Indignazione di Philip Roth
Indignazione di Philip Roth
Einaudi, Torino
2011
Autore recensione: Roberto Matteucci
“L’indignazione riempie i cuori di tutti i nostri compatrioti.” (Pag. 53)
La guerra di Corea fu un’appendice della seconda guerra mondiale. Scoppiò nel 1950 e terminò nel 1953. Gli Stati Uniti guidarono la riconquista contro i nord coreani, insieme a una coalizione internazionale. Gli americani morti in guerra furono circa cinquantamila.
Philip Roth racconta la storia di un ragazzo, Markus, sullo sfondo della guerra di Corea in Indignazione (Einaudi, Torino, Numeri Primi, 2011):
Roth ha una capacità di scrittura di alto livello. I suoi personaggi sono unici perché parlano di se stessi senza mai scendere a un compromesso. Sono degli eroi, perfino se sconfitti, possono combattere contro una società ostile, contro le persone cattive.
Ugualmente Markus si trova ad affrontare un ambiente contrario, con la paura o la liberazione della guerra.
Markus è ebreo. La sua famiglia lo ama. Il padre ha una macelleria kosher, e spesso il figlio lo aiuta. Il rapporto è di fiducia e orgoglio. Markus è attratto dall’abilità, dalla forza, dalla capacità nell’affrontare le difficoltà del genitore: “Avevo diciassette anni, ero giovane, volenteroso e pieno di energia, ma alle cinque ero già stravolto. Invece lui eccolo lì, ancora in forze, che si caricava in spalla quarti interiori da cento libbre e andava ad appenderli ai ganci della cella frigorifera.” (Pag. 8)
Tutto si modifica con lo scoppio della guerra. Il padre teme per il figlio, potrebbe essere chiamato a combattere. Nasce il terrore, non sa nasconderlo e ammattisce Markus con assurdi presentimenti e preoccupazioni.
“Dovevo allontanarmi da mio padre prima di ucciderlo…” (Pag. 10) Markus sceglierà di studiare in un college lontano casa per allontanarsi dalla famiglia.
Markus è intelligente e ha un ottimo profitto.
S’innamora di Olivia, una ragazza strana, particolare. Alla prima uscita con Olivia hanno un rapporto orale, il primo contatto sessuale per il ragazzo.
Nel seguito Markus dovrà affrontare delle disavventure scolastiche e di relazione con compagni e professori.
Forse paura, immaturità, inferiorità con il padre l’ha costretto a compiere delle scelte complicate. Ovvero forse esso si era trasformato nel genitore: “Ero messo male come mio padre. Ero mio padre. Non me l’ero lasciato alle spalle in New Jersey, assediato dalle sue inquietudini e traumatizzato da terrificanti premonizioni; in Ohio ero diventato lui.” (Pag. 45)
Scritto in prima persona, Markus ci racconta la sua adolescenza. E Roth gli aggiunge, come spesso gli capita l’ambientazione storica, un avvenimento importante per la storia americana.
Markus è una specie di ribelle.
La metafora è il ricco colloquio con il decano. La disertazione contro scuola, religione, cultura è acerba e crolla nel confronto finale. Di fronte al presunto ateismo del ragazzo, il preside lo mette di fronte alla realtà e al suo scontroso snobismo: “In ogni campus ci sono sempre due o tre giovani intellettualmente precoci, saputelli che si autoproclamano membri di un’élite e hanno bisogno di sentirsi superiori ai compagni, superiori addirittura ai professori, e per questo attraversano la fase dell’ammirazione per un agitatore o iconoclasta del tenore di Russell o Nietzsche o Schopenhauer.” (Pag. 67)
Com’è d’uso in Roth ci sono diversi collegamenti come la paura e la guerra, poi il senso di colpa e il panico. Comprendiamo che non sono le nostre grandi scelte ma quelle minime a trasformarsi in catastrofi.
Non manca il tono ironico, quasi comico. Alcune frasi sono micidiali perché pronunciate in situazioni intense.
Dopo il coito orale con Olivia, ancora incredulo sull’accaduto, trova una ragione sul fatto, accusando il divorzio: “… quel che aveva fatto doveva essere causato da un’anormalità. «È perché i suoi genitori sono divorziati», dissi a me stesso.” (Pag. 39)
Poi è la guerra di Corea ad avere la meglio. La nostra vita non si svolge in un mondo parallelo, ma è intrinseca alla storia, quest’ultima finisce a travolgerci. Non solo fisicamente, ma anche come paure e decisioni: “… ma alla fine la storia metterà le mani su di voi. Perché la storia non è il fondale: la storia è il palcoscenico! E voi siete sul palcoscenico!” (Pag. 135)
Per questo Philip Roth non nasconde la storia, anzi prevale nonostante le difficoltà di una quotidianità.