Mahbas – Solitaire Regista: Sophie Boutros

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Mahbas – Solitaire

Regista: Sophie Boutros

Provenienza: Libano,Giordania, Egitto

Anno 2016

Autore Recensione: Roberto Matteucci

“Although you are syrians.”

Nel 1970 i palestinesi guidati dall’OLP, rifugiati in Giordania, furono cacciati dal Re Husayn perché tramavano per un colpo di stato. Le migliaia di profughi si presentarono in Libano modificando i già difficili equilibri interni. La conseguenza fu una terribile guerra civile durata per quindici anni e con circa centocinquantamila morti. Non fu solo una guerra interna perché, i bellicosi confinanti, ci entrarono violentemente. Sia Israele, ma soprattutto la Siria invase con il proprio esercito i confini libanesi, occupando per molti anni gran parte del Libano. L’intervento militare provocò molti morti.

La premessa è fondamentale per inquadrare il fondo tragico del film Solitaire della regista Sophie Boutros, presentato alla 13° Dubai International Film Festival.

In un paesino cristiano del Libano, Therese una bella donna di mezza età, ha perso il fratello durante la guerra civile, colpito da una bomba sparata dall’esercito siriano.

Ora odia i siriani. All’inizio gli è offerto un dolce, lo apprezza molto ma quando sa che è siriano lo sputa disgustata.

Tutta la storia avviene in un giorno, una bella giornata di sole: “what a day.” Un giorno importante perché la figlia Ghada torna a casa per presentargli il fidanzato Samer e i suoi genitori.

Un avvenimento festoso ed emozionante. Infatti, Therese è eccitata, allegra, impegnata a preparare una grande festa.

Però. C’è un però. La figlia gli ha tenuto nascosto la loro origine siriana.

È facile individuare il resto della storia, i contrasti, i litigi, e quando tutto appare perduto, la pace. L’autrice è bravissima perché arriva alla conclusione conciliatrice con una storia ricca di momenti alti, allegri, divertenti e pure di tensione.

È presente anche il fratello. È morto ma Therese ha riempito la casa di sue fotografie e continua a parlargli, e con un tono surreale, il fratello prende vita nella foto e gli risponde.

Quando scopre l’origine del futuro genero, con il fratello appeso, trama per il fallimento del fidanzamento. E non sarà l’unica contraria alle nozze.

Entrano in gioco altri personaggi del paese, come lo spasimante, ex fidanzato di Ghada. Un personaggio maschile, ancora innamorato, ora istruttore di tango e meccanico.

Il ragazzo si scontra con il Samer: “You accept the syrian, but refuse me.”

I meccanismi della storia sono elaborati lavorando sulle differenze fra le due famiglie.

Da una parte Therese non sopporta i siriani, dall’altra parte la famiglia di Samir – ricca e snob – non tollera molto, che il figlio elegante, sportivo, con bel lavoro, sposi una ragazza di una famiglia normale di un paese libanese.

È la madre di Samir il soggetto curato con attenzione dalla regista. Essa molto altezzosa e arrogante ed entra in contrasto con Therese. Molto ricercata, chic, vorrebbe che il matrimonio non avvenisse: “He is not a groom yet.” Il carattere contrasta con il marito, un semplicione, amichevole, non gli dispiace il piccolo paese, la gente e la nuova la famiglia. La moglie è chiacchierona e pettegola, il marito non ha il coraggio di replicare, accettando passivamente tutte le sue decisioni, sospira: “Non tutti gli uomini controllano le loro mogli.”

L’autrice gioca con le due diversità, e con i razzismi di entrambi. Tutti sono sopra le righe, nella scena del salotto la famiglia siriana è seduta a filo sul divano e ammiccano senza sapere cosa dire. Di fronte c’è solo la zia - solare, energica - cerca di passare il momento d’imbarazzo, per la mancanza di Therese, parlando a vanvera. Una scena a campo medio, con una perfetta divisione dell’inquadratura per esaltare le diseguaglianze e l’uguaglianze.

Il marito di Therese è un personaggio fedifrago. Sindaco del paese, sta organizzando una vacanza con l’amante a Istanbul. I due mariti si trovano ad affrontare una diatriba fra due famiglie per una questione di poco conto. Vista l’esuberanza del popolo, si presentano armati. Di fronte alle chiacchiere del sindaco non si conclude nulla. Allora l’uomo siriano spara un colpo con il fucile. Stacco e la pace è raggiunta.

Un bel film, piacevole con uno sfondo tragico, le colpe di altri non appartengono oggettivamente a tutto un popolo. Sembra banale ma la generalizzazione è diffusa e considerata normale.

Theresa raggiunge una pace con il popolo siriano, la madre di Samir comprende che la famiglia di Ghada è un’ottima famiglia sebbene non appartenga l’alta borghesia.

Roberto Matteucci

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“There’d he even less chance in a next life,” she smiled.
“In the old days, people woke up at dawn to cook food to give to monks. That’s why they had good meals to eat. But people these days just buy ready-to-eat food in plastic bags for the monks. As the result, we may have to eat meals from plastic bags for the next several lives.”

Letter from a Blind Old Man, Prabhassorn Sevikul (Nilubol Publishing House, 2009)

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