Once Upon Time in Calcutta
Once Upon Time in Calcutta
Regista: Aditya Vikram Sengupta
Cast: Sreelekha Mitra, Satrajit Sarkar, Bratya Basu, Anirban Chakrabarti, Arindam Ghosh, Shayak Roy, Rikita Nandini Shimu
Provenienza: India, Francia, Norvegia
Anno 2021
Autore recensione: Roberto Matteucci
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“Ormai ci sono solo fantasmi qui.”
Il poeta bengalese Rabindranath Tagore, premio Nobel per la letteratura nel 1913, nacque a Calcutta nel 1861 e ci morì nel 1941.
In My Reminiscences così racconta la sua città:
“So in the streets of Calcutta I sometimes imagine myself a foreigner, and only then do I discover how much is to be seen, which is lost so long as its full value in attention is not paid. It is the hunger to really see which drives people to travel to strange places.” (1)
Tagore si immagina come un forestiero mentre visita Calcutta. C'è tanto da vedere in una metropoli immensa con quasi 15 milioni di abitanti.
Quale opinione avrebbe avuto Tagore della Calcutta dei nostri giorni?
Quali moderni strani posti avrebbe trovato se oggi fosse tornato forestiero?
Quale delusione avrebbe avuto nel sistematico smantellamento della cultura della città?
Quale sofferenza avrebbe avuto dalla miseria ancora dilagante nonostante il progresso?
Quale disperazione avrebbe avuto nel guardare le numerose truffe in televisione?
Quale pietà avrebbe avuto per gli incauti egoisti pronti ad affidare tutti i risparmi a dei truffatori?
Quali pensieri avrebbe avuto della statua del dinosauro in mezzo alla strada?
Quali emozioni avrebbe avuto nella sua distruzione per innalzare un cavalcavia?
Quale rabbia avrebbe avuto nei confronti della crescente speculazione edilizia?
Quale furia avrebbe avuto di fronte ai crolli di molti palazzi mal costruiti?
Cosa penserebbe Rabindranath Tagore degli aumenti folli dei prezzi delle nuove case?
Cosa penserebbe della ricerca spasmodica di alloggi?
Cosa penserebbe se vedesse la quotazione delle abitazioni raggiungere i 1.853 euro al metro quadro?
Cosa penserebbe del prezzo delle case paragonate con il salario medio mensile di 344 euro? (2)
Cosa penserebbe del tasso usuraio del 12% di un mutuo? (3)
Ela - la bellissima protagonista del film Once Upon a Time in Calcutta del regista Adityavikram Sengupta, presentato alla 78° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – conosce bene il valore degli appartamenti per sua stressante ricerca a Calcutta.
Ela è stata una celebre attrice indiana. Ora deve accettare di essere la presentatrice di un programma televisivo di bassa qualità.
Sposata, aveva lasciato il suo brillante impiego per la nascita della figlia con una grave malattia. Per prendersi cura di essa abbandonò il lavoro. Con la morta della figlia deve ricostruirsi un'esistenza. La relazione con il marito è finita. Convivono nella stessa dimora ma in camere separate. Deve cercare immediatamente una sistemazione. Si rivolge a una banca ma il mutuo non gli può essergli concesso per mancanza di garanzie. Il film ha un andamento corale, intorno a Ela ci sono altri caratteri. Ognuno ha una propria storia indipendente ma intrecciata con il filone principale.
Più umana e più triste è l'esistenza del fratellastro Bubu. Anziano, vive con un vegliardo domestico nel suo fatiscente teatro appartenuto alla sua famiglia. Ora è solo polvere, totalmente diroccato; la sua grandezza, il suo antiquato fascino è scomparso.
Raja è il figlio del domestico di Bubu. È coinvolto in una frode finanziaria. Per conto di un faccendiere, il quale utilizza programmi televisivi per promuovere investimenti fasulli, Raja raccoglie denaro da avidi borghesi o artigiani smaniosi di speculare con i risparmi.
C'è poi il riapparire di un giovanile amore di Ela. È un costruttore costretto a sfidare la criminalità nella sua attività.
Nella scena iniziale ci sono delle grandi schegge rosso brillanti su sfondo interamente nero. È un fuoco immenso. La camera riprende dall'alto Ela, il marito e il loro cane. Tornano dal funerale della bambina. Sono affranti dal dolore, la donna chiude a chiave la porta della sua stanza e piange. C'è una fotografia della ragazzina morta. Il fuoco sono le fiamme della pira funeraria.
Il leitmotiv della storia sono le case, quelle vecchie e quelle nuove. Questo soggetto ha un collegamento con la prima pellicola di Aditya Vikram Sengupta, Asha Jaoar Majhe – Labour of Love.
