Mosul Regista: Matthew Michael Carnahan
Mosul
Regista: Matthew Michael Carnahan
Cast: Waleed Elgadi, Hayat Kamille, Suhail Dabbach, Adam Bessa, Is'haq Elias, Ben Affan, Mohimen Mahbuba
Provenienza: USA
Anno 2019
Autore recensione: Roberto Matteucci
Click Here for English Version
“Odio le armi”.
Da tempo, il giornalismo sugli avvenimenti esteri è regredito. Il coraggioso corrispondente di guerra non esiste più. Le notizie dalle zone pericolose sono soltanto veline propagandistiche, scritte con svogliatezza e partigianeria politica.
Ci sono delle eccezioni.
La rivista americana New Yorker in un articolo del 6 febbraio 2017, firmato da Luke Mogelson e intitolato “The Desperate Battle to Destroy ISIS” racconta la conquista del Daesh di una vasta estensione del territorio iracheno. Il lungo resoconto, parla degli avvenimenti in Iraq, dei motivi dell'avanzata dell'Isis, della sua decadenza. Mosul è stata la città simbolo della vanagloria del califfato. Occupata dall'Isis fu luogo di uno scontro esteso e violento.
Il giornalista lo espone partendo dalla volontà degli iracheni di liberarsi dalle pastoie dell'Isis. Si concentra su un episodio minimo ma significativo. La resistenza a oltranza di un manipolo di swat iracheni, i quali combattono contro il califfato senza pietà. Le perdite degli swat furono enormi ma mai si arresero. Quando lo stato islamico non aveva più avversavi - l’esercito di Bagdad era fuggito - essi furono gli unici oppositori. I loro nemici erano tanti, isolati, non avevano alleati neppure in Iraq.
Cosi scrive l’inviato:
“The swat team was created in 2008 and, in conjunction with U.S. Special Forces, conducted raids in Mosul to arrest high-value terrorism suspects. After the American withdrawal from the country, in 2011, the unit hunted down insurgents on its own.
...
The swat team, which at the time was based at a compound near the Mosul airport, consisted of roughly eighty men, only half of whom were on duty. As isis surged through the city, the commander of the swat team, Lieutenant Colonel Rayyan Abdelrazzak, consolidated his troops in the Mosul Hotel, a ten-story terraced building on the western bank of the Tigris. The swat team held the position for four days, while the thirty thousand Army soldiers stationed in Mosul—nearly all of whom came from elsewhere in Iraq—ditched their weapons and fled. On the fifth day, a water tanker loaded with explosives detonated outside the hotel, killing three swat-team members and wounding twenty-five. Rayyan and the survivors retreated to the airport compound.” (1)
Hanno alcune peculiarità. Sono esclusivamente iracheni della provincia di Nineveh. Sono coraggiosi, allorché trentamila soldati iracheni scappavano, gli swat resistettero. Soprattutto, rimasero pure dopo la caduta totale della città.
Erano combattenti feroci, spietati, tantoché l'Isis diede l'ordine di ucciderli immediatamente senza offrirgli l'opportunità della Towba, la conversione:
“In the areas it controls, isis typically offers Iraqi security forces a kind of amnesty by means of an Islamic procedure called towba, in which one repents and pledges allegiance to the Caliphate. But the swat team was not eligible for towba. “We had killed too many of them,” (1)
Questo articolo, con protagonisti umani, eroici, ha attirato la curiosità di un regista statunitense Matthew Michael Carnahan. Esso ha realizzato un film d'azione di produzione americana ma con attori locali e recitato in lingua araba. È Mosul, presentato alla 76° Mostra Internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Matthew Michael Carnahan è alla prima regia ma ha scritto il soggetto e la sceneggiatura di film dello stesso genere come The Kingdom, Leoni per agnelli, World War Z.
