Under Construction Regista: Rubaiyat Hossain
Under Construction
Regista: Rubaiyat Hossain
Cast: Shahana Goswami, Rahul Bose, Shohel Mondol, Mita Rahman
Provenienza: Bangladesh
Anno: 2015
Autore Recensione: Roberto Matteucci
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“My daughter’s son lives in London and eats pork.”
Dal 1996, il prodotto interno lordo del Bangladesh è cresciuto del 6% circa all’anno, nonostante l’instabile situazione politica, la corruzione, l’inesistenza d’infrastrutture. La più importante industria è quella del tessile, da solo è l’80% dell’export.
Fra le incertezza bisogna aggiungere il terrorismo, il quale ha colpito il paese duramente.
Il Bangladesh è il protagonista del film Under Construction della regista Rubaiyat Hossain presentato al 13th World Film Festival of Bangkok.
La regista ci spiega il motivo del titolo:
“The reason I call it Under Construction is because the background of the film is Dhaka city and if you look at the city, you cannot find a single spot where a building is not being constructed – so the city, as such, is being constructed – it’s in a transitional phase. The urban citizen is also in the making and so is the modern Bengali woman.” (1)
Rubaiyat Hossain appartiene alla nascente classe elevata. Ha studiato negli Stati Uniti, le sue pellicole partecipano ai festival internazionali.
Under Construction è una storia di orgoglio femminile, intellettuale, ben girato, moderna.
La fierezza femminile è rappresentata da Raya. È una famosa attrice, benestante, ha sposato un uomo facoltoso, gli affari lo portano in giro per il mondo.
Da anni Raya porta sul palcoscenico la pièce Red Oleanders, dello scrittore di lingua bengalese Rabindranath Tagore, premio Nobel nel 1913. L’opera parla di Nandini, una donna energica, evoluta, la quale s’innalza per difendere i minatori d’oro da un re prepotente.
La similitudine fra Nandini e Raya è la chiave di lettura della pellicola:
“It is a contemporary story and it’s about your everyday life.” (1)
È il contrasto fra una società con tradizioni antiche, e una società progredita, nel quale timorosamente cerca di trasformarsi. La madre di Raya impersona l’aspetto conservatore, abituato a ragionare secondo schemi passati. Parlando con la figlia del lavoro di attrice: “Do you know what people call actresses? Whores!”
L'anziana signora è il vecchio, sebbene anch’essa sia stata una vittima del maschilismo: il marito l'abbandonò anni prima. Il nemico più subdolo di Raya è suo marito Sameer. Sembra progressista, conosce il mondo, è educato, erudito ma in realtà è insensibile e maschilista. Ha deciso il futuro per Raya: deve essere una mamma, deve lasciare il teatro. Quando discutono, Sameer non risponde, si crede superiore, l’unico momento di rabbia è alla fine, offende la moglie: “You’re so selfish Raya!”
La regista è spietata con Sameer, in una scena lo simboleggia come un serpente strisciante nel letto accanto alla moglie.
Con abilità l’autrice aggiunge altri personaggi e temi.
Moyna è la domestica di casa Raya. Una ragazza semplice ma trattata con affetto e amicizia. Moyna incontra un muratore, lavora in un vicino fabbricato in costruzione. Rimane incinta e lascia il suo impiego per seguire il coniuge in una baraccopoli di Dacca.
Moyna è il contrario di Raya, socialmente, culturalmente, economicamente. È l'esempio tipico della maggioranza delle donne del Bangladesh, il marito è il capo della famiglia e solo: “married solve any problem, right?”
Raya la visiterà, disgustata, nella baracca in cui vive. La sorte di Maya è segnata. È costretta a lavorare perfino quando è incinta; dal tugurio confinante le due donne sentono un marito picchiare la moglie.
La tematica sociale è sottolineata dalla condizione degli operai tessili.
Il 24 aprile 2013, un palazzo con dei laboratori crollò a Dacca. I negozi e le banche, nello stesso edificio, furono evacuati il giorno prima, poiché si era intravista una crepa. I proprietari delle industrie tessili, invece, obbligarono gli operai a recarsi al lavoro ugualmente. I morti furono 1134 e i feriti migliaia.
La vita dei lavoratori bengalesi è terribile, sottoposti a condizioni pessime e pressioni per contenere dei costi.
Un regista teatrale propone a Raya di continuare a interpretare Nandini. Una Nandini ancora più coraggiosa, capace di guidare la rivolta delle donne oppresse, per ore di fronte a una macchina per cucire.
Essere attrice o avere un figlio? È il dilemma di Raya, ma sarà capace di scegliere.
L’autrice ci consegna una storia piena di donne, di tutte le classi, molto spesso allo specchio.
Nelle vie sono tante, belle e colorate. La condizione riguarda pure le bambine: in una sequenza una bimba piange. Non vuole gli si buchi il lobo per mettere l’orecchino. La risposta di sua madre è crudele, deve, altrimenti sembrerebbe un bambino.
Mentre le strade sono ricche di umanità femminile, desiderose di miglioramenti, nelle stesse vie, nello stesso tempo, gruppi di uomini stanno marciando, urlando terrificanti slogan: “Hang the atheits.”
Potranno convivere questi due mondi?