Sully Regista: Clint Eastwood Cast: Tom Hanks, Ashley Austin Morris, Adam Boyer, Wilbur Fitzgerald

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Sully

Regista: Clint Eastwood

Cast: Tom Hanks, Ashley Austin Morris, Adam Boyer, Wilbur Fitzgerald, Michael Rapaport, Chris Bauer, Aaron Eckhart, Brett Rice, Christopher Curry, Sam Huntington, Max Adler, Patch Darragh, Mike O'Malley, Anna Gunn, Jamey Sheridan, Laura Linney

Anno: 2016

Provenienza: USA

Autore Recensione: Roberto Matteucci

“Era da un po’ che New York non aveva notizie così belle, soprattutto con un aereo di mezzo.”

Nell’agosto del 2016 Michael Hainey, Executive Director of Editorial Esquire Magazine, realizza una doppia intervista a Clint Eastwood e al figlio Scott.[1] Il direttore vuole cogliere l’attimo fatidico dell’uscita in contemporanea di un film del padre e di un altro interpretato dal figlio. A settembre, infatti, ci sono nelle sale americane, Snowden con Scott Eastwood, e Sully diretto dal padre. C’è di più, gli Stati Uniti, stanno vivendo un momento di frenetica e attiva partecipazione alle primarie presidenziali, principalmente stravolti dal grande seguito del repubblicano Donald Trump, gli quale ha ribaltato, traumatizzato, capovolto ogni minima relazione di fair play, lanciandosi contro tutti e rottamando soprattutto il linguaggio stantio dei politici paludosi.

Al tempo del colloquio i sondaggi, giornali, le lobby, le star di Hollywood, Madonna erano scandalizzate ma tutto sommato indifferenti perché davano il futuro presidente sconfitto, sempre e comunque.

Durante l’intervista Eastwood padre, con lo stesso cipiglio dell’Ispettore Callaghan afferma:

“But he's onto something, because secretly everybody's getting tired of political correctness, kissing up. That's the kiss-ass generation we're in right now. We're really in a pussy generation. Everybody's walking on eggshells. We see people accusing people of being racist and all kinds of stuff. When I grew up, those things weren't called racist. And then when I did Gran Torino, even my associate said, "This is a really good script, but it's politically incorrect." And I said, "Good. Let me read it tonight." The next morning, I came in and I threw it on his desk and I said, "We're starting this immediately."” [2]

Eastwood è un livello superiore, sta prevedendo il futuro ma, meglio di tanti quotati giornalisti o analisti, ha capito l’umore americano: non ne possono più.

Che noia questa pussy generation, tutti questi snob, fighetti atteggiati a noiosi maestrini, incessantemente pronti a richiamarci, non solo su quello che dobbiamo fare, addirittura come lo dobbiamo dire.

L’intervistatore è curioso perciò chiede una ulteriore spiegazione: What is the pussy generation?

Tranciante e chiarissima la spiegazione:

“All these people that say, "Oh, you can't do that, and you can't do this, and you can't say that." I guess it's just the times.” [3]

Chesley 'Sully' Sullenberger non è un membro della pussy generation. Sully alle chiacchiere ha preferito i fatti assumendosi le proprie responsabilità.

Il 15 gennaio 2009, Sully era il comandante del volo 1549 partito dall’aeroporto La Guardia di New York diretto a Charlotte in Nord Carolina. Un volo breve, circa un’ora e un quarto. All’interno dell’aeroplano ci sono il pilota – Sully – il vice pilota, tre assistenti e centocinquanta passeggeri. Fino a qualche giorno prima a New York c’era stata la neve, ma quel giorno il tempo era buono. Il volo si era appena alzato quando uno stormo di uccelli colpì l’aeroplano e i due motori subirono un blocco contemporaneo. Senza motori, la torre di controllo gli ordinò di rientrare in uno dei due aeroporti vicini. Sully immediatamente scarta la proposta della torre di controllo; non era attuabile, troppo distanti gli aeroporti per l’autonomia dell’aereo. Sully in pochi secondi, da solo, vede sotto di se una grande pista, una pista d’acqua, il fiume Hudson. Repentinamente ha preso la decisione, si atterra sul fiume.

“Pronti all’impatto”. L’ammaraggio è perfetto, la carlinga non subisce rotture, i passeggeri escono ordinatamente e si posizionano sugli scivoli o sulle ali in attesa dei soccorsi. Sully da buon comandante è l’ultimo a lasciare l’aereo, prima si accerta che tutti si siano allontanati.

