Qi qiu - Balloon Regista: Pema Tseden
Qi qiu - Balloon
Regista: Pema Tseden
Cast: Sonam Wangmo, Jinpa, Yangshik Tso
Provenienza: Cina
Anno 2019
Autore recensione: Roberto Matteucci
Click Here for English Version
“Ma se non figlia a cosa serve?”
I Quattro fratelli armoniosi sono un racconto della mitologia buddista.
Di fronte a un albero, l'elefante, la scimmia, il fagiano e la lepre discutevano chi fosse il più vecchio. I risultati furono accettati da tutti e divennero amici. Impararono a sostenersi a vicenda: l'elefante portava la scimmia, sulle cui spalle stava la lepre e sopra il fagiano.
Essi sono i Quattro fratelli armoniosi. Essi furono una ispirazione per gli abitanti della foresta.
La loro fratellanza, l'aiuto vicendevole, senza gerarchia o individualità erano un modello.
Questa storia del Budda è l’allegoria della concordia fra specie differenti. In questa fattispecie della famiglia: due persone diverse, originari di ambienti eterogenei, si sposano e hanno dei bambini. Oltre genitori e figli, appartengono al nucleo familiare gli anziani. Essi hanno bisogno delle nuove generazioni per sorreggersi.
L'armonia buddista della famiglia si distruggere quando fattori esterni, fintamente modernisti si infiltrano nelle tradizioni millenarie, devastandole.
La storia dei Quattro fratelli armoniosi è citata nel film Qi qiu – Balloon del regista Pema Tseden presentato alla 76° Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
Pema Tseden, lo scorso anno, presentò al Festival il bellissimo Jinpa, situato in un onirico Tibet.
Qi qiu - Balloon è invece una narrazione più realista e politica.
Negli anni ottanta, il controllo delle nascite in vigore in Cina, è reso più stringente perfino nel territorio del Tibet.
La famiglia di Dargye e Drolkar, contadini della campagna tibetana, è composta dal nonno, e da tre figli. Sono sereni, vivono con i principi della natura e della spiritualità.
Purtroppo, i medici e i funzionari del partito hanno inculcato, pure nei villaggi sperduti, la necessità di seguire una severa sorveglianza anticoncezionale. Partorire è un crimine. Pertanto, distribuiscono massivamente preservativi.
Campo lungo, un uomo in moto, l’immagine è sfuocata. La camera si muove lateralmente in entrambi i lati. Arrivano dei bambini, corrono con dei palloncini, quest'ultimi erano la causa della visione non a fuoco. I palloncini non sono quelli banali dei compleanni, sono dei preservativi. Sono loro a sovrapporsi alla natura, impedendoci di osservarla pura e semplice.
Il nonno muore. Un Lama predice a Dargye la sua reincarnazione all'interno della famiglia. Infatti, Drolkar è incita ma non vuole il figlio, vuole abortire. Rompe la tradizione, con un’idea maledettamente moderna, indottrinata dalla dottoressa, asservita al governo centrale: “Che senso ha avere tanti figli oggi.”
Il rifiuto della moglie, sconvolge Dargye perché il nuovo nato sarebbe stata la trasmigrazione del nonno, perciò piange e la supplica. Drolkar è implicabile, senza pietà, senza amore. Rinnega il marito e figli per richiudersi in un monastero con la sorella.
I quattro fratelli armoniosi svaniscono per egoismo.
Gli argomenti del regista sono quelli della cultura tibetana, sia come società, sia come misticismo.
Religioso è il concetto della reincarnazione, il quale si scontra con la miseria e le leggi provenienti da lontano:
“I wanted to explore the relationship between soul and reality. Tibetan people revere the human’s soul as immortal and believe in reincarnation. I want to tell a story about the hu-man predicament where the soul clashes with reality.” (1)
Sullo sfondo c'è il fascino del Tibet, la sua semplicità nonostante la povertà:
“The reality contains both the poverty of Tibetan families and Tibetan women’s rebellion against traditional concepts of childbirth.“ (1)
Ci sono i dubbi sulla consapevolezza del ruolo della donna. La tradizione è sconfitta nel confronto di una inconsapevolezza ateismo:
“Today most Tibetan women live a traditional way of life and play traditional roles. They keep their faith and endure all hardships. It is not difficult to imagine the predicament they face when they start to awaken and get in conflict with the current conventions.” (1)
Riflessioni politiche, sociali, antropologiche ma sicuramente non realisti.
