Listen – Ismaii Regista: Philippe Aractingi

Listen – Ismaii

Anno: 2016

Regista: Philippe Aractingi

Autore Recensione: Roberto Matteucci

Provenienza: Libano

“The ears are seduced before the eyes.”

Il Libano è un paese complesso, difficile, frammentato, competitivo.

Cristiani e musulmani si dividono la quasi totalità della popolazione, con una lieve maggioranza d’islamici. Gli stessi gruppi sono separati. Gli islamici sono metà sciiti (Hezbollah) e sunniti. I cristiani sono metà maroniti cattolici e l’altra di varie religioni cristiani. 1

Questa poliedrica suddivisione potrebbe essere un elemento di crescita. Purtroppo, spesso ha alimentato delle provocazioni, trasformate in diverse sanguinose guerre in tutto il paese, la pacificazione e il tentativo di unirle sono complicati.

Il Libano è l’oggetto centrale del film Listen – Ismaii del regista Philippe Aractingi presentato al 13° Dubai International Film Festival.

La metafora trovata dall’autore è intelligente e autoriale: il suono e il silenzio. Lo spiega il regista:

“I’ve always been intrigued by the fact nobody listens to anybody. We speak for ourselves, but we don’t really listen. We need empathy to listen — not just to hear but to feel what the other person is saying with your own emotions.

In the Middle East, and in Lebanon, we shout a lot. There are a lot of sounds everywhere — a lot of car horns. I wonder why people shout a lot, why people can’t talk normally? We also have a lot of divisions, religions. Each one has its own mosque or church, and each one is shouting his own way of thinking. So I thought making a film about sound was a very interesting subject. But it’s not just a theme that makes a film — it’s a story.” 2

In Libano si urla tanto, quando qualcuno parla, nessuno ascolta. È facile parlare, anzi urlare ma bisognerebbe avere l’empatia di ascoltare. Il risultato è un grande chiasso, tanti rumori, e le tante religioni esprimono le proprie opinioni eternamente strepitando.

Da questo concetto nasce l’idea, la metafora del film.

Joud è un ragazzo con una forte e particolare sensibilità per ogni vibrazione. È il suo mestiere, tecnico del suono per il cinema.

Abita su un tetto di un palazzo, è un solitario, ha un’unica grande passione: raccogliere le tante – anche impercettibili – voci della vita. Con degli strumenti raffinati gira per le strade chiassose o per la campagna apparentemente silenziosa.

Durante le riprese di un film Joud s’innamora di Rana, una bellissima modella.

È un sentimento ricambiato nonostante le differenze sproporzionate.

Rana appartiene a una ricca famiglia, è brillante, ha tanti amici, gira per locali.

Joud vive per il lavoro, è un introverso – quando la ragazza gli chiede di presentargli gli amici gli mostra il grande microfono e gli altri strumenti per raccogliere i segnali.

Sono il simbolismo delle diversità del Libano.

“What a coincidence” ed è una coincidenza atroce per un esperto del suono ascoltare al telefono il momento in cui la ragazza è investita da un’auto.

Rana entra in coma e qui inizia il paziente, amorevole tentativo di Joud di risvegliarla: “I need of you, dont leave me.”

Convinto che, ancorché sia in coma, possa ascoltare, gli invia i suoi nastri registrati. Il tramite è Marwa – la sorella - perché i genitori non vogliono vederlo e neppure permettergli di entrare in casa, credendolo il motivo dell’incidente.

Inizia un montaggio fra il presente e i flash back dei loro incontri.

Rana era allegra, espansiva, spumeggiante, ed è triste osservarla immobile, stessa sul letto in coma.

La vita sta passando e pure i sentimenti – considerati indistruttibili ed eterni – cominciano a mostrare le prime crepe, perciò il regista riprende l’ultimo flash back come un’immagine sfuocata.

Il silenzio non esiste, quando ci appare una totale assenza di rumori, c’è sempre qualcosa, qualcuno, qualche elemento che sta provocando un effetto acustico; solo con gli strumenti adeguati o le persone con particolare ricettività possono percepirli. Anche il coma di Rana appare come immobile e ovattato ma in realtà non è così.

Lo stesso succede in Libano, ci sono tanti suoni apparentemente inesistenti ma in realtà c’è un movimento inavvertibile.

“Freedom is not escaping from your roots.” È ciò che dice il ragazzo alla sorella di Rana perché vuole sposare un inglese. Perché nonostante il trambusto, il Libano mantiene il fascino e la speranza di essere un paese pacifico e ricco come fu sopranominato prima della guerra civile: La Svizzera del Medio Oriente.

Infatti, i giovani si divertono, vanno a ballare, amano la musica, bevono si comportano come i ragazzi di tutto il mondo. Rana frequenta quell’ambiente e la sua volontà ribelle si manifesta con l’avere un ragazzo alternativo: “Life doesnt wait.”

La parte più esigente è realizzare un collegamento fra il suono e l’immagine.

L’autore ci prova creando un effetto con tanto colore bianco o nero. Come nera è immaginata l’acqua della piscina.

Il regista riesce a tenere tesa la storia con momenti intensi, soprattutto nei flash back. Rana gli chiede che ha sentito dalle onde del mare, Joud risponde: “a secret.”

Quando Rana sale nella macchina popolare di Joud, la ragazza accende la radio fortuitamente arriva una preghiera musulmana. Si sintonizza su un altro canale – sempre incidentalmente – su canto cristiano. Questo è il Libano.

1 Religions: Muslim 54% (27% Sunni, 27% Shia), Christian 40.5% (includes 21% Maronite Catholic, 8% Greek Orthodox, 5% Greek Catholic, 6.5% other Christian), Druze 5.6%, very small numbers of Jews, Baha'is, Buddhists, Hindus, and Mormons. Fonte Central Intelligence Agency www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/le.html

2 http://m.screendaily.com/5112185.article

Roberto Matteucci

https://www.facebook.com/roberto.matteucci.7

http://linkedin.com/in/roberto-matteucci-250a1560

“There’d he even less chance in a next life,” she smiled.
“In the old days, people woke up at dawn to cook food to give to monks. That’s why they had good meals to eat. But people these days just buy ready-to-eat food in plastic bags for the monks. As the result, we may have to eat meals from plastic bags for the next several lives.”

Letter from a Blind Old Man, Prabhassorn Sevikul (Nilubol Publishing House, 2009)

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