Questi giorni Regista: Giuseppe Piccioni

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Questi giorni

Anno: 2016

Regista: Giuseppe Piccioni

Provenienza: Italia

Autore: Roberto Matteucci

73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia

“Questi ragazzi sono strani.”

Sì è vero, questi ragazzi sono strani ma neppure i loro genitori sono molto legittimi.

Descrivere la crescita di un adolescente non è facile. Il momento dell’esame di stato è il confine fra l’essere adolescente, ancora nel nido familiare e quello di essere adulti, responsabilizzati a vivere nell’università o nel lavoro. È il romanzo di formazione, il Bildungsoman. È un genere che piace, sia perché tutti ci siamo passati, sia perché si occhieggia al pubblico giovane, frequentatore di cinema.

È l’argomento del film Questi giorni di Giuseppe Piccioni, presentato alla 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

Quattro compagne di classe hanno finito la scuola, ora hanno prospettive diverse. Molte sono scelte involontarie e immature.

Una è incinta, una maternità accidentale, con un ragazzo mezzo scemo:

“Speriamo che non sia gemelli. Mio padre è gemelli e non lo sopporto.”

“Guarda che anche io sono gemelli.”

Una ha un cancro, malattia difficile da tenere nascosta.

Una ha un rapporto difficile con un ragazzo stronzo.

Una ha difficoltà di relazione con l’amica del cuore e perciò decide di andare a lavorare a Belgrado.

Un bel quartetto dopo tutto. Normale per delle ragazze di tutti i giorni. Ovviamente è ironico perché siamo di fronte al vero motivo della crisi del cinema italiano: gli autori non conoscono il paese reale, come i nostri politici, come i nostri giornalisti, come i nostri magistrati, come i nostri sindacalisti, come i nostri industriali e così via.

Peggio sono i genitori. Il tema del conflitto generazionale è ribaltato. Il padre altrettanto cretino interpretato da Sergio Rubini, la madre nevrotica interpretata da Margherita Buy (cos’altro avrebbe potuto recitare) e poi c’è il distratto professore interpretato da Filippo Timi.

La storia inizia in un’aula di università, il professore sta tenendo una lezione molto seguita. Tutti gli studenti sono concentrati nella sua sagace illustrazione sul significato della vita. Il docente è simpatico, maturo, possiede un fascino notevole: a un suo ordine tutti i ragazzi, insieme, chiudono gli occhi.

Ma quante scene sono ambientate in un’aula universitaria? Mi sembra tante.

Il problema è come sempre nel soggetto e nella sceneggiatura.

Per interpretare il film, il regista usa tante voci fuori campo; voci che sembrano recitare i bigliettini della fortuna dei biscotti cinesi. Siccome al peggio non c’è mai fine, per darsi un noto intollerabile, appare perfino una voce fuori campo in inglese.

Sui dialoghi si rimane allibiti: “Veramente non è per te, è per i tuoi occhi” lascia sbigottiti. La domanda da porsi è: ma come parlano?

C’è lo spiega il regista:

“Sì, è vero. Mi piacciono i dialoghi e un tipo di scrittura dove la parola, in alcune occasioni, è parola scritta, non derivata dal linguaggio del quotidiano. Mi piace proporre, nei dialoghi, non sempre, un piccolo scarto dalla realtà, Per fare un esempio: “…non mi batte il cuore quando ti vedo, non mi sento perduta quando te ne vai…” (Luce dei miei occhi)”, oppure, come in questo film (Questi giorni): “ la bellezza dei tuoi ragionamenti, le spine che hai nel cuore, il tuo desiderio di non scegliere mai la strada più facile…” etc… Cerco di fare in modo che la scrittura si avverta ma spetta all’attore renderla dicibile, contenerla.” (1)

Allora qualcosa non è andata. O i dialoghi erano troppo, oppure gli attori non erano all’altezza del proprio compito.”

Senza nessuno spunto intrigante, gli autori utilizzano il ritrito on the road. Le ragazze si comprendono, si conoscono durante il viaggio per Belgrado; perché non prendono l’aereo come farebbero tutti?

Al romanzo di formazione si aggiunge il viaggio, scopritore di tutti i segreti. Alla fine le ragazze comprendono se stesse e decidono di iniziare ad assumersi le proprie responsabilità.

Il problema del film è autoriale. I personaggi sono antipatici, ma non l’antipatico con il fascino dell’anticonformista o del politicamente scorretto – magari – ma antipatici nel senso di noiosi. La noia prevale, ha la meglio sulle energie umane.

Deprimente è la scena del campeggio. Quattro giovani ragazze dormono in una tenda. Fuori ci sono tanti bei ragazzi. Che fanno le quattro ragazze? Chi pensa che stiano parlando del sedere dei ragazzi, che stiano inviando un post su face book con le foto del viaggio, che stiano inviando messaggi a raffica su whatsapp oppure che stiano semplicemente sognando si sbagliano. Il regista mostra di conoscere la vita dei giovani. Le quattro ragazze stanno leggendo ad alta voce un romanzo di Maupassant (sic!!!)

(1) http://www.writersguilditalia.it/scrittori-a-venezia-giuseppe-piccioni/

Roberto Matteucci

https://www.facebook.com/roberto.matteucci.7

http://linkedin.com/in/roberto-matteucci-250a1560

“There’d he even less chance in a next life,” she smiled.
“In the old days, people woke up at dawn to cook food to give to monks. That’s why they had good meals to eat. But people these days just buy ready-to-eat food in plastic bags for the monks. As the result, we may have to eat meals from plastic bags for the next several lives.”

Letter from a Blind Old Man, Prabhassorn Sevikul (Nilubol Publishing House, 2009)

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