Charley Thompson - Lean on Pete Regista: Andrew Haigh

Charley Thompson - Lean on Pete

Regista: Andrew Haigh

Cast: Chloë Sevigny, Charlie Plummer, Travis Fimmel, Steve Buscemi

Anno: 2017

Provenienza: UK

Autore Recensione: Roberto Matteucci

“Rubare a una cameriera è proprio da miserabili.”

Il viaggio di formazione lungo le strade degli Stati Uniti sono un classico della letteratura.

Durante il percorso verso la rinascita, le persone sono costrette ad affrontare riti di passaggio, incontri, avventure, peripezie.

Il genere on the road non ha bisogno di una location particolare, però la vasta campagna americana ha sicuramente un grande fascino. I colpi d'occhi persi verso l'infinito, le lunghe strade ben asfaltate ma vuote e oscure, illuminate dai fari solitari delle auto o dagli antropomorfici trucks.

Charley Thompson - Lean on Pete, del regista Andrew Haigh, presentato alla 74° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, ci narra del percorso di Charley, un ragazzo biondo adolescente in compagnia di un cavallo. La loro meta è la normalità.

All'inizio Charley, giovane con il volto triste, appare all'interno di una stanza, è una casa malandata, trascurata. Charley è un bravo ragazzo, più maturo rispetto alla sua età. Compie il gesto quotidiano del gettare la mondezza nel bidone. Poi corre per tenersi in forma, la camera lo riprende con una carrellata di fianco e da dietro.

Il ragazzo vive solo con il padre, sono chiaramente in cattive condizioni economiche e anche sentimentali. Hanno una buona relazione e un affetto reciproco; parlano scherzano in campo medio con una ripresa fra la porta e il muro.

Ignoriamo il lavoro del padre ma sappiamo che è un immaturo e un po' rimbambito. È Charley a svolgere la parte dell'assennato, un ruolo forzato per necessità.

Alla sera tutto appare ancora più triste e malinconico, mangia da solo seduto sul divano, campo totale e una isolata piccola luce come a simboleggiare l’abbandono del ragazzo.

L’emarginazione familiare lo spinge a lavorare con un cinico allevatore di cavalli. Un uomo capace unicamente a ripetere battute banali e soprattutto ad aiutare i suoi cavalli con delle sostanze proibite.

Charley è sempre alla ricerca di amore, cercano di parlare ma la risposta è: “Non ho tempo per insegnarti tutto.”

Perciò Charley si affeziona a Leon on Pete, il bel cavallo che l'allevatore porta alle gare. In un mondo dove gli adulti sono distanti e infruttiferi il solo rapporto possibile è con Lean on Pete.

Lean on Pete è come Charley, deve essere abbandonato, pronto per la macelleria. Charley comprende la similitudine e si assume l'onere di salvarlo, di aiutarlo. Lo ruba e fugge con Lean on Pete in un viaggio profondo e difficile.

Di fronte hanno la pochezza del mondo, la solitudine dei sentimenti, le difficoltà della vita e la cattiveria delle persone: “Non puoi affezionarti a un cavallo.” In realtà può, perché l'unico amore possibile è con Lean on Pete.

Il viaggio continua fino alla conclusione catartica.

Il film assume una connotazione di dramma profondo e inquieto; le disavventure del ragazzo non assumono una caratteristica speranzosa per il futuro. Intorno tutto si diluisce in un dramma. Unisce le situazioni l'autore e c'è lo spiega in una intervista:

“Quello che l’ambiente che ci circonda fa alla nostra anima… è indescrivibile. Il paesaggio in Charley Thompson esprime alla perfezione lo stato emotivo di Charley. Sono sempre stato molto attento all’ambiente che circonda i personaggi dei miei lavori: penso che molto spesso basti un giusto taglio, una giusta posizione per inquadrare al meglio lo stato d’animo. L’entroterra americano in questo ha una parte fondamentale: uno spazio enorme, pieno di città metropolitane, ma collegate da strade che nel giro di un’ora ti possono portare nel deserto più brullo e desolato”. (1)

Il dramma ha una accentuazione grazie al paesaggio provinciale, Charley ha una emozione da condividere perché il suo isolamento equivale a quella della strada notturna, vuote, senza nessuno, solitarie e dove lo spazio è infinito, spopolato.

Charley, il cavallo Leon on Pete e il vuoto si uniscono spiritualmente.

È la metafora argomentata dal regista attraverso un linguaggio formato da una struttura classica, lineare, un montaggio semplice.

L’immensità è ricercata con inquadrature riprese in campo ambiente con sempre qualcosa o qualcuno – un albero, una persona – a creare profondità.

C'è una bella fotografia, con luci fioche e uniche mentre il rumore degli zoccoli dei cavalli aiuta a capire Lean on Pete.

Ma a essere disperato non è solo Charley. Ha incontrato tante tipologie di persone, altre classificazione di famiglie. Quelli che hanno combattuto in guerra e vivono solitari nei ricordi difficili da dimenticare. Le famiglie di alcolizzati talmente inconsulti da rubare i pochi soldi del ragazzo, pur conoscendo le sue tribolazioni.

Nella fuga, Charley, ha chiesto aiuto nel cavallo, ma i viaggi sono difficili sia per gli umani, sia per gli animali, altrettanto vittime di proprietari mascalzoni e di adolescenti depressi.

“In Charley ho visto essenzialmente un ragazzino che cerca in tutti i modi di essere… normale (si potrebbe dire: di diventare un bambino vero!). Non vuole altro che tutte quelle cose che un ragazzino della sua età dovrebbe avere: stabilità, amici, famiglia, una casa, o anche solo una partita a football con la squadra del liceo. E invece è un ragazzo isolato, lontano da tutti, che disperatamente lotta per trovare qualcuno non soltanto che gli voglia bene, ma a cui lui possa volere bene. Take me home, country roads!" (2)

Tutti i viaggiatori sognano in realtà di tornare a casa e di essere una persona normale per spargersi nell'infinito di una vita banale.


(1) http://www.artslife.com/2017/09/03/venezia-74-lean-on-pete-di-andrew-haigh-intervista-al-regista-e-al-cast/

(2) http://www.artslife.com/2017/09/03/venezia-74-lean-on-pete-di-andrew-haigh-intervista-al-regista-e-al-cast/

Roberto Matteucci

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“There’d he even less chance in a next life,” she smiled.
“In the old days, people woke up at dawn to cook food to give to monks. That’s why they had good meals to eat. But people these days just buy ready-to-eat food in plastic bags for the monks. As the result, we may have to eat meals from plastic bags for the next several lives.”

Letter from a Blind Old Man, Prabhassorn Sevikul (Nilubol Publishing House, 2009)

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