The Bad Batch Regista: Ana Lily Amirpour
The Bad Batch
Regista: Ana Lily Amirpour
Autore: Roberto Matteucci
Provenienza: USA
Anno: 2016
73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
“Un membro difettoso della società.”
Da sempre il mondo cerca di difendersi con dei muri. Quando non riesce a controllare un numero consistente di persone violente, anziché combatterli si vuole rinchiuderli, segregarli. C’è un problema, spesso non si capisce chi è l’assediato e chi è l’assediate.
Basta ricordarsi del film Fuga da New York. Erano i buoni o i cattivi a essere assediati?
È preveggente il film The Bad Batch diretto da Ana Lily Amirpour e presentato alla 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Lungimirante perché anticipa il famoso muro da costruire in Texas dal neo presidente americano Trump.
Siamo, infatti, nel sud degli Stati Uniti vicino al confine messicano. Una vasta area del deserto è recintata, è diventata una grande prigione senza celle o guardie carcerarie. La polizia ci ha rinchiuso il peggio dell’umanità. Sono gettati all’interno e lasciati senza speranza.
Perché dentro, la sommatoria di tante criticità mentali, ha peggiorato le situazioni. Si sono formati dei gruppi, delle piccole comunità, le quali sopravvivono con poco, spesso in lotta fra loro. Psicologicamente sono dei border line, hanno un’iperattività che non riescono a controllare, perciò essendo degli asociali tendono a strafare, o a rinchiudersi o a dominare. Ma per alcuni non c’è limite al peggio.
Arlen, una giovane e bella ragazza, è rinchiusa all’interno. Non sa dove andare quando improvvisamente arriva un cacciatore di esseri umani. È un cannibale. Arlen è catturata e portata nella comunità degli antropofagi guidata da Miami Man. La moglie da brava casalinga si occupa di preparare una succulenta cena. Perciò taglia un braccio e una gamba alla ragazza per poi mangiarseli in una romantica cenetta. Certo mangiare sempre la stessa carna umana alla fine stanca, perciò la moglie si lamenta e il maritino per farsi perdonare gli lava i piatti.
Senza un braccio e una gamba, Arlen riuscirà a fuggire per proteggersi in un’altra comunità, quella di Confort Bridge. Qui la situazione appare più tranquilla, sicuramente non mangiano altri esseri umani. Ma questo non vuol dire, sono sotto controllo di un fanatico e alla fine potrebbero essere ancora più pericolosi.
“Vogliamo il sogno” sotto la guida di un santone, il quale vive nel lusso, la comunità esplicita un’accettazione passiva sulla sua idea di vita. Senza anticorpi, sembra che a Confort Bridge si viva solo per questo. Manifestazioni della sua potenza sono simili a quelli di altri santoni. Ci sono delle grandi riunioni con musica elettronica, durano tutta la notte e l’evocazione del sogno è come una specie di comunione. Contemporaneamente il santone lancia le sue massime creando momenti allucinogeni.
Ci racconta la regista iraniana: "Ho cercato di comporre una lettera d'amore all'America sotto forma di western, una favola action ambientata nel deserto.. Il mondo che mostro è in declino, ma d'altronde le cose che amo non sono quelle perfette. The Bad Batch è un viaggio, un'avventura, un sogno senza alcuna aderenza al mondo reale. Per la ricerca delle location ho scelto il deserto della California perché per un periodo ho vissuto a Bakersfield. Mi piace la purezza di quella zona, che fa parte del mio DNA, sono diventata adulta lì. Perciò ho ideato una comunità di persone alla deriva che vivono nel deserto. Il bad batch, la comunità dei reietti, è qualcosa che trovi dappertutto". [i]
È vero, le comunità di reietti si trovano ovunque e non c’è bisogno di muri. Sono essi stessi a rinchiudersi, sia per proteggersi, sia per controllare meglio i sottomessi.
La regista realizza una storia distopica, che: “…non sono sicura che il film sia ambientato nel futuro, e non credo che sia presente un racconto fedele della realtà …” [ii]
ma questo perché già l’epoca contemporanea è distopica e forse senza speranza.
Girato nel deserto, la fotografia è calda, intensa, risente della luce intensa dei grandi spazi. La regista aggiunge dei toni anche ironici. I cannibali sono bizzarri, e l’autrice li sbeffeggia riprendendoli in modo sexy, mezzi nudi, imbottiti di muscoli fenomenali, con tatuaggi smisurati, inquadrando gli attributi sessuali serrati in attillati calzoncini. Li riprende è al ralenti con una musica elettronica.
La stessa modalità la segue nelle inquadrature delle riunioni a Confort Bridge, ralenti, sequenze elettroniche, facendo capire che, un santone mostrato nel lusso e nella ricchezza non appare credibile nelle sue prediche.
Nell’area di nessuno c’è un mondo di mostri parassiti, i quali cercano di mantenere un contatto con il vecchio mondo, sventolando la bandiera americana ovvero andando alla ricerca di oggetti del passato. Sono cose vecchie, malandate, molti sono inutili però ricordano un mondo di fuori.
Certo il film non è per vegani, ma ha ottenuto il premio speciale della giuria, concependo un ambiente impossibile, una vera prigione da evitare.