O Gebo e a Sombra Regista: Manoel de Oliveira Cast: Michael Lonsdale, Claudia Cardinale
O Gebo e a Sombra
Regista: Manoel de Oliveira
Cast: Michael Lonsdale, Claudia Cardinale, Jeanne Moreau
Anno: 2012
Provenienza: Portogallo, Francia
Autore Recensione: Roberto Matteucci
“La mia fossa è già scavata.”
Un gruppo di venerandi artisti ci concede con una grazia leggiadra la gioia di apprezzare il cinema. Manoel de Oliveira anni 103, Michael Lonsdale anni 81 e Claudia Cardinale anni 74 sono capaci di stupirci con una pellicola tratta da una pièce teatrale: O Gebo e a Sombra.
La povertà è un tema molto diffuso nel cinema e O Gebo e a Sombra lo interpreta bene.
Camera ferma, lunghi piani sequenza, campo medio; lo stile del regista è adatto alla rappresentazione del testo, non deludendo anche per l’alto valore di toccanti recitazioni.
In una stanza, tutte le sere si ripetono le stesse vicende. Gebo e Doroteia sono sposati da anni. La vita nella casa è triste; i gesti, i comportamenti sono lentamente afflitti da un dolore pietoso. Il loro figlio è scomparso da otto anni, nessuno sa dove sia.
Tutte le sere, Gebo deve fingere con la moglie di essere stato al porto a cercarlo, raccontandogli delle bugie su strane voci percepite riguardo al suo avvistamento. In questa tetra atmosfera si svolge il dramma della famiglia: “Sento un peso che mi opprime.”
La tragedia implacabile arriva. Il figlio improvvisamente si presenta in casa e ruba una forte somma di denaro, custodita dal padre per conto della società di cui è dipendente. Quel furto, quasi offerto e richiesto dal genitore, è una catarsi definitiva. Il figlio sparirà ancora, Gebo si preoccupa solo di non coinvolgere la moglie nella sofferenza cui sarà costretto.
La metafora è evidente. Il denaro è il mezzo attraverso il quale avverrà l’abbattimento della società:
“Avere i soldi per dare gli ordini agli altri.”
“Quando si toccano i soldi non si perdona mai.”
Il denaro è il male, l’inferno; la sua presenza è il tarlo e il demone corruttore, distruttore del valore della famiglia e della società. Tutta la simbologia è rappresentata, dall’anziano regista, con precisione, ma soprattutto con quel disincanto che solo una persona anziana può avere. Non è più forzato a raggiungere compromessi, perciò la sua condanna è precisa, ma senza sbalzi di umore adolescenziali.
E poi c’è la menzogna. La moglie non deve sapere, deve rimanere all’oscuro delle cattiverie della vita, ma fino a quando riuscirà a evitargli la verità? “Magari la verità ci salverà.”