Arrival Regista: Denis Villeneuve
Arrival
Anno: 2016
Regista: Denis Villeneuve
Provenienza: USA
Autore: Roberto Matteucci
73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
“Come back to me.”
È dal tempo di ET che nella terra non arrivavano dei marziani buoni.
Con ET i problemi di comunicazione riguardavano soprattutto le intercontinentali con lo spazio, per il resto l’ovvia diffidenza era stata gestita immediatamente da dei ragazzini vivaci e intelligenti.
Anche gli alieni di Arrival il film di Denis Villeneuve, presentato dalla 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, non sono cattivi.
Certo quando sono sopraggiunti c’è stata un po’ di confusione ma perché possedevano una macchina alquanto gigante.
La Professoressa Louise Banks è una linguista di grande esperienza. In pratica tutti gli idiomi della terra non hanno segreti. Vive in una bellissima casa solo con la figlia ancora piccola.
Arriva la notizia, molte astronavi stanno atterrando sulla terra, in diverse parti del mondo, ovviamente gli Stati Uniti, ma anche in Russia e Cina. Nello stesso momento la professoressa si stava recando a scuola. I marziani stanno arrivando e la camera inquadra gli studenti mentre si stanno allontanando, seguendo la sirena dell’allarme dell’Università.
In questo deserto l’unico presente è la professoressa, l’indifferenza delle cose reali dimostra una depressione, distacco dalla vita a causa di un dolore profondo nascosto.
Lo sbarco dei marziani non è indolore per il mondo. Come sempre, quando si teme il peggio, la natura umana reagisce con disprezzo: la violenza esplode, così i saccheggi, il menefreghismo assoluto sta spaventando il mondo. Il regista accompagna lo sbarco con una musica assordante e fragorosa: “E si ricordi che cos’è successo agli aborigeni”
Gli alieni non sembrano avere un comportamento offensivo, appaiono tranquilli, e soprattutto parlano e parlano. Ma che lingua parlano i marziani? La professoressa Banks è contattata dall’esercito per risolvere il rompicapo insieme a Ian Donnelly: “Non capiamo nemmeno come reagiscono a un ciao.”
Il film prosegue con gli svariati tentativi di comunicare. Ovviamente, se la parte umana positiva è lasciata alla professoressa e al suo gruppo, all’opposto ci sono i militari, i quali pensano di decidere tutto con due missili. Si aspetta per tanto tempo ma nulla succede. Siamo solo concentrati sul linguaggio, le parole sono fondamentali per la pace.
C’è qualcosa di religioso in Arrival: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.” (Giovanni 1) Gli alieni usano il Verbo, la comunicazione per cercare di unire i popoli. Sono arrivati per superare le divisioni, per spingere i popoli della terra a lavorare insieme per salvarsi dalle minacce future. “Non siamo un mondo con un unico leader” e per riuscirci c’è bisogno di un aiuto dall’alto.
Gli avvenimenti accaddero, accadono, accadranno e sono uniti dal regista utilizzando l’elemento temporale. Il tempo nel film non è lineare, è circolare, perciò il flashback si mischia con il flashforward. L’autore gli aggiunge una storia poetica:
"When we started we knew it was a profound, poetic story. It was a challenge to bring that to the screen because it was a science fiction movie we're not so used to seeing — the science fiction film that says something about reality." 1
Questo elemento porta la bellezza della fotografia. Il filo logico innaturale e spirituale ammanta un mondo fondamentalmente violento, forse destinato a sparire senza l’intervento comunicativo fra la professoressa e gli alieni. Insiemi saranno capaci di salvare il mondo. Le parole della professoressa al potente generale cinese sono accadute prima o dopo o forse mai. “Stai sognando nella loro lingua” è la parte introspettiva della storia, la professoressa con un passato oscuro e l’amore per la figlia, è l’unico messaggero di pace.
L’autore aggiunge le atmosfere nebbiose, fumose, nuvolose degli incontri con l’alieno.