Un covo di vipere di Andrea Camilleri

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Un covo di vipere di Andrea Camilleri

Sellerio, Palermo

2013

Autore recensione: Roberto Matteucci

“Lo sa qual è la mia più alta aspirazione? Farle l’autopsia!” (Pag. 121)

Uscito nel 2013, Un covo di vipere del siciliano Andrea Camilleri (Sellerio, Palermo, 2013) è stato scritto cinque anni prima.

Il commissario Montalbano si trova invischiato in una brutta storia, gettato in un covo di vipere con un retroscena sordido.

Tutto inizia dall’usuale sogno premonitore.

Con Livia si ritrova in una foresta, una selva vergine nella quale penetra a fatica: è dentro il dipinto Sogno di Yadwigha di Henri Rosseau. Dall’intricata foresta, il commissario e fidanzata incontrano Yadwigha.

L’onirico ricordo è la rappresentazione sintetica dell'intrecciata trama.

Il commissario è in splendida forma. Il secondo filo della storia è la solitudine.

S’imbatte in un vagabondo, un uomo colto, una libera scelta d’isolamento. Come un anacoreta vive all’interno di una grotta. Livia trova curiosità nella persona e ripete delle visite all’eremita:

“Abbisognava avvertiri a quel poviro disgraziato che Livia sinni sarebbi ripartuta presto, masannoò capace che quello, pigliato dalla disperazioini, traslocava e si annava a trovari ‘n’autra grutta.” (Pag. 118)

L’ironia facile di Montalbano, non trova un riscontro invece nell’uomo, il quale dalla solitudine riproduce un concetto di saggezza maturato durante l’isolamento:

“Sa, capita che una lunga frequentazione appanni un po’ la visione delle qualità della persona che da tempo ci sta accanto.” (Pag. 146)

La mancanza di compagnia non dovrebbe appartenere al commissario, frequenta persone, sta in mezzo alla gente, parla con tanti, ma la sera ritorna in una bella casa disabitata.

Come può essere solo in una foresta? Ritorniamo al sogno iniziare. Yadwigha è all’interno della giungla. Intorno a essa c’è una moltitudine di colorati animali, ma nessun essere umano ad apprezzare la sua nudità.

Ritorna il parallelo Montalbano/Yadwigha.

Il resto della storia è il perenne rapporto con le donne.

Le sue due donne: Livia e Adelina.

Perché la marginale Adelina, la donna tuttofare, sempre presente, disponibile, cuoca eccellente, è una donna matrigna. Con essa bisogna avere un atteggiamento di rispetto, di devozione, perché, sebbene non faccia parte del suo mondo, è una certezza su cui contare:

“Non ho cambiato gusti, ma se Adelina s’accorge che le ho date via, qua succede un catunio.”

“Tu a quella donna le lasci fare tutto quello che vuole.” (Pag. 39)

Livia è più presente ma, donna dal carattere forte, non ha piacere, quando altre femmine gli tagliano la strada.

Soprattutto desidera intraprendere con il commissario una relazione conflittuale, perché Camilleri può mostrare la capacità letteraria e l’arguto senso d’ironia per le donne. Quando i due fidanzati litigano, Livia minaccia ironicamente di chiamare i carabinieri:

“Questa era ‘na minazza gravi. Non bisognava fari fissarie. Se ‘ntirvinivano i carrabbineri, finiva veramente a farsa.” (Pag. 124)

Roberto Matteucci

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“There’d he even less chance in a next life,” she smiled.
“In the old days, people woke up at dawn to cook food to give to monks. That’s why they had good meals to eat. But people these days just buy ready-to-eat food in plastic bags for the monks. As the result, we may have to eat meals from plastic bags for the next several lives.”

Letter from a Blind Old Man, Prabhassorn Sevikul (Nilubol Publishing House, 2009)

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