Mosul, è distrutta dopo molti anni di guerra. In un bar due poliziotti stanno cercando di eseguire degli arresti. Uno è la giovane recluta Kawa.. Ma si tratta di una imboscata e si trovano pericolosamente in mezzo a un violento conflitto a fuoco. La situazione è impossibile da risolvere. Improvvisamente, gli ultimi rimasti degli swat, accorsero in loro aiuto, mettendoli in salvo.
Gli swat sono pochi e non esitano ad arruolare Kawa, riconoscendo in esso delle qualità.
Nonostante il basso numero di unità, non si ritirano. Addirittura, assalgono l'Isis nel loro quartiere generale per aiutare uno dei membri a liberare la famiglia catturata dai terroristi.
Devono attraversare solo qualche chilometro ma, in una città dove si combatte tutti contro tutti, sono chilometri infernali
Il regista vuole un linguaggio realista, è aiutato dagli attori iracheni. Essi hanno vissuto la guerra e sanno come fronteggiarla, non perché studiata ma per sopravvenienza personale. Matthew Michael Carnahan lo specifica in una intervista:
“Let that resonate in people as these guys are speaking their own language, actors from that part of the world – to me, that was a better way to prove that point, rather than to get a bunch of West End actors who look the part and have them speak in English accents because that’s the stand-in for all foreign languages. That version of this movie was nothing any of us was interested in. Certainly not a version where the Western Navy SEAL is there to teach these guys how to fight – no, these guys know what they’re doing, because they’ve had to learn the hardest way possible. They know how to clear a room because if they don’t do it correctly they die, they’ve seen people die doing it the wrong way. So that’s how they know what they’re doing, because a mistake means death.” (2)
I personaggi sono evidenziati forti, alteri, orgogliosi, spericolati e implacabili nella loro vendetta (“fallo soffrire”).
L'Iraq ha delle problematiche antiche, si trascinano da sempre, drogate durante la dittatura di Sadam Hussein. È la convivenza fra tre gruppi eterogenei: gli sciiti, i sunniti e i curdi. La coesistenza è complicata e, forse, qualcuno di essi ha palesato simpatie e alleanze con i Daesh.
Queste differenze nel battaglione degli swat non esistono, sono sempre uniti ovunque provengono “Cosa hanno che non vanno i curdi?” metafora di come dovrebbe essere l'Iraq per salvarsi dalle guerre compiute da altri nei loro confini.
Gli swat sono esseri umani, stanno soffrendo moltissimo, hanno famiglie smembrate, amici morti. Parecchi sono soli, alcuni hanno moglie e figli prigionieri.
È l'intimità del film. Sono i primi piano ripresi dal basso quando narrano della loro vita. C’è anche la voglia di non soccombere, pertanto affrontano le battaglie con velocità, azione, brillantezza e tanta luce.
Il leitmotiv è la totale devastazione. Il segno di una guerra brutale. L’altruismo appare con dei bambini spuntati fra le macerie. Sono le vittime più deboli, perché ancora non possono difendersi e nemmeno sanno da che parte stare.
Gli swat raccolgono per strada un ragazzino. Ha perso la famiglia. Lo accompagnano fino al check point per uscire dalla città. Lo affidano a una coppia sposata, la donna lo accetta e lo abbraccia, il fanciullo ha dei nuovi genitori. I sentimenti non sono stati annientati insieme alle case.
Trattando di questi due pensieri - la guerra e i residui di umanità - l'autore rivela il conflitto su commissione, in un paese privo di pace da anni. Ci riesce delineando un insieme di eroi, temerari contro i numerosi nemici. Il futuro dell'Iraq è nelle loro mani. Essi desiderano la normalità, il regista lo sottolinea con la fissa della differenziata del comandante. Intorno ci sono le rovine, rottami, sporcizia, di tutti i tipi, alcuni nocivi. Tuttavia, il colonnello vuole sistemare i rifiuti secondo una ecologica differenziazione. È la speranza di ritornare alla consuetudine e scontrarsi solo con le bizzarre seccature quotidiane.