Per Ela è urgente abbandonare l'attuale abitazione, troppi brutti ricordi e un amore finito. Ma le case hanno un costo esorbitante e avere un finanziamento è difficile, sia a Calcutta, sia nel resto del mondo. È d'accordo anche il regista:
“Il film, tuttavia, è ambientato sì a Calcutta ma la storia si rifà a un fenomeno globale.” (4)
È un fenomeno globale ma in Calcutta tutto è più accentuato, poetico, Tagore avrebbe detto “strano”. La metropoli è la principale protagonista, è il teatro abbandonato dalle miserie della vita; in questo Calcutta è una città magnetica. Abitarci non è facile, e le estenuanti avventure di Ela, ne sono la prova. La passione di viverci è una: “complex love-hate relationship”. (5)
Le metropoli del mondo stanno cambiando inesorabilmente. Le classi elevati le stanno modificando impiegando due sistemi. Il primo alzando le misure di sicurezza nelle proprie aree. Vogliono essere distanti e protetti da chi è rimasto indietro socialmente ed economicamente, essi sono ritenuti pericolosi. Il secondo è creare attorno alle loro fortezze, una moderna efficiente organizzazione di contatto, evoluto e globale, con persone simili posizionate in tutto il mondo. Lo stesso accade a Calcutta. La città accresce le differenze. Il filosofo Zygmunt Bauman, in Amore liquido (Edizioni Laterza, Bari, 25° edizione, 2020), definisce sinteticamente ed efficacemente questa evoluzione:
“La secessione della nuova élite globale dal suo passato coinvolgimento con il populus locale e il crescente divario tra gli spazi vitali/vissuti di chi si è staccato e quelli di chi è rimasto indietro è la più significativa delle svolte sociali, culturali e politiche associate al passaggio dalla fase «solida» a quella «liquida» della modernità.” (Pag. 137)
Il regista ha la medesima idea, infatti, anch'esso descrive una città liquida. Calcutta non è più la solida città di Tagore. Calcutta è gremita di gente. Vivono, lavorano, si amano, si lasciano, muoiono insieme ma da perfetti estranei. Il concetto liquido della città è sottolineato dall'autore:
“The core of the city isn’t made of physical spaces but of people. That’s what I wanted to explore – the city and its various layers though the people. This is something I have been feeling for the past few years – the core of the city is kind of emptying out slowly. A lot of it has to do with globalisation and a booming information technology industry. There doesn’t appear to be a sense of great discovery, and getting to know people nowadays requires great emotional investment.” (6)
Calcutta per Aditya Vikram Sengupta è una città liquida. Filma la dissomiglianza fra le due tipologie con l'inquadratura di una serie di busti di Tagore. È una figura imponente con barba e capelli folti, i quali però si mischiano al sangue. La Calcutta sognata è finita, ora è diventata una città liquida.
Gli avvenimenti sono verosimili. Per il regista sono accaduti realmente, ma vicende uguali sono capitate e capiteranno ancora ovunque. Gli eventi hanno contribuito a sviluppare le distanze fra le persone. La città ne risente, i fatti sono umanamente mostruosi. L'imbroglio è malvagio, l'ecosistema è spietato:
“Because I explore the city a lot and I interact with everyone, that’s what gives me a lot of happiness. What is most fascinating for me is that we all live in the same place, but the spaces we inhabit are very different from each other. It is very interesting when all these people come together, and all the internal worlds interact, which is an inspiring starting point for me. A city is made of its people. It’s not about the infrastructure, or the roads and railways, because that is an extension of what these individuals create. Any city is made of people and their mindsets, and I recognized the importance of exploring the entire range of people that makes Calcutta what it is. It is a complexly woven fabric. I needed a well rounded image of it – the full chain and the ecosystem of the city.” (7)
L'ecosistema è la città liquida. Il regista gira alcuni esempi in modo impeccabile. Ela lavora in un programma televisivo d'infimo livello. Leggono il tema natale a chi telefona. Durante la diretta però è impegnata freneticamente a muovere le mani. Lo studio è infestato da zanzare, le stanno scacciando. Zanzare e tema natale sono gli effetti della vecchia e della nuova Calcutta. Ela vuole cacciarli ma è impossibile. Il contrasto fra il parlato e le immagini creano il divertimento.
Ela è una signora affascinante. Molti uomini la corteggiano e la desiderano. Essa gli resiste ma prevale il desiderio di abitare in una casa diversa. È il suo cinismo. Essa oramai è disillusa; morta la figlia vuole unicamente risorgere. La rinascita deve iniziare da un nuovo appartamento, la sua ossessione. Nel volto si legge la malinconia, il tormento, il lutto ancora da elaborare. È saturnina fino a essere invidiosa e irosa con il fratellastro Bubu. Il fratellastro è depresso. Aveva un teatro, una famiglia ora è solo, triste, iracondo, irascibile, geloso, sospettoso: “è casa mia, decido io se esco o non esco.” A causa della sua asocialità e mania di persecuzione allontanerà perfino il servitore, l'unica persona rimastagli onestamente fedele.
