un concetto storico e sociale. Riconvertire una parola è come riconvertire una nazione. La società del Sudafrica è machista. Machismo ancora più estremo in un contesto esclusivamente maschile come l'esercito. Il regista rivela questi due temi:
“The film’s primary focus is masculinity. It explores the way that white South African men have been made for over a century. How the Apartheid system, the army and the conservative nature of this country fed young boys an ideology of superiority and hate. Being a ‘moffie’ in this context meant being a crime, being a problem, a mistake.” (2)
In questa società dura, Nicholas deve dissimulare le proprie debolezze, il proprio peccato. Un delitto giovanile causa un senso di colpa nei confronti della famiglia. Un avvenimento adolescenziale, mostrato in un inquietante flash back. Nicholas deve apparire forte, fingere di essere fiero dell'arruolamento, deve accettare con disinvoltura il regalo del padre: una rivista porno. Nell'addestramento deve essere diffidente. Non è facile. Ci sono troppi ragazzi giovani, forti, belli. La solitudine, la guerra, scatenano i desideri. Soli, affranti, stanchi, freddi, lontani da casa, si ritrovano in una trincea, si guardano negli occhi, si accarezzano.
La discriminazione è totale. Un commilitone scopre due reclute nel bagno mentre si scambiano gesti sessuali. Subiscono le umiliazioni peggiori e, addirittura, sono trasferiti nel reparto 22, il dipartimento psichiatrico dell'ospedale militare. La condizione dei gay nell'ospedale non si vede, è raccontata solo dai testimoni con il silenzio. Tacciono, non ci sono parole per rivelare la crudeltà subita. Un soldato cerca di reagire, di negare, urlando nello sconforto: “Io non sono come te”, ma non è vero.
Il trasferimento degli arruolati verso la prima linea avviene in treno.
Una scena molto suggestiva. Il convoglio è filmato dall'alto, dentro è pieno di maschi, impegnati a nascondere le loro preoccupazioni. I vagoni corrono in mezzo una verdeggiante foresta. Il treno è maestoso mentre ritmicamente sballotta numerosi giovani.
Il treno non è un simbolo causale, soprattutto se, come in questa sequenza, è colmo di maschi ricchi di ormoni:
“Le scosse della carrozza e più tardi dei viaggi in treno esercitano un effetto così fascinoso sui bambini già cresciuti, che tutti i maschi almeno una volta nella vita vogliono diventare conduttori e cocchieri. Essi di solito dimostrano un interesse ben misterioso per tutto quanto riguarda la ferrovia e nell'età dell'attività fantastica (poco prima della pubertà) ne fanno il nucleo di un simbolismo squisitamente sessuale. La coazione a istituire questo nesso tra il viaggio in ferrovia e sessualità deriva evidentemente dal carattere piacevole delle sensazioni di movimento.” (3)
Il correre veloce attraversando il verde del Sudafrica riveste questa funzione.
La vita nell'accampamento non è estranea a questa pulsione sessuale. Il regista li riprende come delle statue, come Apollo, come un Bronzo di Riace. Sono in mimetica sotto il sole cocente. Ovvero in fila carichi di virilità. Ovvero nudi, lussuriosi, diafani nelle docce. Ovvero nella loro eccitante nudità. La sensualità è volutamente ricercata, usando immagini dirette nell'addestramento, o in combattimento. Ovvero nel passato nascosto, con il flash back degli sguardi erotici nello spogliatoio di un club. Ma il suo voyerismo fu scoperto con la conseguente mortificazione di fronte ai genitori e agli ospiti.
Il machismo è un altro tema del racconto.
C'è la super sfruttata figura del sottoufficiale cattivo e carogna, esagitato nell'annullare la personalità delle reclute: “Da ora siete di proprietà del governo sudafricano”.
Ci sono esercitazioni virili, atteggiamenti muscolari, le lotte mascoline:
“... i primi sintomi di eccitazione nei loro genitali durante le zuffe o lotte con i loro compagni di giuoco, situazione questa nella quale, oltre lo sforzo muscolare generale, si fa sentire anche un completo contatto cutaneo con l'avversario. … Per molti individui il nesso infantile tra baruffe ed eccitamento sessuale è una codeterminante per la direzione che in seguito preferiranno nella loro pulsione sessuale.” (3)
Questo è l'ambiente maschilista realizzato da Oliver Hermanus.
La regia è formale, segue una logica, una argomentazione chiara e determinata. Le scelte sono specifiche. L'atmosfera dell'epoca è azzeccata. Alterna rapide scene dal focus al non focus. Tecnica utile per interiorizzare Nicholas.
Mario Zamponi, Breve storia del Sudafrica, Carocci editore, Roma, I edizione, febbraio 2009
https://writingstudio.co.za/writer-director-oliver-hermanus-talks-about-moffie/
Sigmund Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale, Bollati Boringhieri, Torino, Prima edizione 1975, Ristampa maggio 2010