Il rito Regista: Mikael Håfström con Antony Hopkins
Il rito - The Rite
Anno: 2011
Regista: Mikael Håfström Autore
Recensione: Roberto Matteucci
Provenienza: USA
“Allora tutto qui?”
L’esorcista della diocesi di Roma, Gabriele Amorth racconta di aver eseguito più di settanta mila esorcismi, ma solo poco più di cento erano vere possessioni demoniache.
Il dubbio sulla possessione è sempre presente, soprattutto fra i religiosi stessi, i quali diffidano sempre. Su questo tema, su un religioso sospettoso, ci parla il regista Mikael Håfström nel film Il rito.
Si parte da una città americana deserta, all’interno di un obitorio. Michael Kovak vive solo con il padre e di mestiere sono becchini. Sono una famiglia devota e religiosa. Il padre ha una intensa e profonda devozione.
Michael cresce invece con tanti dubbi. “Nella mia famiglia o fai il beccamorto o fai il prete.” La madre è morta quando lui era solo un bambino. L’avvenimento, con la cura morbosa del padre al corpo della madre, segnerà la sua crescita. Per fuggire Michael sceglierà il seminario. Bravissimo negli studi, non manifesta una particolare attenzione alla fede. O almeno è ciò che lui crede. Chi gli sta vicino pensa invece l’esatto contrario, perciò è invitato a Roma per partecipare ad un corso di esorcismo. Qui incontra Padre Lucas Trevant, uno dei più valenti esorcisti, lui sembra conoscere il diavolo.
Il film si apre qui. L’incontro fra i due deflagrerà l’inverosimile. Padre Lucas è tutto fede. Conosce bene il suo mestiere di esorcista, lo compie con furbizia e astuzia proprio per eliminare tutti i casi dubbiosi. L’approccio di Michael è di totale diffidenza, cerca di giudicare gli avvenimenti secondo una dottrina razionalista. Ma fede e razionale nulla hanno in comune.
Antony Hopkins, Padre Lucas, è il traino del film. La sua partecipazione è nello stesso tempo, ironica e sarcastica, ma anche devozionale e partecipata. A volte si comporta come un mago imbroglione e un po’ ciarlatano. Ha una gestione molto sportiva dell’atto dell’esorcismo, come quando gli squilla il cellulare e lo sospende per rispondere. Eppure, sotto l’apparenza disincantata c’è una profonda paura per il diavolo. Padre Lucas ha una sola certezza: solo la fede gli consentirà di tenerlo lontano. Michael è diverso, ha convissuto con la morte a casa sua. Aiutava il padre nella gestione dei cadaveri. Quindi è refrattario alla paura del cadavere e della morte. Per questo è apparentemente senza fede e pieno di dubbi sugli impossessati e sull’esorcismo. Padre Lucas e Michael si confronteranno in modo vivace: “Attento Michael scegliere di non credere nel diavolo non ti proteggerà da lui.”
Dopo la partenza targata USA, la storia si sposta a Roma. Il regista ci degna di lunghe carrellate per i monumenti della capitale per poi entrare nel vivo. Il regista sembra divertirsi, e non pare per nulla spaventato. Il taglio è sarcastico in molte scene, e soprattutto ci evita tanti luoghi comuni dell’esorcismo, come la bava verde e via dicendo. Preferisce ai tanti simbolismi macabri, la metodologia bizzarra e pratica di Padre Lucas nella sua attività. Gli piace riempire il film di segnali simbolici. La casa di Padre Lucas è circondata da un fascino di incombente mistero. Vive con tanti gatti spaventati e sfuggenti. Il gatto nel cinquecento era considerato l’incarnazione del diavolo, e fuggiva spaventato di fronte ad una apparizione.
I gatti di Padre Lucas sono belli e vitali, ma fuggono terrorizzati come il soriano dell’Annunciazione di Lorenzo Lotto. Aggiunge crocefissi dondolanti, ma specialmente l’immobilità delle persone durante l’accadimento di fatti drammatici. Un evento violento e sconvolgente accade e sono tutti fermi, rappresentando l’impossibilità dell’uomo a comprendere, ad intervenire di fronte a volontà supreme. Nella prima parte del film c’è un incidente, una ragazza è investita da una macchina, solo Michael si muove, tutti gli altri sono fermi, immobili, statici. E’ manifestazione dell’incomprensibile, perché l’avvenimento è opera divina e nessuna attività umana può inficiarla. Solo quando la ragazza muore nelle braccia di Michael la scena riprende vita e ricominciano a muoversi.
E’ una scelta del regista. Come quella di descrivere Roma, prima rumorosa e caotica e alla fine vuota e silenziosa. L’altra caratteristica è il flash back infantile. La riscoperta dell’ardore religioso di Michael nasce proprio durante uno di questi flash back asettici. Questi elementi sconfiggeranno lo scetticismo più che il diavolo. Sarà la fede ad uscire vincitrice: Michal continuerà il suo servizio ecclesiastico. “Allora tutto qui?” Si è tutto molto semplice e banale.