Il contesto dittatoriale del controllo delle nascite cinese, è la motivazione per descrivere un mondo in profonda trasformazione sotto i colpi di un illuminismo spietato, addirittura ai confini dell'impero. L'elefante, la scimmia, il fagiano e la lepre non potranno essere più forti insieme ma si disperderanno, ovviamente, vinti.
Dargye e Drolkar non sono uguali. Hanno pensieri e attaccamenti opposti.
Dargye è genuino, stravagante, forse banale, ma è umano, sente la responsabilità religiosa del suo comportamento ed è capace di amare. Il dolore per la perdita del padre lo rende tristissimo, soffre, si dispera.
Drolkar è l'opposto. La sua mente è persa, è drogata dal dogma della scienza. È ingrata, meschina con la propria famiglia. La conclusione è riprovevole: abbandona tutti.
L’autore crea un collegamento fra un montone – e il suo compito di ingravidare le pecore - e Dargye ”non hai un marito, hai un montone.” La metafora è lineare, la connessione fra un uomo e un animale è importante, ambedue hanno la funzione di armonizzare l'universo unitamente alle donne. Come si fa a confondersi?
Il nonno guarda in televisione un servizio sulla nascita dei figli in provetta. Ordina di spegnerla. È il montone a dare la vita, non la scienza.
E l'animale deve riuscirci con discrezione, con riservatezza. Infatti, quando si accoppia con una pecora, il nonno vieta ai nipotini di guardare.
Il montone è la consuetudine, la leggenda, la vita, la trascendenza. La scienza significa solo l'alterazione della stessa umanità. Un uomo e una donna possono procreare un bambino, il quale potrebbe essere contemporaneamente la reincarnazione di un defunto. Un bambino nato in provetta di chi sarebbe la reincarnazione? Di un cilindro graduato?
La famiglia di Dargye e Drolkar è un microcosmo, una rappresentazione della vita, della morte e del ciclo delle rinascite.
Il film è poetico, metafisico, fortunatamente privo di logica eccetto per il medico e per Drolkar.
L'atmosfera è di ampio respiro ammantata dalla musica tibetana e da immagini surreali come il camminare in testa in giù sul cielo.
La luce è ricercata e studiata in ogni momento.
Dentro la casa, l’illuminazione è insufficiente è scura e l'unica fonte di luminosità è la stufa.
All'aperto i colori sono chiari ma spesso sfuocati.
Ci sono tanti campi lunghi per narrare la bellezza delle montagne, la natura, il paesaggio.
Il montaggio è essenziale, i piani sequenza sono definitivi.
Dargye e il Lama stanno parlando. La camera per rispetto rimane fuori dalla stanza. La scena è delimitata fra due tende e si intravedono Dargye e il figlio, in ginocchio.
Questo frammento è la descrizione della energia della religiosità nelle persone. Per ottenerla occorre avere il cuore aperto, come il regista nel girare questa poesia.
Poi ci sono i palloncini. La Cina ha riempito di condoms le case tibetane.
“Nella prima scena abbiamo iniziato con il palloncino, in realtà un condom, per vedere il mondo. Volevo aprire il tutto attraverso questo punto di vista, perché così anche il pubblico avrebbe visto la storia come un bambino osserva il mondo, tramite un palloncino.” (2)
I ragazzini sono geniali, intelligenti e pratici. Il profilattico è esclusivamente un palloncino volato nel cielo.
Nella scena finale, due palloncini rossi sono lasciati dai bambini, uno si buca ma l'altro vola in alto verso il sole.
Pressbook del film