Ela cercherà di avere la metà del teatro, i soldi gli servirebbe per l'ambita casa. Però Bubu risponde con astio, cacciandola e negandogli ogni diritto.
La trama ha tanti caratteri. Hanno percorsi umani propri ma si intrecciano senza mescolarsi troppo. C'è la tristezza di Shishir, il marito di Ela. Il loro legame si è concluso ma continua ad amarla. È autodistruttivo, senza speranze, sconsolato e solo con il cane. C'è Raja. Oramai è compromesso. È complice di un inganno. Il regista lo riprende in sequenze serrate tutte uguali. Raja conta i soldi appena consegnati dagli ingenui avari. Nelle riprese maneggia le banconote con smania, velocemente. I fessi imbrogliati hanno lo stesso sguardo: fisso su Raja, con l'occhio luccicante per l'avidità di diventare più ricchi.
Simile scena è il dialogo fra Raja e il suo boss. Raja ha una conversazione con esso mentre sta mangiando. Raja ha subodorato la fregatura perciò ne parla preoccupato, i turlupinati vorranno vendicarsi su di lui. Ma il boss non lo ascolta, mangia e gioca con il cellulare. Il boss è disgustoso, si comprende la sua infima umanità, e la voglia di gozzovigliare sulle sfortune degli altri. È il simbolo peggiore della recente Calcutta.
La struttura non è lineare. L'introduzione dei personaggi è lunga perché continuano ad arrivare. La motivazione del film appartiene a Ela: riprendersi la sua vita, ci potrà riuscire nonostante le difficoltà? Potrà ottenere la fatidica casa?
Ela assomiglia a Nandini della pièce di Rabindranath Tagore, Red Oleanders. Sono due donne determinate, risolute. Ela alla fine si trova nel palco del decrepito teatro. Come Nandini affrontò il re, Ela affronta la Calcutta dei nostri giorni.
Nel 2014, Adityavikram Sengupta, ha diretto il primo film: Asha Jaoar Majhe – Labour of Love. Anch'esso presentato alla Mostra del cinema di Venezia. Entrambi i film hanno dei punti in comune.
Pure Asha Jaoar Majhe – Labour of Love è ambientato a Calcutta. I protagonisti, marito e moglie, vivono in un appartamento. Come Ela e Shishir, hanno una vita separata, ma in Labour of Love dipende dai turni nel lavoro. Uno lavora di giorno e l'altro di notte. Si incontrano a casa esclusivamente per qualche minuto. La risposta della coppia è nel silenzio. C'è sempre Calcutta ma predomina la rappresentazione sovradimensionata più focalizzata nell'aspetto sociale ed economico.
La casa di Labour of Love e quella di Ela sono paragonabili. Appartamenti vissuti, pieno di oggetti, delle persone ci abitano ma sono unicamente un raccoglitore di solitudine e infelicità.
Labour of Love ha una struttura semplice. Ora con Once Upon Time in Calcutta, Adityavikram Sengupta ha acquisito una considerevole maturità, grazie a una sceneggiatura ben scritta, nonostante il soggetto frastagliato.
Once Upon a Time in Calcutta ha un finale poetico. Tanti personaggi, tantissimi rivoli di umanità alla ricerca di una casa . Ma nell'epilogo si ritorna al cadente ma romantico teatro. Ela risale nel suo antico palcoscenico. Il teatro è il deus ex machina, non chiarisce il problema di Ela, ma gli consente di ricordare. È una poesia mistica per l'importanza dei numeri, i quali sono fondamentali nel risolvere la trama: la numerologia, il vastu, il numero ci indica la conclusione.
Il regista è elegante nelle traiettorie della camera. Sale, scende, si muove con convinzione, concentrandosi sui protagonisti. Ma bisogna ritornare all'inizio. Una inquadratura di un camion strapieno di lavoratori. È l'alba, le facce sono assonato, nessuno parla, sono muratori si stanno recando nel cantiere. Sono essi, faticosamente, spesso a rischio della vita o d'infortuni, a erigere i palazzoni per le agognate case.
https://www.goodreads.com/quotes/658847-so-in-the-streets-of-calcutta-i-sometimes-imagine-myself
https://www.numbeo.com/cost-of-living/country_result.jsp?country=India
https://www.numbeo.com/cost-of-living/in/Kolkata?displayCurrency=EUR
https://daily2021.venezianews.it/interviste/aditya-vikram-sengupta/
https://asianmoviepulse.com/2021/09/interview-with-aditya-vikram-sengupta/