Noi siamo infinito. Ragazzo da parete di Stephen Chbosky

805e1d_0aea7baba3df4dcd8f22c96ef07bb51b~mv2.jpg

Noi siamo infinito. Ragazzo da parete di Stephen Chbosky

Sperling & Kupfer, Milano

Giugno 2014, prima edizione numeri primi

Autore recensione: Roberto Matteucci

“Mi sento come… infinito.” (Pag. 42)

L’adolescenza non è un periodo facile. Le tensioni, emozioni saranno impresse nella nostra vita per l’infinito. Se le trepidazioni minori possono provocare degli tsunami apocalittici, immaginiamo quanto danno recano i forti traumi.

Noi siamo infinito. Ragazzo da parete (Sperling & Kupfer, I edizione numeri primi, giugno 2014) è un romanzo di Stephen Chbosky, il quale dopo aver scritto il libro ha diretto personalmente la versione cinematografica con Logan Lerman, Emma Watson, Ezra Miller.

Tutti i tasti della sensibilità sono toccati nella storia.

Scritto in prima persona, il quindicenne Charlie ci racconta la sua gioventù. Charlie ha una famiglia normale, è amato, molto intelligente, colto, passa il tempo a leggere. Ma è anche problematico, nervoso, irascibile, sensibile, impressionabile, emotivo, ha bisogno di piacere, soffre di attacchi di panico, piange in continuazione. Un aggettivo si ripete spesso per circoscrivere Charlie: strano. Sì, Charlie è strano, molto strano. Per questo frequenta un dottore.

Il suo sfogo è scrivere, noi leggiamo le lettere di Charlie a un amico sconosciuto.

Tanti episodi del passato hanno sconvolto il ragazzo: il suicidio – per lui incomprensibile - del migliore amico, la morte – con un conseguente senso di colpa - dell’amata zia. All’arrivo a scuola Charlie è emarginato, escluso. In seguito sarà inglobato in un’amicizia esclusiva, grazie l’estrosità di Sam e Patrick. Una fratellanza di valore, speciale, perché Charlie può conoscere un mondo di ragazzi a esso sconosciuto.

Il loro rapporto, scatenerà in Charlie una deflagrazione emotiva fortissima.

Se Charlie è nervoso e ipersensibile, pure la scrittura di Stephen Chbosky è a sua immagine e somiglianza.

Charlie parla parla parla anzi scrive scrive scrive. Il ritmo degli avvenimenti è forsennato e le frasi arrivano di continuo: “Secondo me, li rendevo tutti nervosi.” (Pag. 6)

Per rendere l’atmosfera più compiacente con i ragazzi, lo scrittore si getta in un tono del passato riempiendo le pagini di musica degli anni settanta/ottanta e di epici telefilm come Love Boat e Mash.

Charlie, in confronto degli snob amici, è un tipo semplice, non ingenuo, anzi più maturo rispetto a Sam e Patrick. Lo percepiamo perché è diretto con il lettore, ci racconta le proprie emozioni con una personale delicatezza.

Nessuna emotività è esclusa dall’autore. Con capacità di linguaggio ci consente di entrare in ogni tipologia sentimentale. Conosce il lettore, perciò con abilità, genuinità ma perfino furbizia, Stephen Chbosky, gira le parole dolcemente, così possiamo amare Charlie e i suoi amici senza remissione.

Ecco come si descrive Charlie.

Si sente escluso: “… non sono così intimo con il resto dei ragazzi …” (Pag. 85)

Si sente depresso: “Sono davvero contento che manchi poco a Natale e al mio compleanno, perché questo significa che presto saranno passati.” (Pag. 92)

Si sente complicato: “Comunque, anche se lo fossi, non uscirei mai con te. Sei troppo complicato.” (Pag. 171)

Si sente strano: “Vorrei soltanto che Dio, i miei genitori, Sam, mia sorella o qualcun altro mi dicessero che cosa c’è che non va in me.” (Pag. 174)

Si sente solo: “Ho davvero qualcosa che non va. E non so di che cosa si tratti.” (Pag. 172)

Charlie è completo, si trasforma in adolescente tipo. Per questo il libro – e anche il film – sono amati dai ragazzi di tutto il mondo. Perché Charlie appartiene a tutti. Abbiamo avuto le stesse fisime, creduto di essere strani, diversi, incapaci di vivere, di perdersi nei meandri di un mondo ostile.

L’autore diverte, eleva al massimo la tensione del ragazzo e perfino il segreto che si porta coraggiosamente entro di se.

Roberto Matteucci

https://www.facebook.com/roberto.matteucci.7

http://linkedin.com/in/roberto-matteucci-250a1560

“There’d he even less chance in a next life,” she smiled.
“In the old days, people woke up at dawn to cook food to give to monks. That’s why they had good meals to eat. But people these days just buy ready-to-eat food in plastic bags for the monks. As the result, we may have to eat meals from plastic bags for the next several lives.”

Letter from a Blind Old Man, Prabhassorn Sevikul (Nilubol Publishing House, 2009)

https://www.popcinema.org
Previous
Previous

Un covo di vipere di Andrea Camilleri

Next
Next

Tel Aviv di Elena Loewenthal