Les bienheureux -The Blessed Regista: Sofia Djama
Les bienheureux - The Blessed
Regista: Sofia Djama
Cast: Salima Abada, Faouzi Bensaïdi, Adam Bessa, Sami Bouajila, Nadia Kaci, Lyna Khoudri, Amine Lansari
Anno: 2017
Provenienza: Algeria, Belgio, Francia
Autore Recensione: Roberto Matteucci
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“Questa gente non deve entrare nelle nostre vite.”
In Algeria, nel 1991, il partito dei fondamentalisti del FIS Fronte Islamico di Salvezza vinsero le elezioni. La vittoria del Fronte spaventò la guida del paese, nelle mani dell'élite laica e militare. L'anno successivo spinsero l'esercito a bloccare il secondo turno e a instaurare una dittatura.
Fu l’inizio di una guerra civile terribile, con violenze, crudeltà e atti terroristici. Ci furono, fra il 1992 e il 1998, oltre centomila morti. Verso la fine degli anni ottanta, i militari presero il controllo del territorio, costringendo l'ala armata della FIS, l'Esercito della salvezza islamica, a sciogliersi nel gennaio 2000. (1)
Nel cinema la presenza dell'Algeria ha una importanza notevole, sia per la furiosa, e simbolica, lotta di liberazione contro la Francia, sia per la guerra civile con il FIS.
Se Gillo Pontecorvo descrisse la fine del colonialismo in La battaglia di Algeri, il regista francese Xavier Beauvois racconta in Uomini di Dio uno degli episodi più disgustosi della lotta con il Fronte, l'uccisione di sette pacifici padri trappisti.
Siamo nel 2008, sono passati alcuni anni dalla fine della guerra, i cambiamenti sono stati tanti ma è difficile dimenticare le terribili sofferenze.
Le ferite dei sopravvissuti sono indelebili e stanno provocando, nonostante il tempo, un altro tipo di tensioni: quelle familiari.
È il tema del film di Les bienheureux - The Blessed della regista algerina Sofia Djama presentato alla 74° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
È l'anniversario di matrimonio di Amal et Samir, una coppia della borghesia algerina, laica, colta, con una visione più all'Europa che agli altri paesi arabi. La loro classe sociale aveva idee non gradite ai due contendenti. Nel loro ambiente ci furono molte perdite umane, sempre minacciati direttamente, cresciuti nella paura personale e per i valori della loro antica Algeria.
Amal e Samir hanno raggiunto un livello di discussione dal quale non si ritorna indietro: Amal vorrebbe andarsene, partire, abbandonare il paese e tutti i problemi. Cerca di convincere il figlio adolescente di studiare in Europa. Samir è un dottore, conosce le difficoltà,ma non vuole scappare, non vuole essere un vinto, se fuggisse i loro nemici trionferebbero. Il figlio la pensa come il padre, non vuole frequentare una università europea.
Il confronto crea molte tensioni nella famiglia e il tentativo di festeggiare si trasforma nella sconfitta di entrambi.
Il film si presenta con una voce over di una radio. Proviene da una macchina nel caotico traffico di Algeri. Inizia la notte.
La regista simbolicamente contiene tutti gli avvenimenti del suo paese in una singola bella nottata di Algeri. L'intimità è raccontata dalla stessa autrice:
“Résumer l’Algérie en un jour, à priori c’est impossible. Mais je savais que je pouvais raconter l’histoire d’un pays par l’intimité. Et l’intimité pour moi, c’est la nuit. Et j’avais besoin de situer ça. Le paroxysme de l’histoire se situe dans la nuit. Je suis littéraire de formation, et dans la formation littéraire, il y a quelque chose qu’on appelle le voyage du héros qui est un concept lié à la nuit. Donc, pour moi, l’enjeu ne pouvait être que dans la vérité de la nuit.” (2)
Nella riservatezza della notte succedono molti fatti, si incontrano persone, accadono eventi strani.
Si parte dagli amici della coppia, anch'essi membri di una classe media nostalgica e ferita. L'incontro a casa di un amico è incompatibile; troppe disavventure, troppe sofferenze hanno causato una disillusione totale e una incomunicabilità metaforica.
Essi rappresentano il passato, malinconico e senza futuro.
L'autrice crea il loro contrappasso alternandoli con un gruppo di giovani algerini al quale partecipa il figlio.
Gli adolescenti di Algeri si ritrovano in un posto sfigato dove fanno tatuaggi, dove c’è una comitiva di ragazzi di dubbia moralità.
Feril è la ragazza, chiede solo di vivere. Poi c'è Loser, l'islamico, il fanatico. Pur sconfitto, l'islamismo più estremista sta rientrando in maniera subdola, attecchendo fra le giovani generazioni. Perciò vuole tatuarsi la sutra del puro monoteismo Al-Ikhlâs e nel frattempo critica i salafiti come dei radical post moderni.
La scene più simbolica è il lungo dialogo dei tre ragazzi, ma in realtà ognuno parla a se stesso, rinchiuso all'interno del proprio mondo: “Siamo tutti diversi”.
L'autrice ha le idee chiare su quale Algeria vorrebbe, differente dalla direzione intrapresa.
Utilizza scene tutte molto semplici e inquadrature chiare. Algeri è ripresa dall'alto, con delle panoramiche sulle case bianche e il mare.
La notte sembra non finire, è un viaggio fra i divertimenti della città, quello noioso degli adulti, che non riescono a trovare un ristorante nel quale cenare. Posti per ricchi ma depressi e senza vita. Ristoranti con un servizio debole, club di lusso con il metal detector, bar con il divieto alle donne di bere al balcone, locali nel quale è proibito servire vino sulla terrazza perché i vicini si sono lamentati.
In casa Amir parla con il figlio in francese, mentre gli risponde spesso in arabo. È la rappresentazione del dialogo impossibile fra due generazioni violentate entrambe da un conflitto sanguinoso.
(1) https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/ag.html