Still Life Regista: Uberto Pasolini Cast: Eddie Marsan

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Still Life

Regista: Uberto Pasolini

Cast: Eddie Marsan

Anno: 2013

Provenienza: UK, Italia

Autore Recensione: Roberto Matteucci

“Ti fa dormire senza sognare.”

Uberto Pasolini è italiano di Roma, ma lavora con grande soddisfazione in Inghilterra. La sua attività principale è fare produttore e con il divertente Full Monty - Squattrinati organizzati, raggiunse il successo internazionale.

Come regista si presentò a Venezia, nel 2008, con Machan - La vera storia di una falsa squadra, un modo diverso di vedere l’immigrazione.

Il suo secondo film, l’emozionante e toccante, Still Life è stato presentato a Venezia 2013.

Still Life è la natura morta, sono quelle foto o dipinti di oggetti immobili, fermi, ripresi in un attimo in uno sfondo imparziale.

Di morte parla la storia. John May lavora al comune. Da solo si occupa di un impiego marginale per la collettività ma importante da un punto di vista umano. Sulla sua scrivania arrivano le pratiche dei defunti, di cui nessuno – famiglia amici colleghi – ha reclamato il corpo. Egli deve ricostruire la vita dello scomparso, avvicinare le eventuali persone e consegnargli la salma. È un compito difficile, proibitivo, perché, se questi individui muoiono isolati, senza nessuno vicino, è perché hanno reciso ogni rapporto con il proprio passato. In molti casi non riesce a ritrovare nessuno, o se ci riesce, i parenti si rifiutano di collaborare: rintraccia un figlio e la prima reazione non è di dispiacere ma un’allarmata domanda se deve pagare le spese funerarie.

Se non trova nessuno o se si disinteressano, John, con una devozione professionale provvede alle esequie.

Il film inizia con un campo lungo, una chiesa, un cimitero, delle lampade, un coro, un dettaglio sull’interno, e poi un campo totale: nessuno è presente.

Passiamo in una chiesa ortodossa. Stessa situazione, un funerale, un prete celebrante e all’interno nessuno.

Chiesa presbiteriana e stessa situazione.

O meglio all’interno delle chiese, oltre al prete c’è solo John, il quale accompagna il feretro. Ma non sono funerali da due soldi. No, John organizza tutto in maniera perfetta. Dopo aver frugato e analizzato la casa, gli oggetti, sceglie le musiche in base alle presunte preferenze del morto e per ognuno scrive un discorso – con belle parole – ma il cui uditore sarà sempre e solo lui.

Di John non sappiamo nulla. È un introverso, vive solo, lavora da solo in un buco di ufficio, non ha famiglia, non ha amici, non ha una donna. È ossessionato, maniaco, il regista lo mostra quando sbuccia esattamente la mela, quando apparecchia la tavola regolarmente, anche se mangia soltanto lui, quando cammina per linee rette in strada. Non saluta nessuno, neppure i vicini. Ha un unico passatempo: degli album di fotografie delle persone morte senza nessuno al funerale. In un mondo dove la spending review è una coercizione, il lavoro di John è superfluo e perciò senza nessun rispetto è licenziato in tronco.

Ma prima deve risolvere un ultimo caso, quello di Billy, un vicino di casa mai incontrato prima, morto da poco. È una sfida difficile.

La storia è di una tenerezza unica, una delicata malinconia, una soffice tristezza la quale ci agguanta dall’inizio fino al catartico finale. Noi, esseri umani, siamo delicati, fragili, abbiamo una scadenza, cosa accadrà dopo la nostra inevitabile morte? Pasolini ha un rispetto per la morte e quindi per la vita. Conosce bene i Sepolcri di Ugo Foscolo e la necessità di un ricordo da non cancellare.

L’autore caratterizza il personaggio di John May con una precisione chirurga, perché ogni particolare è mostrato con precisione. In tanti campi medi Eddie Marsan riempie lo spazio fisico con professionalità. Un film senza effetti speciali, senza grafica computer, il regista dirige con un andamento crescente, intenso, sensibile. Ci troviamo di fronte alla morte in maniera aperta, senza vie di fuga, e sulla base del nostro trapasso possiamo trarre un risultato sulla nostra vita: “I morti sono morti, i funerali sono per i vivi.”

Il regista ci aggiunge una sottile vena ironica, come la scena nella quale John piscia nella macchina del suo antipatico capo.

Ha anche un bel taglio d’immagine, come il mare e le tante cabine colorate nel lato inferiore. Ovvero le foto viste unitamente a una musica struggente. Ovvero la poltrona con gamba monca sostenuta da dei libri.

Roberto Matteucci

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“There’d he even less chance in a next life,” she smiled.
“In the old days, people woke up at dawn to cook food to give to monks. That’s why they had good meals to eat. But people these days just buy ready-to-eat food in plastic bags for the monks. As the result, we may have to eat meals from plastic bags for the next several lives.”

Letter from a Blind Old Man, Prabhassorn Sevikul (Nilubol Publishing House, 2009)

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