L’opinione pubblica immediatamente riconosce il valore del gesto e innalza Sully come eroe.

I giornali dell’epoca:

“Una manovra che il sindaco Bloomberg definì «tanto coraggiosa quanto straordinaria». Anche perché, come da regolamento, il comandante Sullenberger è stato l'ultimo a lasciare l'aereo. Ha controllato che tutti i passeggeri e i membri dell'equipaggio fossero in salvo e solo alla fine ha pensato sé. Nessuno ha esitato a definirlo un eroe. Ora, con la stessa normalità, l'eroe torna al suo lavoro. Solo molto più famoso.” [4]

“L’importante è dire che è lui l’eroe di quel che è già stato ribattezzato il “Miracolo sull’Hudson”. Roba da rubare la scena a Barack Obama, che fra tre giorni si insedierà alla Casa Bianca in un set degno di Hollywood: se mai faranno un film su questa vicenda “Sully” sarà di sicuro il protagonista. Per ora, lui, è il primattore anche nei tg e sulle copertine dei giornali: ha trovato il modo (senza cercarselo) di non fare la comparsa nei giorni in cui tutte le telecamere sono tutte puntate su Washington. Non c’era riuscito” [5]

Clint Eastwood plasma una serie di caratteri, soprattutto fra qualche passeggero, ma non si sofferma più di tanto.

Si dedica maggiormente a costruire il personaggio Sully, con Tom Hanks.

Nella prima scena ha un incubo, l’aereo che guida sbatte contro le case di New York; è l’interpretazione del trauma di tutti gli americani dell’attentato del 9 settembre.

Il background di Sully è ancora più lontano: l’amore per il volo, le prime guide, e la guerra.

“Grazie comandante, grazie, grazie”, l’incidente è avvenuto e tutti sono grati al pilota per il salvataggio. La popolarità è massima sia fra la gente comune - in un pub il barista gli mostra un cocktail battezzato Sully, sia nel grandi talk show, come il Late Show with David Letterman.

Si ritorna indietro all’incidente. La ricostruzione è perfetta, breve e intensa. Il colpo con gli uccelli, la discussione con la torre di controllo, la decisione e l’ammaraggio. Sono 208 secondi nei quali il comandante ha deciso la soluzione migliore.

E qui nasce il conflitto. Sully ha un nemico: la National Transportation Safety Board, l’agenzia sulla sicurezza area, più sinteticamente la burocrazia. Ai membri dell’ente il comportamento del pilota non è piaciuto.

Ma se ha salvato tutti? Cosa ha mai fatto di sbagliato?

Risposta, non ha ascoltato le indicazioni della torre di controllo, non è voluto proseguire verso l’aeroporto, ma ha preso una decisione in proprio. Il comportamento di Sully ha messo in dubbio la stessa esistenza dell’agenzia, la loro poltrona, i loro interessi, quindi l’esistenza dello stato stesso inteso come conglobato di uffici, ufficetti, burocrazia, controlli autoritari, fogli di carta, manuali di comportamento.

L’agenzia per contrastare il comportamento del comandante usa un computer. Un volo simulato sembra dimostrare che l’aereo aveva tutto il tempo di atterrare in aeroporto tranquillamente.

Il computer è diventato per definizione infallibile.

Per l’agenzia il computer è ineccepibile mentre la decisione umana, la scelta, l’esperienza sbagliano.

È chiaro il messaggio: la National Transportation Safety Board appartiene alla pussy generation. Essi si credono superiori. Eastwood si diverte con i membri dell’agenzia, li riprende in posizione strane, mentre i visi compiono dei ghigni, delle smorfie. All’inizio dell’inchiesta avevano piglio autoritario quando la loro tesi svanisce si imbronciano. Avevano la presunzione di possedere la verità innata perché era scritta sui manuali e perché il computer – mal programmato – gli dava ragione. Con la supposta supremazia essi dettano l’esatto comportamento mentre i piloti sono considerati dei banali esseri umani.

Il film gira intorno al fiume. L’Hudson è tranquillo, pacifico. Lo osserviamo all’inizio mentre Sully corre vicino al corso d’acqua. È centrale nell’incidente, ma non è solo spettatore, è la via d’uscita per salvare un centinaio di persone. Certo è freddo, è gelato, chi si è buttato in acqua non ha compiuto una scelta felice, ma è il collegamento fisico a Sully. È bellissima l’immagine dei passeggeri sull’aereo ripresa in molti punti, circondati dal fiume.

