O Cinema, Manoel de Oliveira e Eu Regista: João Botelho
O Cinema, Manoel de Oliveira e Eu
Regista: João Botelho
Cast: Mariana Dias, António Durães, Ângela Marques, Maria João Pinho, Leonor Silveira, Marcello Urgeghe, Miguel Nunes
Anno: 2016
Provenienza: Portogallo
Autore Recensione: Roberto Matteucci
“I film sono storie. Il cinema il modo di raccontarle.”
Manoel Candido Pinto de Oliveira nasce l'11 dicembre del 1908 a Oporto in Portogallo.
Muore, sempre a Oporto, il 2 aprile del 2015 a 106 anni. E muore mentre stata svolgendo, nonostante l'età, la più amata delle tante mansioni svolte nella sua lunga vita. De Oliveira era sicuramente in uomo di un altra epoca, forse di tante altre lontane epoche.
Così lo descrive in una intervista il regista e allievo João Botelho:
“Vanitoso, elegante, di buone maniere e buoni principi. Questo era de Oliveira nella sua vita privata. Di buona famiglia, autista di macchine sportive e pilota d'aereo, atleta di salto con l’asta che ci impiegava mezz’ora a prepararsi per il balzo, curato nella pettinatura e nel vestire, seducente e dandy.” (1)
Aggiungiamoci gli studi dai gesuiti, una azienda agricola da dirigere e possiamo inquadrare il personaggio.
Ma la sua bramosia era il cinema. Un'amore contrastato perché inizia con una partenza lenta fino ad arrivare alla sua prodiga e veloce iperattività quando aveva oltre sessant'anni.
Il suo primo film è del 1931, il secondo del 1942, poi c'è un altro salto fino ad arrivare al 1956 con il terzo. È nel 1972 l'anno in cui si trasforma in uno stacanovista della pellicola producendo quasi un film all'anno. Inizia a sfogare tanta repressa inattività.
Non si sofferma sulla vita de Oliveira, la sua discendenza, il bellissimo film sulla sua opera O Cinema, Manoel de Oliveira e Eu del regista João Botelho, allievo del maestro presentato alla 53a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.
Botelho ci racconta il personaggio in uno speciale documentario. Nella prima parte con una esposizione attenta ci racconta i suoi film, gli stili, gli aneddoti. Ma è nella seconda parte che l'amore per il maestro si mostra nel suo totale.
Si parte da una foto in bianco e nero del 1980. Manoel de Oliveira stava girando il film Conversa Acabada. Il regista era João Botelho alla sua prima direzione. De Olivera interpretava un prete. Nella fotografia c'è un giovane Botelho con Manoel in abito talare. Un collegamento con un'epoca passata, rappresentata con nostalgia da Botelho.
Dalla foto si ritorna indietro nel tempo, prima della seconda guerra mondiale, quando Manoel inizia la sua attività di regista. Tecniche, consigli, suggerimenti del maestro sono utili, seguiti come in una lezione di cinema e accompagnate da scene di suoi film; “Riprendente quello in cui credete, cercate sempre la verità.”
Botelho racconta di un Oliveira conservatore come uomo, come politico, come stile mentre: “l'unico ambito in cui non era conservatore ma era molto progressista era il cinema.” (2)
Era un rivoluzionario pure nel coraggio delle tematiche, a partire dall'amore per il Portogallo e in particolare per città nella quale nacque e mori Oporto. L'osserviamo nel documentario attraverso la casa in cui nacque e dall'esistenza di un fantasma.
Ovvero il fiume il porto e tanti ragazzini forse cresciuti troppo in fretta.
Ovvero gli effetti della passione di tanti connazionali, come la caccia: “dalla crudeltà degli animali alla crudeltà degli uomini”.
Gli aneddoti divertenti hanno la funzione di alimentare il mito del personaggio, perché un uomo attivo e popolare di 106 anni ha certamente dei segreti da scoprire.
Allora impariamo del bicchiere di whisky bevuto tutto le sere perché dilata le arterie e allunga la vita.
Ovvero, apprendiamo che, come una casalinga affaccendata a stirare quintali i vestiti della famiglia a malapena sopportata, guardava le telenovela brasiliane perché lo rilassavano, lo aiutavano a non pensare e a dimenticare la vita intorno.
Whisky e telenovela brasiliane, certo un bel binomio spassoso per un maestro di cinema.
La seconda parte è un film nel film.
Botelho compie un inchino al maestro e si diletta a girare un soggetto di Oliveria, accantonato perché non fece in tempo di realizzarlo: si tratta di Prostituição ou a Mulher que passa:
“Uno dei suoi progetti era A Prostituição, una storia che mi aveva raccontato. La trovai interessante perché era una storia molto “oliveiriana”, un racconto originale dove le idee del peccato, della punizione, della perversione e della morte andavano di pari passo. Ma la narrazione era riassunta in una mezza dozzina di frasi, non c’erano dialoghi, era quasi un aneddoto. Ho sviluppato il plot e ho pensato – perché ancora oggi credo che sia la finzione che il documentario siano cinema – di aver bisogno di una sorprendente rottura nel mio film. L’opzione del bianco e nero e l’idea del muto hanno a che fare con il desiderio di tornare alle origini, all’innocenza del cinema primitivo.” (3)
La riconoscenza si realizza nel campo preferito dal maestro, la regia di un film desiderato dal protagonista e girato come avrebbe voluto. Il frammento cinematografico è totalmente avulso dalla prima parte ma nello stesso tempo collegato e affine. Entriamo in un mondo antico, ci rilassiamo “il cinema ha troppe immagini, troppa velocità” (4) si lamentava – giustamente - de Oliveira. Perciò la storia è in bianco e nero, muto e tanta lentezza, potremmo immaginare qualcosa di più distante dal cinema attuale?
Anche il tema riempie l'atmosfera in modo leggero e remoto. È la storia di una ragazza con delle mani deformate. Porta sempre i guanti per nascondere la bruttura; in casa è maltratta dal padre e costretta a fuggire, raggiungendo la sorella maggiore impiegata in un bordello di lusso. Essendo molto bella è arruolata nella truppa del postribolo, raggiungendo un grande successo di uomini. Compie il suo lavoro con grande diligenza indossando continuamente dei guanti bianchi perfino nell’intimità.
Le disavventure della ragazza continueranno fino a un catartico finale. La colpa, il peccato, la punizione scenderà come un fulmine divino sugli trasgressori immorali: “Chiunque commette un peccato alla fine muore.” (5)
Un melodramma elegante, semplice, puro, senza una sbavatura, un esempio di gratitudine compiuta con grande trasporto.
Il maestro de Oliveira avrebbe apprezzato l’omaggio, forse solo un attimo piccato perché non aveva potuto concluderlo personalmente, ma senza dubbio grato per tanta devozione. Perché l’uomo de Oliveira amava il suo pubblico, non saltava una première, una presentazione di un proprio film a un festival in attesa di un applauso.
(1) http://quinlan.it/2016/08/30/intervista-joao-botelho/
(2) https://www.youtube.com/watch?v=vOjxr6yMJCw&t=179s
(3) http://quinlan.it/2016/08/30/intervista-joao-botelho/