Isis, Tomorrow. The Lost Souls of Mosul Regista: Francesca Mannocchi, Alessio Romenzi
Isis, Tomorrow. The Lost Souls of Mosul
Regista: Francesca Mannocchi, Alessio Romenzi
Anno: 2018
Provenienza: Italia
Autore Recensione: Roberto Matteucci
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“Il loro destino è ignoto.”
Nel 1944, in Italia, la guerra è finita, i trionfatori sono gli americani, gli inglesi, i francesi, i russi e loro alleati. Pure una parte dell'Italia ha vinto. Sono i partigiani, hanno combattuto nelle città occupate dai nazisti. Ora sono i vincitori ma in precedenza hanno subito terrificanti persecuzioni e sevizie.
Nel primo governo italiano, il ministro della giustizia era il comunista Palmiro Togliatti. Insieme al presidente del consiglio De Gasperi preparò e firmò una vasta amnistia.
Le motivazioni della grazia erano la necessità di una pacificazione nazionale, e le conseguenze furono:
“... in pratica porta alla scarcerazione di tutti i fascisti, anche di quelli responsabili dei crimini più abietti ...” e “... alla scarcerazione di quasi tutti i torturatori della Repubblica di Salò ...” (1)
Togliattiani sono i registi Francesca Mannocchi e Alessio Romenzi nel film Isis, Tomorrow. The Lost Souls of Mosul, presentato alla 75ª edizione della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.
Quale imbarazzante riconciliazione è possibile dopo un sanguinoso conflitto? Nella pellicola non si parla di eventi storici ma di un conflitto ancora in corso.
L'Isis o Stato Islamico dichiarano il califfato nel 2014 con capitale Raqqa in Iraq. Lo stesso anno conquistarono Mosul, una città con circa un milione e mezzo di abitati.
Per la sua liberazione bisognerà aspettare il 9 luglio 2017. L'esercito iracheno, con i curdi e, soprattutto, con l'aviazione e i missili americani, rientrarono in possesso di Mosul. I massacri, le violenze, le torture provocarono circa quarantamila morti.
La fine di ogni guerra pone un problema: vincitori e vinti cambiano ruolo. I carnefici dell'Isis ora sono gli sconfitti e oggetto di vendette.
Il regista Alessio Romenzi ha una problematica intellettuale:
“ … nel post guerra quando ci si aspetterebbe che uno stato possa prendersi cura quella che è la sua popolazione vinta o vincitrice che sia ...” (1)
Il documentario inizia nel gennaio 2018, l'Isis è caduto sei mesi prima.
A Mosul ci sono solo rovine e morte. La situazione disagevole è evidente nella scena iniziale. Molti ragazzi, intraprendenti e atletici, scavano, frugano nelle case distrutte. Vogliono recuperare qualcosa da vendere, principalmente i condizionatori.
Dopo aver storicizzato il momento e mostrato gli aspetti sociali, i registi iniziano una serie d'interviste. Spalle al muro guardano, come sempre in queste occasioni, direttamente alla camera.
Sono i figli dell'Isis. I loro genitori, i fratelli maggiori hanno afflitto e ucciso molte persone. Essi sapevano ma mai difesero e protessero le vittime. Hanno ottenuto i benefici mentre le famiglie dei perdenti ebbero unicamente sofferenza e lutti.
I tanti e bei testimoni lo raccontano onestamente, sono talmente indifferenti dei decessi da affermare: “Se i civili fossero stati utili a qualcosa Dio li avrebbe salvati”
Sono in condizioni disperate, vivono in campi profughi in sezioni separate, colpiti da rappresaglie e discriminazione.
Sono “i cuccioli del califfato”, bambini e donne. Stare nascosti non li aiuta. Gli autori analizzano le personalità utilizzando la camera come un trapano, entrando sui ragazzi con primo piano e primissimo piano.
Il loro contraltare sono i soldati e vittime delle dash: “Quante anime si sono perse per colpa dell'Isis.”
In entrambi c'è sofferenza, tutti hanno avuto delle terribili angosce. Ma non è la prima volta e sicuramente neppure l'ultima; Francesca Mannocchi:
“ … l'importanza che hai bambini è stata data nei nazismi, nei fascisti, ma penso anche a Pol Pot in Cambogia i bambini sono i mattoni del futuro, l'arsenale del terrorismo ...” (2)
I ragazzini appaiono spesso: sono in mezzo alle bombe con la bandiera bianca, ovvero parlano delle famiglie uccise dall'Isis, sfogando il dolore tristemente: “li avrei uccisi se avessi potuto.”
Poi ci sono i bambini indottrinati dall'Isis alla guerra santa, ripresi nei corti di propaganda.
Il film ha una funzione precisa, Francesca Mannocchi: “... umanizzare i protagonisti ...” (3) per riuscirci hanno costruito un film strutturalmente classico: tanti primi piano, dettagli, piedi sporchi, zoccoli, immagini dall'alto di Mosul demolita, campi lunghissimi pieni di macerie e tanto fumo nero degli incendi. Ci sono le scene di battaglia ma quelle servono a dimostrare quanto coraggiosi, arditi sono stati i due registi a seguire da vicino le truppe, di quanti pericoli hanno affrontato.
Il messaggio arriva potente perché gli autori sono volitivi, hanno determinazione, hanno fermezza e virilità politica come un Togliatti nel momento firma del decreto d'amnistia nel 1946.
Antonio Gambino, Storia del dopoguerra – Dalla liberazione al potere Dc, vol II, Laterza, Roma, edizione riveduta e ampliata 1978