Le sequenze finali del film dividono gli umori. Da una parte la pussy generation: la burocrazia, i politicamente corretti, gli snob, i radical chic.

Dall’altra parte c’è la gente normale, le persone che tutti i giorni vanno lavorare, faticano ad arrivare a fine mese. Sono onesti: “qualunque cosa per Sully”.

Eppure Sully è una persona normalissima, non ha nessuna vanità, non ambisce alla santificazione. Eastwood lo mostra mentre parla al telefono con la moglie di problemi quotidiani, delle naturali paure per il futuro, come quelle finanziare, perché nel caso risultasse colpevole il progetto di lavoro come esperto aeronautico, una volta pensionato, sarebbe saltato.

La sfida, il duello per il regista è fra le milioni di persone con un comportamento quotidiano, con mille difficoltà, preoccupazioni, pensieri e il potere, in questo caso burocratico di una agenzia composta da scalda sedie.

Il regista crea tensione sul comportamento dell’agenzia, fino a trasformarlo in disgusto, in disagio, in rabbia. Addirittura sembra che l’autore volesse cambiare la storia. Lo spettatore inizia a dubitare e pensa: sicuramente lo metteranno in prigione, perché quei formalisti alla fine hanno sempre ragione perfino, o forse soprattutto, quando sbagliano.

Eastwood ha innalzato un altro eroe, un eroe normale, un eroe perché ha lavorato onestamente.

Sully entra nel Pantheon degli valorosi di Eastwood. Un uomo reale, carne e ossa, infatti nel finale il regista inserisce le immagine del vero Sully mentre incontra dei passeggeri. È lo stesso finale di American Sniper con il funerale di Chris Kyle. Un altro eroe, alla cui difesa, il giorno della processione, si erano schierate migliaia di persone con la bandiera americana in mano.

Il fattore umano alla fine vince questa battaglia ma è sempre più circondato.

Eastwood è bravo a modellare il ruolo di Tom Hanks. Invecchiandolo lo plasma a sua immagine e somiglianza, però gli manca quel fine cinismo di Eastwood.

Cinismo e politicamente incorretto.

Clint Eastwood è oramai un mito vivente, è difficile accusarlo, anche gli acerrimi nemici del suo pensiero stanno molto attenti. Basti pensare a Michael Moore, sempre pronto all’attacco virulento a favore del mainstream. Con Clint si mantiene cauto, pure quando criticò American Sniper.

Un motivo c’è: Eastwood – forse scherzando oppure seriamente, non è ben chiaro – ha minacciato di sparagli se si fosse avvicinato alla sua casa con la telecamera. [6]

Nel finale dell’intervista di Michael Hainey, il giornalista provoca ancora sull’argomento della pussy generation, e a una ulteriore domanda sull’argomento, Eastwood padre e figlio rispondono in modo profondamente incorretto:

Michael Hainey: “Politically, you're the Anti-Pussy party?”

Scott Eastwood: “That's right. No candy-asses.”

Clint Eastwood: “Yeah, I'm anti–the pussy generation. Not to be confused with pussy.”

Scott Eastwood: “All of us are pro-pussy.” [7]

[1] http://www.esquire.com/entertainment/a46893/double-trouble-clint-and-scott-eastwood

[2] http://www.esquire.com/entertainment/a46893/double-trouble-clint-and-scott-eastwood/

[3] http://www.esquire.com/entertainment/a46893/double-trouble-clint-and-scott-eastwood/

[4] http://www.ilgiornale.it/news/pilota-eroe-dellhudson-torna-volare.html

[5] http://www.ilsecoloxix.it/p/italia_e_mondo/2009/01/17/AM2ZZzMC-pilota_york_ecco.shtml

[6] http://variety.com/2015/film/news/clint-eastwood-threaten-michael-moore-not-true-cinemacon-1201477661/

[7] http://www.esquire.com/entertainment/a46893/double-trouble-clint-and-scott-eastwood/

Roberto Matteucci

https://www.facebook.com/roberto.matteucci.7

http://linkedin.com/in/roberto-matteucci-250a1560

“There’d he even less chance in a next life,” she smiled.
“In the old days, people woke up at dawn to cook food to give to monks. That’s why they had good meals to eat. But people these days just buy ready-to-eat food in plastic bags for the monks. As the result, we may have to eat meals from plastic bags for the next several lives.”

Letter from a Blind Old Man, Prabhassorn Sevikul (Nilubol Publishing House, 2009)

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