Lumière! Inventing Cinema di Thierry Frémaux
Lumière! Inventing Cinema
Regista: Thierry Frémaux
Provenienza: Francia
Anno: 2016
Autore Recensione: Roberto Matteucci
“Intelligence position of the camera.”
Thierry Frémaux è direttore artistico del Festival del cinema di Cannes dal 2001.
È dotato di grande cultura, e ha una capacità a leggere esattamente ma anche con semplicità, una scena cinematografica. L’ha dimostrato al 13° Dubai International Film Festival commentando dal vivo il montaggio di Lumière! Inventing Cinema.
Dopo essere stato presentato, si è seduto sul palco di lato, spalle al pubblico, microfono in mano e ha illustrato le immagini di 114 filmati di circa 50 secondi ciascuno, girati da fratelli Lumière fra il 1895 al 1905.
Il risultato è una lezione magistrale di cinema.
Thierry Frémaux: “Louis Lumière and his operators shot nearly 1,500 films of 50 seconds. Apart from in the first five years, they’ve never been shown in theatres. The aim with Lumière! was to make one single film out of all the films, so that audiences could rediscover them.” (i)
Nonostante che nelle classiche foto i fratelli appaiono in età matura, le loro prime riprese furono girate quando erano giovani. Louis Lumière era nato nel 1864 e giro la prima pellicola nel 1895 quando aveva 31anni.
I Lumière erano di Lyon e avevano una fabbrica. Il primo film La Sortie de l'usine Lumière à Lyon fu la ripresa degli operai all’uscita dal lavoro.
La camera di fronte al cancello, gli operai arrivano in massa e poco prima si dividono a destra e a sinistra. Camminano veloce, nessuno si ferma. È una scena chiassosa e movimentata, c’è animazione, non si sente nulla ma si comprende.
Due film riprendono la stessa scena degli operai: “They don’t invent the cinema. They invented the remake.”
Per più di un’ora continua la visione, un fluire intelligente d’immagini, commentate dal direttore in modo preciso e pure ironico e sarcastico.
Ci sono scene di gruppo, di cavalli, incontri familiari, i Lumière sono ripresi con la bottiglia del cognac e il bicchiere in mano.
Si arriva al primo film mostrato in un teatro: L'arrivée d'un train en gare de La Ciotat. Una scena unica, moderna, il treno arriva in diagonale e taglia l’inquadratura a metà. Perché i Lumière erano dei fotografi e avevano compreso la domanda che si pone ogni regista: “Where can I put my camera?”
Essi avevano intuito, il cinema è una fotografia su un grande schermo e questa doveva essere letta dal pubblico facilmente, e comprensibilmente. Non c’era la parola o altri effetti speciali, sono la camera poteva dargli un significando.
E il risultato è perfetto. Le immagini sono leggibili ancora oggi, non c’erano vuoti o inutilità, la linea orizzontale non doveva essere all’esatta metà.
Riprendono il criterio della scena del treno perfino in un film con delle infermiere che spingono le carrozzine di neonati.
La camera è sempre di fronte, le donne camminano verso di essa e poco prima la linea si muove in diagonale seguendo lo stesso effetto del treno.
Alcuni effetti speciali già erano attuati, come quando il regista lancia letteralmente il gatto sulla camera.
Molte scene riprendono dei soldati. In un film i militari giocano con un cavallo e di fianco un uomo sta ridendo come un invasato: “I think he is die after the movie”.
Ovvero in una scena molto attuale - piacerebbe molto ai fans del gender - dei militari spagnoli ballano fra essi.
Hanno perfino inventato il cinema in viaggio. Una serie di riprese sono girate in lontane città: Berlino, Londra, Dublino, Istanbul, Egitto, Venezia, Messico, Baku.
A Mosca la gente guarda la camera con semplicità e ingenuità.
A Chicago tutti hanno un cane e tutti i poliziotti hanno i baffi.
A Barcellona in una scena di lavoro, tutti sono indaffarati tranne due sfaticati i quali osservano rilassati: “Spanish style” commenta sarcastico il direttore.
Considerando l’epoca e la grande miseria di molte fasce della società, molti film inquadrano dei poveri ma Children Gathering Rice girato in Vietnam è inquietante.
Una donna e una bambina elegantemente vestiti lanciano in aria o pane o riso o monete e di fronte si accalcano a raccoglierle una miriade di ragazzini, poveri, straccioni. La tipica scena di quando si lancia le briciole ai piccioni, un filmato fastidioso per la crudeltà, ma forse non per l’inizio del secolo scorso e per il pubblico borghese cui era indirizzato.
Alla fine della visione il messaggio era chiaro: i Lumière sono “real filmmaker”.
Non sono documentari, non sono riprese causali, non sono scene da webcam statica, sono dei registi, studiano la posizione, le inquadrature, la luce, sono preoccupati di ciò che appare e di come possono leggerlo gli spettatori. Per questi sono dei grandi registi.
Coppola, Leone, Ėjzenštejn, Ford, Spilberg, Ozu, Kurosawa, Scorsese sono tanti gli autori citati da Thierry Frémaux che hanno ripreso qualche citazione dai Lumière.
Thierry Frémaux termina con un’azzeccata similitudine.
Il cinema ha diverse visioni. C’è quella realistica di Rossellini, e quella fantasiosa, onirica, immaginifica di Fellini. I Lumière rientrano nella prima categoria, quella dei Rossellini, il loro è un cinema realistico, assolutamente non sono documentaristi.
“They believe in the future”, uno degli accostamenti più brillanti durante il commento è un classico: la realtà imita l’arte.
Sempre in Vietnam i Lumière riprendono una bambina vietnamita mentre corre nuda dietro la camera. I Lumière avevano realizzato la stessa famosa inquadratura del fotografo Nick Út nel 1972. Una bambina nuda e ustionata per un bombardamento al napal degli americani corre piangendo verso la camera del fotografo. È identica.
(i) Screen at Dubai Internationa Film Festival day 1 December 8, 2016.