Tarde para la ira Regista: Raúl Arévalo
Tarde para la ira
Anno: 2016
Regista: Raúl Arévalo
Provenienza: Spagna
Autore: Roberto Matteucci
73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
“Otto anni di carcere, proprio buono non deve essere, no?”
La vendetta deve avere il suo tempo e non deve contenere nessuna forma di pietà.
La parola vendetta (e il plurale) - secondo il sito della Bibbia del vaticano [i] - sono contenute nella Bibbia settantasette volte, ma eccetto qualche eccezione, tutte nel vecchio testamento.
“Quando avrò affilato la folgore della mia spada e la mia mano inizierà il giudizio, farò vendetta dei miei avversari, ripagherò i miei nemici.” (Deuterotonio 32;41)
Preparare la vendetta è una passione lenta e meticolosa, non ci devono essere errori. Perché la rivincita si manifesta soprattutto nella sorpresa, nello scoprire il motivo celato attentamente nel tempo. È lo stupore del giustiziato che ha il sapore caldo ed eccitante per il vendicatore. È la sintesi del film Tarde para la ira del regista spagnolo Raúl Arévalo presentato alla 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
Siamo a Madrid nel 2007. La prima scena è di una rapina andata male. Riesce a fuggire unicamente il palo rimasto fuori. C’è un inseguimento, la fuga è interrotta da un incidente, per l’uomo è impossibile di continuare la fuga.
Si riprende otto anni dopo. Curro, il palo, esce dal carcere e ritorna da Ana la sua compagna, con la quale ha un figlio.
La donna insieme al fratello gestisce un bar, un luogo di ritrovo classico: bazzicato da sfaccendati, fannulloni, chiacchieroni ma anche luogo d’incontri fra persone diverse e di confidenze.
José da poco tempo ha iniziato a frequentare il locale. José è un uomo loquace ma nello stesso indecifrabile, imperscrutabile. Il mistero aumenta il fascino della persona matura. José inizia un corteggiamento pesante ad Ana, alla quale, dopo una tenue resistenza, cede.
Curro e José s’incontreranno e fra i due ci sarà una conoscenza e un viaggio insieme.
Molti generi sono mischiati nel film, thriller, road movie, poliziesco degli anni settanta, popolare pure in Italia.
L’atmosfera popolare dei bar è conosciuta bene dal regista: “ … los ambientes que yo conocía desde pequeño, las formas de hablar cotidianas que oía en el bar de mi padre en Móstoles, el pueblo de mis padres en Segovia, las carreteras de Castilla. Para mí el cine solo vale si tiene identidad propia.” (ii)
Infatti, nel locale si svolgono i preparativi del castigo, e proprio nel bar di Ana ci sarà la conclusione definitiva in un ambiente solitario e noir.
È il posto dove inizia l’intreccio a tre, fra i due uomini e la donna.
Il film si basa principalmente su Curro e José. Entrambi sono dei duri, uomini di altra epoca, con caratteri forti, in antitesi, con il tempo troveranno una concordanza nella conoscenza.
All’autore piacciono il cinema thriller, noir degli anni sessanta, quello asciutto e scarno, con personaggi psicologici e contemporaneamente capaci di violenze estreme come ad esempio il nostro Milano calibro 9 di Fernando Di Leo.
Il regista: “Me he tragado muchísimas películas de ese género, tanto las buenas como las de serie Z. Soy fan tanto de 'A quemarropa' como de Charles Bronson y Chuck Norris. En mi película está todo eso pero también el cine de Carlos Saura, o 'Malas tierras', o 'Gomorra' y las películas de Jacques Audiard o los Dardenne. Quise contar mi historia de una forma cruda y seca, y huir de la violencia como espectáculo.” 1
L’autore cura il realismo della storia, i bar, le palestre, la strada, il motel. Illusorio è la solitudine della violenza, come in un duello western, nella via ci sono i due sfidanti e intorno il vuoto, il deserto nonostante sia una città popolosa e forse mille occhi stanno guardando.
I due uomini prima girano per le periferie più sporche e infide, come una palestra di pugilato. Poi iniziano un viaggio lungo, incominciando a convivere malgrado le differenze. Dopo i tanti primi piano dell’inizio, si è arrivati alle inquadrature distante e perfino dall’alto, i due stanno insieme, hanno fini diversi ma devono coabitare perché hanno stipulato un patto: “La famiglia è sangue.”
Il regista ci conferma il linguaggio: “No, quería hacer una película que al principio estuviera muy encima de ellos, ya sea para aprovechar los ojos de Antonio o más en la nuca, el escorzo. Estar muy encima de los personajes hasta que vas atando las piezas del puzzle. “ 1
Una storia ben diretta da un autore di polso. La violenza ha un’estetica – Raúl Arévalo si diverte a vedere i film di Tarantino (”Ojo, como espectador yo disfruto del cine de Tarantino y del de Álex de la Iglesia, pero quería ser más realista.”1) - ma i suoi occhi sono quelli degli innocenti. Perciò non dimentica i personaggi vittime incolpevoli, come gli occhi in primo piano di una bambina che assiste a un omicidio.
La vendetta non ha pietà. Specialmente, quando arriva da un uomo normale, semplice, tranquillo. È la violenza disumana di una persona che non ha mai toccato un’arma e, fino alla scintilla di rabbia, incapace di maltrattare chicchessia.
Non siamo violenti, non la amiamo ma di fronte a un sopruso nessuno è capace di rimanere indifferente. Come ci mostra il regista, la nostra simpatia sta tutta nel personaggio vittima/vendicatore. Non sappiamo la ragione dell’angelo sterminatore, lo scopriremo alla fine, ma nessuno potrà dargli torto. Certo alcuni benpensanti potrebbero affermare c’è la polizia, la magistratura, la pena certa, ma nessuno ci crede. La delega della giustizia è da ritirare perché mal gestita. Per questo Raúl Arévalo ci racconta un finale, dove l’equità è compiuta per mano della vittima, grazie a un patto fra due persone di parola.
[i] http://www.vatican.va/archive/ITA0001/_FAN.HTM