Vesna – Spring Regista: Nathalia Konchalovsky
Vesna – Spring
Regista: Nathalia Konchalovsky
Cast: Svetlana Pismichenko, Aleksandr Shinkarev
Anno: 2018
Provenienza: Russia
Autore recensione: Roberto Matteucci
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“L'amore è guardare insieme la televisione.”
Pietro I era già zar quando, intorno alla fortezza San Pietro e Paolo, iniziò la costruzione di una nuova città - “Lo zar definì immediatamente la nuova città il suo «paradiso»”. (1)
Era il 1703, data di nascita di San Pietroburgo. In poco tempo divenne la città delle mode occidentali, della cultura, delle nuove idee politiche, della rivoluzione bolscevica.
San Pietroburgo è la città dell'Hermitage, dell'arte, della musica, dei teatri, dei balletti.
Nei suoi grandi viali perpendicolari e paralleli è ambientato il film Vesna - Spring, della regista russa Nathalia Konchalovsky, presentato al 55a Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.
Nathalia è figlia d'arte, il padre Andrej Konchalovsky è il pluripremiato regista come Le notti bianche di un postino - The Postman's White Nights.
È il racconto di un rapporto a quattro.
I primi due protagonisti sono donne: Marina la madre, Olya la figlia. Il terzo è Artyom, un giovane ragazzo . Il quarto è l'affascinante San Pietroburgo.
È una relazione con delle difficoltà, dei contrasti fra la nuova e vecchia generazione.
“È carino qui da voi” ironizza la madre entrando a casa di Olya. Da alcuni anni si è trasferita a San Pietroburgo, lontano dalla famiglia.
Il film inizia con una scena invernale. Sta nevicando, una stazione affollata di persone con le valigie. La camera si concentra su una donna. Con il trolley cammina nella tempesta. Un taxi la lascia di fronte un palazzo, in mano ha un mazzo di fiori.
Marina è arrivata in città, vuole fare una sorpresa per il compleanno della figlia.
Lo stupore di Olya è evidente, come la meraviglia della madre nell'esaminare l'appartamento bohémien. È una casa di una anticonformista, con tanti quadri, sculture, con il classico disordine artistico. Parte dell'arredamento è anche il fidanzato, anch'esso stupito, seminudo, silente e alquanto trasandato.
La stessa freddezza la ritrova la sera. Olya ha organizzato un party nella sua abitazione. Una mega festa. La madre è completamente fuori contesto, gira intorno alla ricerca di qualcosa su cui poggiarsi. Lo trova in un vasto terrazzo dal quale si osserva l'armonia delle notti di San Pietroburgo.
Sul balcone c'è Artyom, un ragazzo, giovane, bello. Ugualmente è appartato, solitario, disinteressato al party.
È lapalissiano, ha un segreto.
I due si incontrano. Fumano, scambiano qualche chiacchiera. E soprattutto si riconoscono: entrambi hanno un amore tormentato e in crisi.
Comincia una breve, fugace relazione ma profondamente divertente e commovente.
L'autrice è bravissima a mostrare prima i due momenti di solitudine, poi una conoscenza veloce ma affettiva, nonostante le differenze fra un giovane e una donna matura. È aiutata pure da San Pietroburgo, parte integrante e dominante della storia.
Il primo incontro è su un terrazzo sovrastante le chiese e i palazzi barocchi mentre, nella loro fuga, vagabondano nelle strade, nei locali, nei karaoke, nei vizi degli abitanti come l'eccesso di alcool e di vodka.
In una bella scena corrono sotto i portici, sembrano fuggire da un mondo pieno di delusioni. L'eccellente fotografia, con una moltitudine di luci, proiettano nell'inquadratura ancora una speranza.
Simile è la sequenza di quando si infilano in un bar, un karaoke squallido. Tutti sono presi dalla propria vita. All'interno ci sono esistenze sconfortate. Marina è piena di euforia perciò prende il microfono e comincia a cantare. Campo medio, essa canta bene, è coinvolta, sta vivendo una avventura leggera ma utile per rompere la ruggine di una vita banale e noiosa.
Inoltre il Artyom bacia, inaspettatamente, una sconcertata Marina. È lo schiocco, lei è sconvolta.
Nella notte bianca continuano le scorribande nella città. Una carrellata mostra l'intensità di un affetto, seppure effimero, fra due persone opposte.
La scappatella si conclude in un altro terrazzo. Questa volta è Marina a cercare di baciare il ragazzo ma Artyom è fuggente. Sotto c'è un taxi, dentro c'è un uomo, lo sta aspettando. Saluta la donna e la lascia sola. Ha ritrovato il suo amore.
Marina torna dalla figlia all'alba. È felice, allegra, è stata una notte unica e raggiante.
La festa è finita. Olya era preoccupata. Fra madre e figlia c'è una tregua, il distacco naturale trova una consapevolezza e il conflitto una pace momentanea. Riappare l'amore. Olya, affettuosa, abbraccia la madre, gli poggia la testa sulle gambe e si fa coccolare dolcemente. La madre è radiosa. In questo gesto due generazione si incontrano.
L'autrice costruisce il mediometraggio penetrando l'animo umano di due donne, di due generazioni. Ci riesce con un racconto misurato, elegante, psicologicamente delicato. Usa il personaggio di Artyom come chiave di lettura, come un piede di porco. Esso è un ribelle, esuberante.
È un messaggio universale ma edificarlo nella città di Pietro I lo rende specifico e molto più chiaro.
Perché Nathalia Konchalovsky padroneggia Dostoevskij: “... le riforme, le idee, tutto ciò è arrivato anche fino a noi, in provincia; ma per vedere più chiaramente, e per vedere tutto, occorre essere a Pietroburgo.” (2)
Infatti è a San Pietroburgo che Marina vede tutto più chiaramente. Ed è a San Pietroburgo che Olya comprende l'affetto per la madre.
(1) Roger Bartlett, Storia della Russia, Mondadori, Milano, I edizione Oscar Storia, ottobre 2007
(2) Fedor Dostoevskij, Delitto e castigo, Mondadori, Milano, I edizione Oscar Classici, gennaio 2012