Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato - The Hobbit: An Unexpected Journey Regista: Peter Jackson

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Lo Hobbit: Un viaggio inaspettato - The Hobbit: An Unexpected Journey

Regista: Peter Jackson

Provenienza: USA; Nuova Zelanda

Anno: 2012

Autore Recensione: Roberto Matteucci

“Anche io avrei dubitato di me.”

Scuotere la nostra mente, per creare un mondo fantastico alternativo alla nostra vita quotidiana, è una necessità costante. Chi riesce a collocare l’intelletto in una terra di mezzo, mentre con il corpo sta lavorando mediocremente, acquisisce dei meriti e dei vantaggi per il proprio fisico e per la propria salute mentale. Alienati dalla crisi, dalla paura, dal pessimismo e dallo sconforto, possiamo riprenderci le nostre rivincite solo in una terra immaginaria popolata da giganti, nani, hobbit, maghi e da tutto ciò che il nostro senno può produrre.

Questi stregoni, questi terribili e spaventosi guerrieri sono nulla in confronto dello spread, il debito, il deficit, la spending review, l’IMI.

Ad aiutarci arriva una nuova avventura, ancora costruita come una trilogia, di Peter Jackson: il film Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato è un vigoroso e corroborante tonificante per il nostro spirito. Dopo le vicissitudini incerte e vaghe di Amabili resti, il regista nuovo zelandese preferisce ritornare alla solida certezza del Signore degli anelli. Lo aiuta nello scrivere la sceneggiatura l’autore spagnolo Guillermo del Toro, il quale contribuisce ad acquisire una certezza nell’atavica paura dell’introspettiva umana.

La storia, sempre tratta da un giga libro di J.R.R. Tolkien, è un mega flash back rispetto alla precedente trilogia di Jackson, anche perché il libro The Hobbit è del 1937 mentre Il Signore degli Anelli è del 1955.

Le battaglie, gli scontri, le disavventure, persino le bisbocce, i divertimenti, gli affetti fra i personaggi, costituiscono il filo conduttore. Il tutto disegnato con impagabile precisione dal regista. L’immagine è piena; i dettagli, le rifiniture, le piccolezze sono esasperate, piene di vita propria. Il grande schermo del cinema ottiene una vittoria nei confronti di un godimento casalingo, perché ci consente di conoscere e comprendere ogni minuzia artistica.

Ogni inquadratura è un ricco dipinto, colorato, movimentato. Ogni scena è raccontata con superba passione, e la nostra fantasia galoppa verso mondi lontani. I personaggi sono bizzarri irreali deformati bellissimi e pieni di vitalità e coraggio.

Poiché il mondo appartiene ai piccoli nani, il resto del paesaggio deve apparire immenso smisurato infinito. E quindi il film è un seguirsi di campi lunghi, totali, panoramiche aeree, tutto deve apparire più grande degli eccentrici personaggi.

Ovviamente l’utilizzo del computer è fondamentale per il risultato finale. Soprattutto nelle battaglie e nelle lotte i personaggi sono sballottati deformati mutati deturpati. Esempio notevole è l’incontro con la squadriglia dei tredici nani capitanata dal mago Gandalf. La pattuglia di eroi si confronta nella città sotterranea con i Goblin, guidati da un deforme e pachidermico Grande Goblin. Prima c’è mostrata questa città celata, piena di personaggi stravaganti sistemati come in una fotografia di una miniera di Salgado. Poi con una ricchezza di particolari esasperante inizia la battaglia. La lotta è in realtà un videogioco, un avanzare rapido del personaggio con tante apparizioni improvvise e rapidi cambiamenti di ambientazione.

Sbuca anche l’introspezione personale nel fatidico incontro fra Bilbo Baggins e il già leggendario Gollum: l’anello compare in tutto il suo simbolismo. Lo scontro avviene come dei novelli Edipo a colpi d’indovinelli.

Il risultato è sicuramente notevole per divertimento e per visione scenica. Il film è sceneggiato con devozione e rispetto, punta sulla spettacolarità, su dialoghi vivaci e brillanti con doppi significati educativi:

“Il mondo non sta nei tuoi libri e nelle tue mappe. È lì fuori.”

“La casa è dietro, il mondo è davanti.”

“La feccia nanica.”

“Non mi va il cibo verde dei vegetariani elfi.”

“Il vero potere è capire quando risparmiare la vita umana.” E così di seguito.

Si cerca sempre, come in ogni degno fantasy, collegamenti con la realtà e si compie un viaggio interiore dentro ogni spettatore. Il desiderio di ritornare nell’antica casa “la montagna solitaria” è un sogno comune. Il costruirsi una casa, una famiglia, un lungo cui appartenere è, eternamente l’aspirazione degli uomini. Lo hobbit Bilbo Baggins ha una bella casetta, e spera continuamente di ritornarci, ma è pronto a sfidare pericoli mai visti per aiutare: “Voi non la avete una casa.”

“Credo proprio che il peggio sia passato” è la conclusione del film, degno sproloquio per due nuove puntate in arrivo.

Roberto Matteucci

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“There’d he even less chance in a next life,” she smiled.
“In the old days, people woke up at dawn to cook food to give to monks. That’s why they had good meals to eat. But people these days just buy ready-to-eat food in plastic bags for the monks. As the result, we may have to eat meals from plastic bags for the next several lives.”

Letter from a Blind Old Man, Prabhassorn Sevikul (Nilubol Publishing House, 2009)

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