Bait 3D – Shark 3D Regista: Kimble Rendall Cast: Phoebe Tonkin, Xavier Samuel, Martin Sacks

Bait 3D – Shark 3D

Regista: Kimble Rendall

Cast: Phoebe Tonkin, Xavier Samuel, Martin Sacks, Lincoln Lewis, Sharni Vinson

Anno: 2012

Provenienza: Australia

Autore Recensione: Roberto Matteucci

“Oggi madre natura ci ha visto tutti come peccatori.”

Siamo alla Mostra del cinema di Venezia del 2012.

Una domanda nasce spontanea alla fine di ogni festival. Qual è stato il film con il maggior numero di applausi ricevuti? Nel 2012 c’erano a Venezia grandi maestri: Malick, Anderson, Bellocchio, Redford, Spike Lee, Kitano, avrà vinto uno di essi?

Ma non scherziamo! La proiezione, con una ripetuta serie di acclamazione per lunghi momenti, con ola, con urla di approvazione è stato Shark 3D - Bait 3D. Il regista Kimble Rendall alla fine è stato salutato con una standing ovation, ed esso ha ringraziato danzando sulla colonna sonora finale.

Pensate che scherzi? Ho i testimoni! È la notte fra sabato e domenica – esattamente l’una. Nonostante l’orario e i sei film precedenti visti, Sala Grande è strapiena di centinaia di giovani. I ragazzi manifestano la loro partecipazione salutando con ovazione e consenso tutte le volte che lo squalo azzanna, squartandolo, il cattivo o l’antipatico di turno.

I pezzi di carne sanguinolenta – grazie al 3D – ci arrivano in faccia, e fomentavano l’entusiasmo del pubblico; smettere di applaudire era impossibile. Inoltre risate e gioia diventano rumorose quando un povero cagnolino, che si pensava trangugiato dallo squalo, appare navigando su un surf. È divertimento puro. Nel finale un urlo all’unisono scuote Sala Grande. Il buono ha imbracciato, sott’acqua, un poderoso fucile e fa saltare le cervella al terribile squalo.

Il cinema è divertimento, partecipazione, socializzazione. Per me il film ha una consistenza materiale, fisica, è un luogo preciso. È nella sala cinematografica che si forma la visione di una storia. È all’interno del cinema (inteso come entità architettonica) che si crea emozione e si costruisce l’eccitazione, il turbamento, la paura, la risata. Mi va bene pure una rumorosa arena estiva all’aperto, è pur sempre una condivisione. Senza sala cinematografica il film perde ogni attrazione, si trasforma da una potente erezione a molliccia consistenza.

Tutto, anche Bait 3D, diventa una gioia pubblica. Il film è valorizzato nell’essere insieme in un cinema. Anche l’ironia dell’applauso liberatorio alle tre di notte è un sollievo di libertà.

Siamo in Australia. Un terremoto tremendo ha provocato un infernale tsunami. La storia forma due camere chiuse. Un gruppo di ragazzi è bloccato nel garage sotterraneo di un supermercato. Mentre nel piano superiore, un raggruppamento eterogeno di persone, è sbarrato in un reparto. Garage e negozio sono inondati da acqua alta. Le persone si sono salvate salendo sugli scaffali. Poiché la regola in casi del genere è che la sfiga ci vede benissimo, con l’acqua sono entrati due famelici squali, i quali nuotano liberamente e affamati uno nel garage e l’altro nel piano superiore.

Il linguaggio è la formazione e la catarsi dei vari personaggi. La dicotomia è la stessa: buoni e cattivi, mentre lo squalo è l’arbitro imparziale durante il suo assedio agli sfortunati consumatori. La struttura è quella della camera chiusa, con lo scontro fra bene e male e la formazione dei vari personaggi, costretti da una forza esterna a raggiungere una altrimenti impossibile riconciliazione.

Nulla di nuovo. Tanto splatter, sangue, sbalzi improvvisi, aumentato dal 3D. C’è anche una buona dose d’ironia. Splendida è l’armatura fabbricata con carelli e cestini della spesa per affrontare lo squalo.

Gli applausi al regista, seppure sarcastici, sono tutti meritati. D’altronde è notte fonda.

Roberto Matteucci

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“There’d he even less chance in a next life,” she smiled.
“In the old days, people woke up at dawn to cook food to give to monks. That’s why they had good meals to eat. But people these days just buy ready-to-eat food in plastic bags for the monks. As the result, we may have to eat meals from plastic bags for the next several lives.”

Letter from a Blind Old Man, Prabhassorn Sevikul (Nilubol Publishing House, 2009)

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