Millennium Uomini che odiano le donne - The Girl with the Dragon Tattoo Regista: David Fincher

Millennium Uomini che odiano le donne - The Girl with the Dragon Tattoo

Regista: David Fincher

Cast: Daniel Craig, Rooney Mara, Christopher Plummer Anno: 2011

Provenienza: USA; Svezia; UK; Germania;

Autore Recensione: Roberto Matteucci

“Cosa abbiamo da nascondere?” “Dopo 120 anni nel mondo degli affari probabilmente molto.”

Hollywood ha la presunzione di poter fare tutto meglio di tutti, e spesso è vero. A causa della crisi d’idee e di soggetti, s’impossessano di un prodotto estero di successo e preparano il loro rifacimento, cambiando il gusto e provocando una mutazione genetica del risultato.

Perciò se per noi Uomini che odiano le donne del regista Niels Arden Oplev è un prodotto familiare, per gli americani è una novità mai vista. Per la trilogia di Stieg Larsson si sono impegnati chiamando addirittura David Fincher a dirigere Millennium Uomini che odiano le donne - The Girl with the Dragon Tattoo.

David Fincher proveniva dal trionfo di The Social Network, un film poderoso, riuscito grazie alla fisicità, alla scontrosità e asocialità del giovane protagonista. Ugualmente in Millennium l’autore si trova bene di fronte all’irritabilità e l’antipatia della famiglia Vanger; descrivendo a suo agio il risentimento, le finzioni, le ripugnanze dei parenti:

“La più detestabile collezione d’individui: la mia famiglia.”

La pellicola inizia con la bellissima musica della rivisitazione di Immigrant Song dei Led Zeppelin dei musicisti Trent Reznor e Atticus Ross, eseguita da Karen O; una sonorità adatta alla storia.

Per il regista il personaggio principale deve essere quello di Lisbeth Salander. La giovane attrice Rooney Mara insegue la sua precedente Lisbeth, Noomi Rapace.

Fincher ha una sua visione fisica e corporale. La sua Lisbeth è un corpo anoressico, bianco, diafano, in contrasto, con il nero del suo emo abbigliamento e del trucco. Lo sguardo è sempre sfuggente scappa dalla cinepresa per dirigerlo fuori orbita. La sua postura è di un’emotiva fragile. A volte appare come una nevrotica con problemi – “Io sono pazza” – dall’altra appare più come una bambina capricciosa bisognosa di affetto e di carezze: “rimetti la tua mano sotto la mia camicetta.”

La Rooney emerge con irrequietezza e con un’inquietudine fisica. Il corpo ossuto della ragazza nella vasca dopo lo stupro è significativo. Questa fragilità corporea è contraddetta dalla sua velocità; come nello scippo della metropolitana oppure come le sue abili corse in moto. La Rooney ha un’insofferenza positiva: “posso ucciderlo” è la sua dichiarazione di amore.

L’aspirazione è soddisfare violentemente il senso di giustizia, limitata dal desiderio di non offendere la persona verso cui prova sentimento. Al contrario la Rapace ha una maggiore sessualità e un carattere spigoloso più sociale.

Per nascondere la mancanza di una Svezia reale, Fincher rappresenta Stoccolma come una cartolina: riprese dall’alto con i colori del tramonto e dell’alba. Invece, l’isola contiene un candore abbagliante, la ammanta tutta di bianco. La neve, il cielo e case stupende con una dominazione di un bianco latteo.

Soltanto i vecchi della famiglia preferiscono l’ambiente scuro.

La ripugnante famiglia si muove all’unisono. I personaggi arrivano, predicano sull’abominio e scompaiono. Una galleria di sgradevoli esseri, per l’autore è l’odiosa borghesia svedese nascosta nel paradiso naturale dell’isola. Esempio è il nazista che mostra orgoglioso le foto del suo passato filo-hitleriano e si proclama:

“Sono il più onesto di tutti qui.”

“In famiglia?”

“In Svezia.”

Il paragone è inevitabile. Se l’omologo film del danese Niels Arden Oplev è costruito con tanta passione ma un po’ acerbo, Millennium di Fincher al contrario appare in alcuni momenti senza un’anima. Tanta qualità visiva, un occhio panoramico ma più esercizio che sentimento.

Roberto Matteucci

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“There’d he even less chance in a next life,” she smiled.
“In the old days, people woke up at dawn to cook food to give to monks. That’s why they had good meals to eat. But people these days just buy ready-to-eat food in plastic bags for the monks. As the result, we may have to eat meals from plastic bags for the next several lives.”

Letter from a Blind Old Man, Prabhassorn Sevikul (Nilubol Publishing House, 2009)

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